IIIª Riedizione della Storica Festa del Libro di Asso

IIIª Riedizione della Storica Festa del Libro di Asso

Storica Festa del Libro AssoAnche quest’anno si celebra la Riedizione della storica Festa del Libro di Asso.

Dal 6 al 14 Giugno 2009 l’Assessorato alla Cultura del Comune di Asso e la Biblioteca Comunale organizzano in collaborazione con l’associazione per la piccola editoria EditoriComo la storica manifestazione voluta dal famoso Raffaello Bertieri, Podestà di Asso.

Io sono un po’ distante quest’anno ma la Festa del Libro è una delle tradizioni di Asso che abbiamo il piacere ed il dovere di conservare, maggiori informazioni sono disponibili sul sito del Comune di Asso.

Mandatemi qualche foto e partecipate numerosi!!!

ll deserto all’improvviso!!

ll deserto all’improvviso!!

Mi chiamo Birillo, vengo da Asso, sono un tipo strano che se ne và in giro sempre con un paio di scarponi. Volente o nolente ho preso in parte il carattere di mio padre e, ad essere onesti, è un gran caratteraccio. Dopo tre settimane per monti Io ed Enzo, l’artista compaesano e compagno di viaggio, siamo rientrati a Leh, la capitale del Ladakh, a causa dell’inconuseta nevicata che abbiamo incontrato in quota.

Al nostro ritorno la città è totalmente cambiata: tutte le sgangherate serrande sono aperte ed ospitano i più disparati bazar, il traffico, che già prima era caotico e disordinato, è addirittura peggiorato e per le vie polverose del paese si vedono sempre più faccie bianche scottate dal sole che passeggiano in calzoncini corti e vestiti etnici. La civiltà che avanza parrebbe…

Lo ammetto, non sono il massimo in tolleranza, lasciatemi tre settimane allo stato brado e lo diveterò ancora meno. Quando sono sporco, sudato e stanco assumo un atteggiamento “piacevolemente” diretto e tendo a dire quello che penso con candida leggerezza. La situazione  però può diventare “agitata” se mi ritrovo in mezzo ad un branco di annoiati “rasta-panda” hippie che con i loro sandali e le loro gambette da merlo non trovano di meglio da fare che squadrarci con piglio ascetico esordendo con commenti poco “lusingheri” sull’Italia e sul lago di Como.  Non ho il carisma di “Maestro Ginetto” ma non ho problemi a spiegare a calci in culo fino a Londra la sottile differenza tra un buon paio di scarponi assesi ed un paio di sandali anglosassoni !!!

Così, per evitare di ammuffire a Leh con i rasta-panda in cerca di illuminazione, ci siamo inventati un giro-in-giro aspettando che la neve si sciolga. Abbiamo contattato l’autista di un fuoristrada ed abbiamo contrattatto per un tour di un paio di giorni nella Nubra Valley. La Nubra è una valle a nord di Leh raggiungibile solo attraverso un alto passo. La valle è zona militare essendo border line con il Pakistan e con la Cina, per accedervi è necessario un permesso speciale che viene rilasciato solo se a richiederlo è un gruppo di quattro persone. Questo sembrava un problema fino a quando, con un manciata di banconote da cento rupie, sono spuntati da un cassetto le fotocopie di due vecchi passaporti. Ufficialmente siamo stati nella Nubra in compagnia di due giovani tedesche, nulla da obbiettare per me.

La mattina presto il nostro fuoristrada, rigorosamente uno scorpio, ci ha imbarcati dando il via al nostro viaggio. In cinque ore abbiamo risalito la tortuosa strada che dai 3500metri di Leh sale fino ai 5300metri del passo di Khardung La. Su questo passo girano un sacco di storie strane, c’è chi dice erroneamente che sia il passo carrozzabile più alto al mondo sebbene ci siano mille differenti rilevazioni della quota. Raggiunto il passo ho chiesto ad un soldato indiano la quota e lui, serissimo ma con un gran sorriso, mi ha detto che eravamo nientemeno che a 6200metri. Anche se la verità è ben diversa non me la sono sentita di contraddirlo. Quel poveretto, bardato che  sembrava Amunzen, passa già abbastanza tempo in mezzo a quel nulla innevato per difendere un valico sperduto, non è il caso che io gli affossi il morale. Se è convinto di essere a 6000 metri per me va bene, sono un tipo alla mano.

La strada è anni luce mgliore di quella che abbiamo trovato andando a Srinagar, non è tuttavia una strada confortevole ed i rottami di furgoni e camion che affollano il fondo valle ci ricordano che fango, neve, sterrato e dirupi sono un poker pericoloso. Un volta in cima la vista è stupenda anche se il vento freddo non è da sottovalutare perchè stacca le dita e taglia la faccia. Faccio due chiacchiere con un soldato del sud dell’India ed ottengo il permesso di appendere una delle grandi bandiere che hanno realizzato i ragazzi del setificio. Contrariamente alle altre queste bandiere sono molto più gradi e riportano in bella mostra la sagoma azzurra del nostro lago, i principali monumenti della nostro territorio e della città di Como. Un paio di foto e cominciamo a scendere nella Nubra Valley.

Io mi aspettavo una specie di altopiano coperto di neve e ghiaccio ed invece continuiamo a scendere mentre il panorama diventa sempre più verde. A un incrocio incontriamo un vecchio pulman in sosta. Il nostro autista confabula un po’ con l’autista del pulman poi ci chiede se accettiamo di dare un passaggio a due ragazze di Leh e ad un militare che devono raggiungere un paese al di fuori dell’itinerario del pulman. Ufficialmente abbiamo a bordo due tedesche, vuoi non caricare anche due Ladaki? Passi anche per il militare che ha la faccia allegra e parla poco!!

Una delle due ragazze si è rivelata una guida turistica, aveva visitato Venezia, parlava perfettamente inglese ed era anche piuttosto carina. L’incontro è stato prezioso perchè ci ha spiegato un sacco di aspetti della valle che non conoscevo: in primo luogo eravamo molto più bassi di Leh, dai 5300 del passo eravamo scesi a quasi 2500 metri e questo spiegava lo strano cambiamento nel panorama. Il nome Nubra deriva dal ladaki e significa “valle fiorita” ed in effetti quelli erano i primi fiori che vedavamo da parecchio tempo. Inoltre mi ha raccontato come anticamente il passo fosse più a ovest attraverso una percorso più tortuso ma ad una quota più bassa, questo aveva permesso alla Nubra di essere addirittura parte della via della seta.

Confesso che nella Nubra ero voluto venire solo per un motivo: Hot Spring Water. Dopo altre due ore abbiamo infatti raggiunto una piccola fonte termale, una sorgente solfurea di acqua calda. Erano giorni che volevo farmi un bagno con acqua calda a volontà e mi ci erano volute 7 ore di jeep!! Purtroppo il problema iniziale era la sorgente fin troppo calda!! Dove sgorgava dalla roccia l’acqua raggiungiungeva tranquillamente gli 80° e quando ho provato ad infilarci i piedi me ne sono dovuto pentire amaramente!! (Enzo ancora ride!!)

Sconsolato guardavo quel dono del cielo senza poterne godere. Deve essere stato il nostro sguardo affranto a convincere, per fortuna, un ragazzo locale a mostrarci un piccolo segreto: poco sotto la sorgente l’acqua veniva catturata da un piccolo tubo che correva sotto terra per una decina di metri fino a sbucare più a valle sopra un muretto di un paio di metri. In quel breve tragitto l’acqua perdeva una trentina di gradi e sgorgava dal tubo come una meravigliosa doccia naturale a 50°. MAGNIFICO!!!

Dopo la doccia migliore della mia vita abbiamo cercato riparo per la notte in una piccola guest house gestita da una parente dell’autista. Niente luce elettrica, niente acqua e servizi in giardino. Forse era meglio la tenda. La mattina successiva ci siamo messi ad esplorare a piedi il fondo valle, ci siamo incamminati lungo un sentiero che costeggiava il fiume e dopo un ora ho avuto la più incredibile delle sorprese: il deserto! La valle improvvisamente smetteva di essere verde e diventava una distesa di sabbia e dune tra due alte muraglie di montagne. Deserto, immaginatevi la mia sorpresa quando mi sono trovato davanti pure i cammelli!?! Come hanno fatto i nostri due assesi a finire nel Deserto?!?!

Ndr: l’ultima foto è un dettaglio della sorgente d’acqua calda, non ho avuto modo di fare molte foto alla sorgente perchè ero preso ad aggirarmi in mutande da una pozza calda all’altra mezzo ustionato fino a che non ho trovato il mitico tubo!! ciao

Lettere dall’Italia per i due in Ladakh

Lettere dall’Italia per i due in Ladakh

...lui ci mette la faccia!!
...lui ci mette la faccia!!

Ormai è un mese che siamo in viaggio: freddo, caldo, fatica, mal di stomaco e cibo piccante sono ormai parte delle nostre giornate. Dormiamo ogni notte in un sacco a pelo, non importa se siamo in tenda, in una guest house, in casa di qualcuno o solo in una stalla puzzolente (ma calda!!). Ci si lava i denti con una bottiglia di acqua minerale e ci si lava il resto solo quando si trova un pò d’acqua calda. Si lavano i calzini quando si può e si convive con la polvere come crema protettiva.

Per il cibo ci si arrangia: sogno un pezzo di pane bianco ed una bistecca al sangue, avere un bicchiere di vino e del caffè non liofilizzato rapresenta un lusso che non è concesso nemmeno alle nostre faraoniche europee finanze. Enzo si è smagrito oltre il dovuto e lo sto rimpinzando di uova sode, patate e chapati, il pane locale. Se non riprende un po’ di peso rischia di essere portato via dal vento quando si toglie gli scarponi!!

Siamo qui, ogni tanto sembra di camminare su marte ma non è male, ci si fa l’abitudine a tutto. Abbiamo scarpe buone. Alle volte però si ripensa a casa, agli amici, ai familiari o anche solo al nostro paesello. Noi riusciamo a mandarvi notizie del nostro viaggio ma possiamo ricevere ben poco. E’ capitato di trovare qualche internet point ma qui la rete sembra funzionare a carbone e si riesce solo a leggere qualche mail e qualche titolo dai giornali on line.Non si capisce un gran che.

Ora rimarremo un paio di giorni a tirare fiato a Leh, un pò di rifornimenti, una lavata ai vestiti e qualche notte su un materasso. Aspetto che il tempo cambi per provare un piccolo esperimento di cui vi parlerò più avanti. Prego perchè la neve si tolga dalle palle e mi lasci salire un po’ più in alto!!! Ma mentre siamo a Leh ci piacerebbe leggere qualcosa dall’Italia, qualcosa dai nostri amici. Sapere cosa pensate del nostro viaggio, se vi piacciono le nostre storie e le nostre foto ma anche sapere cosa succede in Italia mentre siamo via.

Ad essere onesto sono un po’ confuso, quando sono partito si parlava solo della crisi che sembrava senza speranza per il nostro paese, ora pare che sia finita se la notizia principale in Italia riguarda un vecchio di settantanni che si è portato a letto una diciottenne piuttosto sveglia. In effetti riuscire a sopportare una delle pischelle moderne e le loro insopportabili stupidaggini da teenager vizziate è qualcosa che forse merita realmente l’attenzione nazionale, credo. Chissà come avrà fatto ad azzittirla?

Qui in Ladakh, in una regione di confine dove per 40.000 civili abbiamo 170.000 militari, si parla di tutt’altre cose: si dice che presto l’Impero della Tigre ingaggerà una violenta battaglia con gli Imperi alleati dell’Aquila e dell’Orso, ma non ho capito a chi si riferissero. Inoltre qui sono piuttosto preoccupati che i Talibans del Principe Nero, colui che abbattè le torri e che si nasconde tra le montagne afgane, prendano il potere ad Islamabad e conquistino il controllo delle testate atomiche del Pakistan. Popolazione ingenua, credono basti un leader terrorista armato di un paio di dozzine di atomiche per distrarre l’attenzione degli italiani dal culo delle veline e dal teatrino della nostra oscena classe politica.

Noi siamo qui, nel mezzo del nulla, tra profughi tibetani, indiani e musulmani. Siamo a due passi dalla Cina e dal Pakistan ed il mondo appare diverso. Qui i giovani, i diciottenni,  sono uno strano misto di culture tra futuro e passato, vestono e si comportano come i personaggi di un cartone animato giapponese post atomico mischiando tecnologia d’avanguardia con la polvere delle strade e la povertà da terzo mondo, attegiamenti da televisione con linguaggi antichi e spazi selvaggi. Come nei cartoni animati hanno un unico vestito che gli fa da uniforme e li distingue, anche noi abbiamo la nostra grigio verde. Sono confusi come i ragazzi nostrani ma vivono in un mondo cento volte più folle e più duro. Il futuro dipende da loro e, sfortunatamete, qui è territorio di caccia per chimere e spietate sirene.

Ferro e fuoco come sempre in tasca, testa bassa e scarponi ben stretti: siamo di passaggio in questa vita e da queste parte tira aria di cambiamento forte come i venti di montagna. Ho il sospetto che qualcuno rischi di rimanere con il culo scoperto dalle nostre parti e ‘sto giro non saranno solo le veline.

Bene, credete che ci manchi casa? Si, forse un pò. Manca quando cerchi di riposare, quando hai fame di qualcosa di buono e quando ti senti un po’ solo. Fateci sentire che ci siete e fateci leggere qualcosa di divertente nella nostra lingua prima di ripartire!! Serve qualcosa per lo spirto un po’ più frivolo e nostrano di una mistica preghiera!!
Ciao e grazie a tutti!!

Birillo ed Enzo

ATTENZIONE: Su Facebook è attiva la bacheca Lettere dall’Italia dove lasciare un messaggio ai due assesi in viaggio. Lasciateci un messaggio qui, ci farà un grande piacere!!!

Indiana Enzo ed il monastero perduto!!

Indiana Enzo ed il monastero perduto!!

Monasteri, stupa, templi e moschee. Nel nostro viaggio abbiamo visitato i luoghi di culto delle più disparate e disperate religioni. Qulacuno ben conservato, qualcuno trasformato in una piccola Gardaland ma molti, purtroppo, in rovina o addirittura semi-distrutti. Se devo essere onesto i miei preferiti sono questi ultimi.

I monasteri sono ed erano luoghi di aggregazione religiosa e culturale molto importanti ma, alla luce del secondo millennio, conservano ai miei occhi più un fascino sociale che mistico, sono certamente impreniati di magia ma è molto difficile riuscire a scorgerla. Se siete a caccia di monaci volanti o altre diavolerie da B-movie non potrete che rimanere delusi, al contrario, se sapete cosa state cercando, può rivelarsi un posto molto interessante.

Come vi dicevo i miei preferiti sono quelli abbandonati e mezzi distrutti. Non interessano ai turisti e di solito sono troppo isolati e pericolanti perchè qualcuno ci si avventuri in cerca di cimeli. Tuttavia, con qualche precauzione, è possibile scoprire molte cose sul loro passato e sulle persone che lo abitavano. Ovviamente se non vi crolla tutto addosso o non precipitate attraverso un pavimento.

Uno dei miei preferiti si trova nel Marka sopra una piccola altura, completamente abbandonato. Non era uno di quei monasteri dove si trovano le grandi statue del Buddha o i magnifici dipinti di divinità o demoni, era probabilmente una vecchia fortezza riaddattata per diventare un riparo per un gruppo di monaci nella valle. Credo fosse una fortezza in tempi antichi perchè aveva un unica via di accesso attraverso una piccola rampa, ora in parte crollata, e dominava il territorio sottostante arroccata su alte pareti a strapiombo su cui correvano terrapieni che ne aumentavano l’altezza.

Quando abbiamo superato la rampa siamo entrati in un minuscolo cortiletto e da qui, attraverso strette porte, siamo entrati nel cuore della struttura. Le stanze, basse e spoglie, conservavano ancora molte traccie della vita che si svolgeva al suo interno. Si poteva infatti individuare le cucine grazie al focolare, ad una specie di forno e alla quantità di vasellame e piatti in frantumi ed abbandonati nella stanza. Altre stanze, ancora più piccole, potevano essere adibite a dormitorio e forse alcune anche a piccole celle di ritiro per i monaci. Stanze più ampie attraversate da colonnati potevano essere spazi comuni o luoghi di preghiera, qualcosa di molto simile a quanto incontrato in altri monasteri.

Di tutte queste stanze una ci ha appassionato in modo particolare: una specie di piccola torre raggiungibile grazie ad una ripida scala di sasso posta a lato di tutto l’edificio e a strapiombo sulla valle. Sembrava abbastanza pericolante ma siamo saliti lo stesso spinti dalla curiosita per i tanti oggetti che ancora erano presenti.
Sul pavimento erano infatti sparsi utensili molto simili a quelli da cucina, molti vasi, ed alcuni fornelli.Non capivo che cosa potesse servire una seconda cucina in una parte tanto isolata dal resto del monastero.

Frugando tra le tante cose impolverate sul pavimento è apparsa una piccola cesta di paglia ormai consumata dal tempo, si è sfasciata al solo afferrarla lasciando cadere il suo strano contenuto. All’interno si trovavano infatti dei piccoli panetti gialli che si sono rivelati essere zolfo. I panetti sembrano essere stati realizzati sciogliendo lo zolfo fuso, o comunque allo stato liquido, all’interno di formine rotonde.

Sò che a nord di Skiu, in alta quota, si trova una piccola sorgente di acqua calda ed è probabilmente da lì che proveniva quello zolfo.La domanda era: “Che ci fa un sacco pieno di panetti di zolfo in una cucina?”. La risposta è semplice “Nulla, perchè non è una cucina”.

I nostri monasteri erano spesso il luogo dove la cultura incontrava la scienza e la tecnologia e non ho dubbi a credere che lo stesso avvenisse anche per i buddisti. La parola che più mi risuonava in testa guardando quella stanza era “alchimista” e probabilmente era il laboratorio di uno o più monaci dediti a qualche pratica di tipo scientifico o magico. La torre dei maghi o per lo meno dei dotti in qualche disciplina legata alla chimica o alla medicina. Un ipotesi molto affasciante.

Non ho idea di cosa potessero servire quei panetti di zolfo ma non credo fossero utilizzati come combustibile o simili e, a giudicare dai mortai in sasso ancora presenti, erano probabilemente sbriciolati ed utlizzati come componente per qualche intruglio. Enrico si è dato da fare a cercare la pietra filosofale tra quelle cianfrusaglie ma non è riuscito a trovare nulla.

Un ultimo particolare, forse inquietante lasciando correre l’immaginazione, erano delle strane croci di legno che abbiamo trovato nel piccolo cortile. Le croci, realizzate con sottili bacchette di legno, avevano le estremità dei bracci unite da sottili cordicelle, credo di lana o di qualche tipo di filato, che formavano rombi concentrici. Non sembrava uno strumento per filare o tessere perchè troppo fragile e su ogni croce c’era lo stesso numero di fili e nulla più. Sembrava una specie di “acchiappa sogni” o comunque qualcosa legato a qualche rito piuttosto che ad uno scopo pratico. Mi ricordavano tanto le bamboline che faceva la strega di Blair prima di ammazzare le sue vittime e per questo motivo, oltre ovviamente al dovuto rispetto per un luogo di culto, mi sono guardato bene dal tenermene una anche se mi piacerebbe scoprirne lo scopo.

Ma ormai era tardi e tra il laboratorio dell’alchimista e le croci misteriose si era fatta ora di toranare al campo e prepararsi per la notte, sempre sperando che la cugina tibetana della strega di Blair non si fosse offesa per l’inconsueta incursione dei due assesi tra le rovine del monastero dell’alchimista buddista. Per ora sembra di no, vedremo…

Davide “Birillo” Valsecchi

Püsséé in sü

Püsséé in sü

Una preghiera nel vento
A volte mi capita di essere travolto da un dejavù, una sensazione stranissima che mi dà un improvviso senso di vertigini e mi confonde la visione del mondo. Spesso mi pare di vivere qualcosa che ho già visto nei sogni ma altrettanto spesso mi succede quando un numero incredibile di coincidenze, a cui non credo, mi si manifestano tutte assieme davanti lascandomi stupisto e sconcerto dalle trame complesse della vita.

Prima di partire abbiamo chiesto al Signor Caronti, titolare dell’azienda PuntoComo, di realizzare una preghiera di stoffa utilizzando le tecniche ed i vecchi telai di Gegia Bronzini, una delle più famose artiste tessili comasche del passato.Volevamo qualcosa di veramente rappresentativo per il tessile comasco in grado di ribadire la nostra tradizione. Al progetto ha partecipato anche la signora Lalla Borzatta che ha coinvolto anche il vulcanico e carismatico fratello Riccardo Borzatta, famoso poeta dialettale comasco.

Il risultato è una bandiera di stoffa molto speciale che mischia tessuti diversi e filati metallici su cui è riportata una poesia nel nostro dialetto. Ero molto felice di avere partecipato alla creazione di quest’oggetto e mi lusingava l’idea di portarmelo in cima ai monti.

Prima della nostra partenza è però successo un evento molto triste che ha toccato molto profondamente la città di Como, è venuto a mancare, travolto dalla malattia, “Gianni del Sociale”, il titolare di uno dei più antichi ristoranti di Como. Io non lo conoscevo di persona ma Enzo ne era molto amico ed è stato molto colpito. L’ho accompagnato al funerale dove, sotto una fredda pioggia, ho trovato una folla enorme. Tutti parlavano di Gianni come di una persona speciale che aveva un sorriso per tutti. Qualche sera più tardi abbiamo cenato con il Signor Riccardo Borzatta ed anche lui ne era un buon amico e me ne ha parlato con grande affetto e commozione.

Quando abbiamo raggiunto il passo Kangmaru La, a 5200 metri, ho appeso al palo votivo che dominava il passo la bandiera di Gegia Bronzini con la poesia in comasco. Era il punto più alto del nostro viaggio attraverso la valle del Marka ed quello più adatto a quello bandiera. Qualche attimo dopo è arrivato Enzo, era stravolto ma sembrava avere un unico pensiero a cui dedicare le sue ormai scarse forze.

Dallo zaino ha estratto una piccola foto di Gianni e mi ha raccontato, tra un affanno e l’altro, che aveva promesso al suo amico che lo arebbe portato con lui nel punto più alto del suo viaggio. Sapevo che Enzo aveva fatto visita a Gianni in ospedale poco prima della sua scomparsa ma non sapevo nulla ne della sua promessa ne della foto.
Un po’ confuso e stupito non sapevo cosa fare e sono riuscito solo a dirgli: “Tra le bandiere, appoggia il tuo amico Gianni tra le bandiere che stia al caldo e al riparo dal vento mentre si gode il panorama.” In quell’attimo surreale Enzo mi ha semplicemente risposto:“Hai ragione, è un ottimo posto!”

E’ stato gardandolo chino tra le bandiere che posizionava con affetto la foto del suo amico scomparso che ho avuto quello strano senso di vertigini. Quel mezzo matto di Enzo aveva stretto i denti per ore camminando stremato per mantenere una promessa ed ora si trovava lì, con una foto in mano sotto una preghiera che rappresentava Como con una poesia scritta in dialetto comasco da un’altro caro amico di Gianni. Ho ripensato alla folla al funerale, a tutti gli articoli di giornale dedicati a Gianni e tutti quelli che me ne hanno parlato come una delle persone più buone e compiante di tutta Como. Ma ciò che sgomenta è il testo della poesia che sembra scritto quasi con chiaroveggenza apposta per Enzo, il suo amico Gianni e quella strana ed unica situazione a 5200 metri nell’Himalaya:

Dopo la rampegàda , mì
a ma sa fermì chì
parchè ga la  fù  pü
A vèss sü chì sa sént
che chì cumanda ‘l vènt
che ‘l sbràgia ma l’è bun
Al ga pensarà lüü
a bufà püsséé in sü la mia uraziün

Non so cosa sia successo lassù, cosa abbia realmente visto ma era qualcosa di speciale e delicato di cui sono stato un semplice testimone, piccola comparsa per lo più spettatore di un disegno che sembrava molto più grande. Un pezzo di stoffa ed una piccola foto che realmente sono diventati un profonda e possente preghiera che l’impetuoso vento che calava freddo dallo Kang Yaze sembrava portare verso il cielo. Una sensazione strana che ancora oggi mi lascia confuso e commosso.

Enzo ha scritto qualche riga che riporto qui fedelmente per chiudere questo mio piccolo scritto :

Circa un mese fa ho fatto una promessa ad un amico e per quelli come me le promesse sono sacre!
Tre giorni fa ho affrontato una delle prove piu’ faticose e impegnative della mia vita, salire su una montagna di 5200 metri, e per uno che non ha esperienza di alpinismo e’ una fatica immane.
Ad ogni metro guadagnato vieni ricompensato con la sempre piu’ mancanza di fiato, le energie ti abbandonano e la testa fa pensieri strani e surreali.
Ma l’unica cosa che non mi mollava era l’idea della promessa che ti avevo fatto, porarti su quella vetta!
Bene dopo dieci ore di marcia ci sono riuscito, stremato con il naso che sanguinava e le gambe tremanti sono arrivato alla vetta e li ti ho messo tra le preghiere di stoffa che recitano la loro benedizione al mondo, con lo sguardo rivolto su quello che io credo sia il panorama piu’ glorioso che io abbia mai visto!
Sicuramente il posto piu’ in alto e piu’ vicino a Dio che io possa mai raggiungere a piedi.
E se qualcuno lassu’ ha qualcosa da obbiettare per il tuo arrivo, tu digli che meta’ del viaggio l’ho offerta io!

Sempre nel mio cuore
Enzo

Il suono delle Preghiere di Stoffa

Il suono delle Preghiere di Stoffa

Il nome del passo è Ganda La ed è un valico a 4970 metri che unisce due grandi valli separate da montagne alte oltre 5500 metri. E’ stato il secondo passo che abbiamo affrontato e, a differenza del passo di Stock, è molto utilizzato anche dalle popolazioni locali.

E’ a Ganda La che abbiamo deciso di esporre le bandiere realizzate dai ragazzi del Setificio di Como per il progetto Preghiere di Stoffa: i ragazzi hanno realizzato oltre una trentina di bandiere dando pieno sfogo alla propria creatività unendo poesia e disegno sul tessuto. In quelle piccole bandiere sono contenute le loro preghiere a carattere universale, le preghiere dei ragazzi di Como per il mondo.

Enzo ed io abbiamo legato insieme tutte le bandiere in un unica lunga e variopinta ghirlanda di oltre una decina di metri tanto grande da catturare il vento come una piccola vela. Giunti sul passo la vista era magnifica e al centro della sella nella montagna, come da tradizione tibetana, vi era una grosso cumulo di sassi adornato da centinaia di bandierine colorate accatastate anno dopo anno.

Abbiamo estratto dallo zaino la lunga ghirlanda che si è lasciata subito catturare dal vento mentre in due la trannevamo come un enorme acquilone. Molto divertente!!

Proprio in quel mentre è sopraggiunta una piccola carovana di locali con i loro pony. Il più anziano, che era un rifugiato tibetano, mi si è avvicinato curioso chiedendomi in inglese cosa stessimo facendo con quelle bandiere. In effetti non avevo assolutamente idea di quale potesse essere la sua reazione, in fondo sono uno straniero e le bandiere sono una loro importante tradizione legata alla religione, ho semplicemente detto la verità: “Sono bandiere che hanno disegnato i ragazzi della mia città in Italia, sono preghiere per il mondo”.

L’anziano tibetano si è aperto in un grande sorriso, ha fatto fermare la sua carovana, legare i pony ed ha chiamato i suoi giovani compagni perchè ci aiutassero  con le nostre bandiere.Tutte le mie preoccupazioni si sono dissolte in un attimo e sul quel passo mi sono ritrovato a legare bandiere comasche spalla a spalla con i tibetani.

La lunghissima ghirlanda vibrava viva nel vento intenso del passo, ogni bandierina sembrava impazzita e continuava a schioccare colorata. Era impossibile non essere travolto dall’euforia di quel momento. Il rumore assordante del vento si mischiava a quello delle badiere e mentre facevamo loro le foto i tibetani si mettevano in posa sorridenti guardando una ad una tutte le bandiere.

Con un po’ di pazienza ieri notte ho caricato un piccolo video delle bandiere al vento. E’ ancora in bassa qualità ma nell’audio, quando il rumore del vento non è assordante, potete sentire il canto intenso delle bandiere. Potete vedere anche qualche foto che spero possa trasferivi la strana e piacevole euforia che ha travolto tutti sul passo. Una sensazione che difficilemente riesco a descrivervi.

Ringrazio tutti i ragazzi del setificio, la preside e tutte le maestre che hanno partecipato al progetto. E’ stato un vero piacere poter contribuire ad un gesto forse semplice ma sicuramente molto simbolico e carico di valori. Le abbiamo legate belle strette le bandiere di Como, accettate con entusiamo dalla cultura locale, faranno gran mostra di sè per un bel pezzo!!!

Buon Compleanno Lucia!!!

Buon Compleanno Lucia!!!

Rieccomi!!! La neve ci ha costretto a ripiegare tanto in basso che ora riesco a raggiungere la rete Gprs di Leh e mandarvi un po’ di foto oltre ai brevi messaggi con il satellitare. Non sò se alle divinità tibetane abbiamo spiegato che a fine Maggio inizio Giugno non dovrebbe nevicare in questa maniera neppure quassù!! Siamo passati dal vento e la polvere al fango e alla neve, un vero spasso se non fossero in ballo quote esagerate!!

E’ la prima volta che rasento una bufera di neve a 5000 metri: stanchi come somari, con il fiato corto e gli scarponi pesanti per la quota, arrancavamo passo dopo passo cercando di scollinare l’ultimo valico. Alle spalle ci siamo ritrovati un gigante di 6400 metri coperto di ghiaccio, il Kang Yaze. Una montagna magnifica che ora, con il maltempo che incalzava, appariva come un mostro terribile. Non era possibile non subirne il possente carisma, faceva realmente paura.  Non si capiva se erano le nuvole troppo basse o lui troppo alto ma di sicuro quel mix non prometteva nulla di buono!!

Sul passo Kangmaru La ho dovuto veramente tirare il collo al povero Enzo, non gli ho concesso tregua ed ha dovuto dare fondo a tutta la sua volontà per superare quella prova. Ci siamo seduti su un sasso a tirare fiato, ne avevamo davvero poco, e ci siamo parlati chiaro: “Okay Capo, siamo a 5k e dobbiamo raggiungere quel punto là in fondo dall’altra parte della piana, due ore per arrivare ai piedi di quella salita. ll passo è a 5k e 2, tocca salire e tocca farlo prima che quella mostruosità laddietro ci acchiappi altrimenti qui dice parecchio male per noi.”
Era la prima volta che Enzo si trovava in alta quota ma non ha fatto affatto fatica a capire cosa intendessi per “male”.

Quattro ore e mezzo dopo, quando abbiamo raggiunto il passo a 5200m, ci siamo nascosti al vento dietro un muretto coperto di bandiere per mangiare un uovo sodo ed una patata bollita, il nostro pranzo!!! Avevamo trascorso i giorni precedenti in un caldo trorrido spazzato dal vento e c’eravamo abitiuati a mangiare polvere, era incredibile come fosse cambiata tanto radicalmente e repentinamente la situazione. Dovevamo toglierci da lassù ed in fretta. Evacuare!!!

Abbiamo scollinato e siamo scesi per il ripido versante opposto di quasi 800 metri di quota. Abbiamo montato la tenda dietro un piccolo riparo e ci siamo fatti qualcosa di caldo da bere. Avevo avuto una paura “fottuta” di non riusciere a passare il passo in tempo, se io o Enzo avessimo mollato il colpo sarebbe stato un “enorme” problema accamparci lassù. Enzo era distrutto ma ha tenuto duro. Meno di mezz’ora dopo ha cominiciato a nevicare sulla nostra tenda e non ha più smesso fino al giorno dopo.

Nel cuore dell’Hymalaya, nel mezzo di una nevicata d’alta quota, chiusi in una tenda gialla, c’erano due stupidi che cantavano allegri i cori natalizzi. Strani effetti del “dopo strizza”. Enzo era felicissimo, aver raggiunto e superato i 5000 metri era per lui un risultato incredibile ed anche io, dopo averlo bacchettato e maltrattatto come un noioso e severo istruttore, ero soddisfatto ed un po’ comosso dalla sua prova.

Con una preparazione alpinistica pari a ZERO non aveva mai fatto neppure campeggio in vita sua, ora se ne stava a 4400 metri in un tenda coperta di neve dopo aver attraversato passi e vallate himalayane tra caldo torrido e freddo becco. Cinque kappa punto due. Bravo Enzo!!! Ora ti tocca offrirmi da bere!!

Ma torniamo al titolo che è quello che più conta: Tanti Auguri Lucia!!!
Il 28 la mia sorellina compie gli anni e come regalo, sebbene tanto distanti, le dedichiamo le prime foto che riusciamo a trasmettere dalla valle!!

Tempo permettendo, visto che continua a nevicare, dovremmo rientrare a Leh tra un paio di giorni. Al momento, con la neve fresca sulla montagne, è impossibile tornare oltre i 4000 metri. Ci dedichermo all’esplorazione della piana di Leh che si trova “solo” a 3500 metri.

Ciao a tutti!!! Auguri ‘Cia!!!

Un “passo” alla volta!

Un “passo” alla volta!

Dalle parole di Davide, ma soprattutto dalla voce di Enzo, si capiva come quest’ultimo fosse allo stremo delle forze, ma comunque felice per l’impresa.

“Questa e’ la quota piu’ alta che abbia mai raggiunto e che mai raggiungero’!” esclama Enzo con un fil di voce, provato dalla marcia, dal freddo e dalla mancanza di ossigeno.

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