(LucaPenna) Tempo fa Davide mi disse “hai fatto la tua prima uscita con il vecchio, devi scrive l’articolo!”, in effetti qualche settimana è passata… forse qualche mese, ma non importa il tempo è soggettivo, dipende dalle tue emozioni e da quanti pensieri “disturbanti” attraversano la tua routine e ti danno il senso del vivere, per cui semplicemente stasera è il tempo giusto.
Comunque, facciamo qualche premessa. Non ho mai scritto i miei pensieri o raccontato le mie esperienze, per cui abbiate pazienza se esprimo con la pochezza delle parole il treno in corsa del mio vissuto.
Conosco Davide da un’altra vita, recentemente ci siamo ritrovati a mangiare e bere da amici, in quell’occasione gli raccontai del mio “ravanare” su per la “direttissima” che porta in Grignetta e lui espresse un pensiero anche mio “ma perché cavolo sei uscito dal sentiero e ti sei messo a cercare una via tutta tua?”. Bella domanda, me l’ero fatta pure io, perché non era la prima volta che “ravanavo” e in altre occasioni il rischio preso fu ben maggiore, resta il fatto che il germe di un pensiero aveva preso forma, o meglio, l’universo aveva già colto un mio bisogno e si era messo in moto.
A distanza di qualche settimana, in occasione di una pizzata sempre trascinato dal Davide, conosco il “vecchio”; mi avevano parlato di lui in altre occasioni con reverenza e rispetto, come può parlare di un grande maestro qualcuno che pratica la stessa arte, ma io, nella mia assoluta ignoranza dell’arte specifica, vidi prima di tutto la persona e decisi che forse avevo trovato il maestro che avevo chiesto per ritornare ad arrampicare.
Crescere non è un processo inconscio, si cresce quando ci si mette in ascolto, quando si decide di cercare in un altro le risposte alle domande che non sappiamo porci e come sempre in un processo di crescita, l’allevio sceglie il maestro ma il maestro sceglie l’allievo.
Fatto stà che a distanza di qualche settimana propongo al “maestro” di fare con me un salto nel passato e di tornare a riscoprire sensazioni che avevo abbandonato circa vent’anni fa e lui semplicemente accetta.
Passo a prenderlo verso le 8 del mattino ed insieme saliamo ai Piani di Artavaggio, nel frattempo ascolto quest’uomo parlare e a “vederlo”, dopo aver letto in rete un po’ delle cose che ha scritto e che ha fatto, la domanda di cosa ci facessi io ad arrampicare assieme a lui per andare ad aprire “qualche via” si faceva sempre più insistente nella mia testa.
Ma, come ho imparato nella vita, nulla accade per caso, avevo chiesto all’universo e l’universo aveva risposto, per cui non dovevo far altro che seguire la corrente dell’energia e fidarmi del maestro. Certo ogni tanto il sovrapporsi fra l’uomo e il maestro, come un’immagine sdoppiata, mi creava qualche problema di messa a fuoco e una vocina dentro di me ogni tanto sussurrava “ma che ca…o stai facendo? Manco lo conosci e gli affidi la tua vita?”. Ma, come ho detto prima, nella vita ho imparato che quello che sento a pelle, ha molto più valore di quello che riesco a capire con i limiti della mia mente razionale, per cui scendiamo dalla funivia e ci incamminiamo verso la nostra meta.
Poco prima di arrivare alla base della via che il maestro ha scelto, lungo il sentiero, mi parla di alcune vie sulle montagne di fronte a noi, di come alcune non siano mai state ripetute, intanto, in quel silenzio e nell’assoluta mancanza di rumori io penso che magari su qualcuna di quelle, “qualcuno” ci ha anche lasciato la pelle; il maestro si blocca davanti a me, mi guarda e mi dice che con la coda dell’occhio ha visto una figura in piedi sul ciglio del sentiero, 10 passi dietro di noi, un po’ più in alto.
Entrambi sappiamo che non c’è assolutamente nessuno ma la presenza la sento, come un soffio di aria gelata sulla nuca, i capelli, i pochi rimasti, sono già ritti sulla nuca; parliamo trenta secondi di quello che lui ha visto e io ho sentito, con la stessa naturalezza di due escursionisti che hanno visto una marmotta, si gira e riprende la salita. Ok, lasciamo stare la parte razionale e seguiamo solo l’istinto, ma la tentazione di ascoltare la vocina è forte. Arriviamo alla base della parete ed incominciamo a prepararci.
Tira fuori tutta l’attrezzatura, corda, martello, forse qualche chiodo, diverse fettucce e numerosi friend, che vedevo per la prima volta; qualcosa incominciavo ad intuire che “l’arrampicare” del maestro era qualcosa di diverso da quello che avevo fatto qualche secolo prima.
Assicuro la corda al mio imbrago, mi passa il suo secchiello e mi spiega come fargli sicura, dopo di ché incomincia a salire semplicemente su per la parete con attenzione, eleganza e sicurezza. La vocina è sempre li, ma la parte razionale mi dice che “se ti ha scelto come compagno di cordata e affida a te la sua vita, con l’esperienza che ha, probabilmente devi smetterla di farti mille domande”. Intanto il maestro è salito di qualche metro, facendo scendere a valle tutto quello che di “piccolo ed instabile” trova sul suo cammino, mentre mi avvisa di fare attenzione a questo e a quello quando salgo perché non ci si può affidare.
Io ascolto con un orecchio, mentre nell’altro la stupida vocina continua a sbattere come un moscone sui vetri. Piano, piano, con qualche friend qui e là, la corda sparisce fra le rocce e davanti a lei il maestro. Ogni tanto mi arriva la sua voce e diverse pietre con qualche buon consiglio che, naturalmente, non riesco assolutamente a riferire al contesto, perché non vedo assolutamente nulla di dove sia passato negli ultimi 10/15 metri.
“Molla tutto che recupero”, dopo poco la corda sale fino a quando si tende sul mio imbrago, raccolgo tutta la mia roba, metto le scarpette che, nuove e dure fanno abbastanza male, e incomincio a salire. Non c’è una via da seguire, perché non ho memorizzato nessun passaggio, solo un friend si vede qualche metro più sopra che mi indica un punto obbligato di passaggio, per il resto devo interpretare la montagna. Salgo su abbastanza velocemente, ogni tanto la corda ha un mezzo metro di lasco ma non mi preoccupo, un po’ perché in ogni caso è comunque una sicurezza che nelle ultime miei “ravanate” non possedevo, dall’altra sono concentrato a “sentire” la roccia, a fondermi con essa, ma, soprattutto, a non tirarmela addosso! Adesso incomincio ad intuire gli avvertimenti che il maestro mi gridava mentre io ero distratto dal moscone. Recupero il primo friend e continuo a salire mentre la memoria di qualcosa che era assopito dentro di me piano piano si risveglia. Forse il maestro mi grida qualcosa dall’alto ma non lo sento perché sono concentrato a sentire il mio corpo che, negli ultimi 20 anni è cambiato e la memoria dei movimenti non si adatta a quella del mio nuovo corpo. Arrivo ad un primo terrazzino e mi tiro su, la corda sparisce diversi metri più su, del maestro neanche l’ombra, provo a salire seguendo la corda che si infila dentro una spaccatura della roccia, mi elevo di forse un metro ed in posizione precaria intuisco che è impossibile salire di li a meno di essere un bambino di sei anni, tendo i muscoli per tenere la posizione, completamente dimentico che, volendo, c’è una corda a cui potrei appendermi mentre studio come passare.
Mi viene in mente qualcosa che mi aveva gridato a proposito di passare a destra di una fenditura su per un pilastrino e di fare attenzione a qualcosa di pericoloso. Guardo in basso per capire se riesco a spostare i piedi più a sinistra e mi accorgo che al fondo della corda vicino al nodo c’è un friend, probabilmente si è staccato mentre io salivo e la corda è saltata dentro la spaccatura. Mi pareva impossibile che fosse passato di li…anche se…, mi sposto a sinistra della fessura e incomincio a salire per poi accorgermi che la corda, incastrata nella spaccatura, mi impedisce di salire, in una posa precaria sposto i piedi per scaricare meglio il peso, con la sinistra mi tengo ad una presa sopra mentre con la destra cerco disperatamente di far saltare la corda mentre sento la gravità ricordarmi di far presto, ecco libera, ricomincio a salire, i battiti del cuore sono un po’ più accelerati di quello che imporrebbe il solo sforzo fisico, mi dimentico che sono in sicurezza e incomincio a voler uscire dal pilastro ed arrivare su. Ecco un po’ più in su e sono fuori, allungo la sinistra e tiro, forse mezzo secondo di resistenza e poi sento che la roccia viene verso di me, in qualche modo recupero l’equilibrio scaricando il peso sugli altri tre appoggi e blocco la caduta, lentamente rimetto a posto i circa venti kg di roccia tagliente e associo “il fai attenzione alla lama di roccia precaria” che il maestro aveva gridato con l’oggetto che ho in mano. Trovo un altro appiglio e arrivo sopra il pilastrino e intravedo il maestro che fa sicura con qualche fettuccia alla roccia. Lo raggiungo, qualche battuta, mi dice che sono salito su velocissimo e che confermavo quello che aveva intuito. Mah, la vocina è lì ma l’istinto mi ricorda che quello è il maestro per cui devi seguirlo.
Facciamo altri due tiri, in alcuni punti abbastanza semplici in altri la lotta con la gravità e l’istinto di sopravvivenza si fanno sentire. Siamo quasi in cima, c’è un ultimo tetto da cui uscire per raggiungere il maestro, che è qualche metro più sopra, sento la sua voce, mi avvisa che all’uscita del tetto ci sono delle grosse rocce instabili. Salgo circospetto e la trovo, una grossa roccia sulla sinistra, la corda va a destra ma devo uscire da li. Provo a tirare delicatamente con la sinistra e sento che se spingo in una certa direzione verso il basso tiene, se tiro più verso l’esterno e a destra si stacca tutto. Bilancio il carico, sono quasi fuori, quando il maestro mi dice ”fermati li che ti faccio una foto mentre spunti fuori”, scarico il peso sulle gambe, trovo l’equilibrio per la foto, mi rilasso cerco di sorridere e penso “dai sono fuori”.
“Ok vieni su”, lo vedo è lì su, praticamente in cima alla montagna che fa sicura con una fettuccia alla roccia, tiro con la sinistra “ca…o” tiro non spingo, la roccia si stacca, è grossa e io incomincio a cadere sotto il suo peso e sono sotto. Nella mia vita ho imparato che quando qualcosa di grosso ti colpisce invece che opporgli resistenza appoggiati e sfrutta la sua forza per cambiare direzione, la mia mente istintivamente reagisce a quello che ha imparato, mi appoggio alla roccia che scende mentre cado verso destra allontanando le gambe dal masso che cade e mi graffia superficialmente sulla caviglia sinistra che non è abbastanza veloce; faccio un pendolo per qualche metro verso destra e verso il basso, poi la corda si tende, appena riesco a fermarmi cerco di ritrovare aderenza. “Tutto bene?”, trovo nuovi appigli ed arrivo su dandomi dello scemo per aver perso la concentrazione ed essermi fatto infilare un gancio sinistro sotto la guardia.
Arrivo dal maestro che mi guarda un po’ preoccupato, io mi scuso dell’errore, lui sanguina dal ginocchio sinistro che ha sbattuto sulla roccia per frenare la mia caduta.
Mi è partita la punta del mignolo sinistro, solo un pezzettino ma sanguina un po’, la caviglia è coperta dalla calza che fa un po’ da benda. Il maestro mi passa il cerotto da arrampicata e con un fazzoletto faccio una fasciatura mostruosa al dito mentre togliamo l’attrezzatura e si torna al sentiero per scendere a bere una birra prima di riprendere la funivia.
Oggi ho aperto la mia prima via, “arrampicando” la montagna con il maestro, non “seguendo una via su artificiale”, come ho poi avuto modo di metabolizzare la sera.
Questo il breve resoconto del mio duplice “incontro”, la prima di molte altre avventure con il maestro che ogni volta mi hanno lasciato dentro e “fuori” numerosi segni ma ne parliamo una latra volta.
Il Penna.
Nota del Birillo: io so quanto il vecchiaccio detesti essere chiamato “maestro”. Sebbene “stuzzicarlo” e “contraddirlo” sia parte integrante della nostra amicizia, questa volta preferisco appuntare una precisazione. Conosco Luca da oltre vent’anni, siamo cresciuti insieme nell’ambito del Karate-do tradizionale, allievi del Maestro Dario Rainone e Maestro Roberto Vedovati, a loro volta allievi del Maestro Corbella, del Maestro Roberto Fassi e del Maestro Hiroshi Shirai. Oggi Luca è un insegnante di Karate-do, tanto per gli adulti quanto per i bambini. La parola Maestro, “Sensei”, ha quindi un grande valore per noi nonostante il suo significato sia semplice: “persona nata prima di un’altra”. Per noi diventare “Maestro” significa avere la capacità di raccogliere le proprie esperienze e quelle di coloro che sono venuti prima per offrirle in dono a coloro che saranno. Qualcosa di semplice ma anche terribilmente difficile perchè significa essere responsabili della catena del tempo. In quest’ottica l’uso che ha fatto Luca della parola Maestro è assolutamente corretto. La parola “Do” significa “via” e, come ci hanno insegnato i nostri maestri, non importa che attività pratichi: Karate, pallavolo o tennis, in ogni cosa è possibile trovare la “via”. Noi siamo semplicemente fortunati: la nostra via ci conduce attraverso le montagne…