Le Rocce degli Elfi

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DSCF6041“Andiamo a farci un giretto?” Bruna riempie lo ziano, calza gli scarponi nuovi (ancora tutti da provare) e ci mettiamo in marcia. Il giorno prima mi ero allenato con Mattia a Scarenna: ci avevamo dato dentro con il “Metodo Elvis” (CopyRight Ivan Guerini) e le spalle erano ancora indolenzite. Volevo camminare e passare con lei una giornata serena: “Andiamo a cercare le rocce degli Elfi?”

Gianni Mandelli, decano e custode dei Corni, ha un fratello più giovane di nome Roberto: Ivan mi parla spesso di lui e, nonostante io non lo abbia mai incontrato, credo che i due siano molto legati. Ecco quello che anni fa scrisse Roberto su “L’Isola senza Nome”: ”Ci passavamo accanto a quelle rocce, situate in località “Piazza Balcon”, per mezzo di un ombroso e dolce sentiero che ci permetteva di evitare gli scossoni di quello principale che conduce a valle dal Sambrosera. Con gli amici e mio fratello le avevamo osservate più volte, ma i rovi e i rampicanti che le infestavano riuscivano sempre a demolire i nostri propositi. Finchè un giorno li mostrai a mio figlio Simone, amico di Christian, figlio del proprietario del terreno adiacente. Fu così che con grande entusiasmo i due si rimboccarono le maniche ed iniziarono a ripulire i primi massi e a cimentarsi su di essi. Risultato: quindici massi di bianco calcare che esplorati e numerati compongono l’area Boulder delle Rocce degli Elfi”.

La descrizione sembrava promettente, ma il nostro avvicinamento si è fatto tortuoso. La bandierina di legno che nella nota del 2005 avrebbe dovuto indicare la deviazione del sentiero deve essersi ormai congedata. Ci addentriamo nei boschi di Valmadrera e, senza troppo cruccio, ci dedichiamo con entusiasmo all’esplorazione per quasi due ore e mezza. “Ad indicare la zona ci deve essere una tabella con lo schizzo dei sassi: quando la troviamo siamo arrivati!”.

Battiamo il bosco salendo a Zig Zag e, una volta giunti a Sambrosera, scendiamo nuovamente inseguendo sentieri nella vegetazione e rocce nella boscaglia. “Accidenti! Però qui è davvero bello! Hai visto che roccia? Noi sull’altro versante non li abbiamo tutti questi sassi, e di sicuro non così belli!” Della tabella ancora non c’è traccia ma ciò che ci circonda è affascinante: un susseguirsi di clessidre, di fessure, placche lavorate e taglienti.

Bruna a tratti si lascia vincere dalla noia e dalla fatica, in fondo la sto facendo girare a vuoto ormai da un paio d’ore. Per rincuorarla la prendo in giro (o forse prendo in giro me): “Non vorrai tornare a casa e raccontare che non li abbiamo trovati!?”

Ormai è passato mezzogiorno e della tabella non c’è traccia. Non posso insistere oltre con Bruna. “Scusami. Ti sto facendo girare a vuoto. Ti va se torniamo alla roccia con quelle due grosse fessure orizzontali? Ci fermiamo a mangiare un boccone e proviamo a giocare li attorno.” A volte per vincere ci si deve arrendere alla sconfitta. Già, perchè quella roccia era infatti la numero “cinque” e l’agognata tabella di legno era appoggiata poco distante sotto un’altro grande masso. Sebbene ci fossimo passati vicino ben due volte non mi era riuscito di scorgerla.

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Mangiamo una mela, un po’ di cioccolato e qualche biscotto. Poi la tentazione prende il sopravvento e con le scarpette ci lanciamo sulle rocce. La pioggia dei giorni passati ed il sottobosco le hanno inumidite ma la roccia è talmente lavorata e ruvida che quasi non ci badiamo.

Iniziamo con calma, con qualche piccolo esercizio, facendoci sicura vicendevolmente. Poi abbandoniamo gli zaini ed iniziamo a vagare tra le rocce sgambettando tra i sassi più piccoli che le separano come isole. Creste, spigoli, camini, traversi.

A trenta centimetri da terra osservo Bruna su una placca strapiombante mentre si distende ad X sfruttando piccole tacche e due sottile lamette per le dita. Un passaggio impegnativo, non proibitivo, ma neppure banale: Bruna sta diventando davvero brava!

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Le rocce hanno tutte un nome: il Dragone, la Tigre, la Nave, il Trono, la Corona, la Lavagna, il Cervino, il Trucco, l’Ombrello, la Fortezza. “Per nostra volontà non sono state tracciate frecce sui massi e l’augurio è quello di non vederne in futuro, a sottolineare la libertà con la quale ognuno potrà affrontare il masso, senza doversi o volersi confrontare con nessuna stupida freccia”. Forse basterebbe questa frase di Roberto per comprendere perchè Ivan gli sia tanto affezionato e perchè le Rocce degli Elfi siano un piccolo tesoro nascosto.

“Dobbiamo venirci con i Badgers, magari in estate quando fa caldo ed asciuga: è davvero un bel posto”. Tornando sui nostri passi comprendo il mio errore nell’avvicinamento: avevo infatti seguito dei chiari “ometti” di sasso che tuttavia scomparivano all’improvviso in una radura che è stata recentemente disboscata. Con Bruna rinforziamo gli ometti lungo la traccia e ne costruiamo uno tutto nostro dove un tempo c’era la freccia di legno ad indicare la deviazione.

Gianni, Roberto, Ivan: siamo davvero fortunati a poter raccogliere i frutti della loro ricerca. Tradizione nella roccia, questa è la magia che custodisce il bosco.

Davide “Birillo” Valsecchi

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