Lumaca di vetro

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Alle dodici e mezza mi imbarco sul treno che da Asso mi porta ad Erba. Una volta in stazione una rapida sortita al Giangoloso per comprare un cono gelato: fragola, frutti di bosco e pesca. Una meraviglia! Poi mi apposto sul muretto ed aspetto che arrivi Mattia spulciando le facce degli studentelli che attendono il pullman. All’improvviso, mentre ero distratto, appare Mattia: carico lo zaino e partiamo al volo! Destinazione Pizzo dell’Angelone.

Parcheggiata la macchina ci imbraghiamo e, corde in spalla, ci inoltriamo per i sentieri che conducono alle vie. Dopo solo qualche passo rimbomba dai Piani di Bobbio l’eco di un tuono ed una minacciosa nuvola scura, l’unica in tutto il cielo, si affaccia verso di noi.

Quando le prime goccioline sottili iniziano a cadere io e Mattia cominciamo a guardarci in faccia: ”Che si fa? Battuti e respinti ancor prima di toccare la roccia?” Aspettiamo di capire accarezzando anche l’idea di ripiegare sull’Antimedale bruciando, ahimè, tempo e strada. Poi le gocce, che sembravano rinforzare, si fermano.“Proviamo un paio di monotiri. Se regge restiamo, se no scappiamo prima di prendere la lavata” Questo era il piano di Mattia e per me andava più che bene.

Saliamo per il sentiero attrezzato che porta al secondo sperone superando lo sperone Mescal e raggiungendo la placca Tennis. “Oggi facciamo qualche prova di aderenza” ride Mattia, io infilo le mezze corde nel secchiello ed inizio a fargli sicura.

Poi arriva il mio turno, prima per una facile lama e poi solo una lunga placca di calcare. Le mani ed i piedi sono poco più che appoggiati alla roccia. Non c’è nulla a cui aggrapparsi, niente buchi o fessure in cui torcere le dita, nulla. Inizio a sentirmi come sdraiato a ridosso della finestra di un grattacelo: sto su ma non c’è nulla che mi tenga!

L’agitazione cresce, il corpo si irrigidisce mentre la mente vaga disperata in cerca di un appiglio su cui scaricare tutta la forza che può pretendere dai muscoli. Ma lì, su quella placca, non c’è nulla di simile. Sento che sto per andare giù: “respira Birillo, respira” ripeto nella mia mente.

Abbasso la respirazione, lascio che l’aria entri ed esca in profondità, lascio che il corpo si rilassi. Per un istante, magnifico in verità, ascolto il suono degli uccelli ed il verde degli alberi. Sto solo respirando, sono immobile ma sono in equilibrio: nella mia testa ho smesso di cadere.

Quello che era niente diventa qualcosa e, con tanta delicatezza, diventa ciò che serve. Non è più forza ma solo equilibrio. Sorpreso da come ciò possa accadere muovo i piedi guadagnando centimetri ad ogni passo. Inizio a risalire, supero la placca. Il difficile non è tenere il corpo sulla roccia, il difficile è mantenere la mente “morbida”.

Quando arrivo vicino al rinvio i miei pensieri iniziano a ribollire mentre l’istinto urla perché allunghi una mano per appendermi. Mi fermo, muovo ancora qualche piccolo passo e poi di scatto, quasi a tradimento, agguanto il rinvio. “Ma nooo… Stavi andando così bene!!” Brontola Mattia qualche metro più sopra.

Rido tra me e me: era vero, ero in equilibrio. Non avevo bisogno di appendermi, semplicemente la mente aveva ceduto, era fuggita d’istinto da quella strana follia che è l’aderenza. Nello spazio di pochi metri avevo sperimentato equilibrio e squilibrio ed ero pazzo di gioia!

Calandoci in doppia abbiamo provato due delle tre vie che risalgono la Placca Tennis: Quisquiglie (5c) e Loctite (6a). Credo le porterò nel cuore per un po’, mi hanno “indicato” parecchio.

Visto che il temporale sembra ora più silenzioso e meno minaccioso proseguiamo verso il secondo sperone, quello che chiamano “il pilastro dell’essenza”,  con l’intento di attaccare “Lumaca di Vetro”. Dopo la placca Tennis ho l’impressione di aver arrampicato solo su scale a pioli: il mio punto di vista è totalmente cambiato.

Lumaca di Vetro alterna delicati passaggi in aderenza a goduriose lame su cui sfogarsi in circensici gesti atletici. In totale sono  cinque lunghezze:  5a, 5c, 5b, 4c, 5c. Un bella placca, un serie di lame, clessidre e spigoli fino al diedro finale prima dell’uscita. Davvero bella me la godo fino in fondo.

Come sempre il primo di cordata è stato Mattia, a lui spetta il merito di aver affrontato e superato queste difficoltà. Quello che però posso dire è che, anche se solo da secondo, sto sperimentando davvero molto in queste salite e forse, finalmente, qualcosa comincia a muoversi e qualche piccolo miglioramento comincio a sentirlo nella punta della dita e nel fondo della testa.

Ancora una volta grazie mille Mattia!

Davide “Birillo” Valsecchi

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