Tassi in Placca

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I ragazzi volevano arrampicare sul Granito ed erano già parecchie settimane che battevano il tamburo sulla cosa. Io però non ho un gran esperienza su quel tipo di roccia. In vita mia ricordo di aver fatto solo tre vie: il Risveglio di Kundalini, Luna Nascente ed una cresta di mille metri che in Pakistan sale fino ai 5100 metri di Cima-Asso. Così, vista la mia ignoranza, ho lasciato fossero i Badgers a decidere “come e dove”: devo confessare, con una certa soddisfazione, che sono stati davvero bravi!

Dove siamo stati? Non ve lo dico. Quello che posso dirvi è che esiste una bellissima falesia di granito nero, esposta tutto il giorno al sole, che a due passi dal paese offre godibili vie di cinque o sei tiri. Non voglio dirvi dove perchè, sebbene fosse Domenica, sulla roccia c’erano solo le nostre tre cordate: era tutto per noi!

Le nostre squadre erano le seguenti: Mav e Brambo, il gruppo di punta; Birillo e TeoBrex, alla sua seconda esperienza in una via multitiro; Andrea, Fabio e Cesare, anche quest’ultimi alle loro prime esperienze.

Partiamo tutti insieme dividendoci dopo la semplice placca del primo tiro. Mav punta verso le vie di sinistra mentre io mi allungo verso quelle di destra. Una placca semplice per prendere confidenza con i piedi,  poi un muretto appigliato ed un delicato passo in traverso. Teo si muove bene ed anche il chiassoso trio di Andrea mi segue a ruota. Mav, sull’altro lato, supera un passaggio aggettante e scompare oltre lo spigolo.

Il granito è la roccia più diffusa al mondo, fatta eccezione dell’Isola Senza Nome dove è considerata merce rara e preziosa. Lo stile d’arrampicata è totalmente differente da quello sul calcare. Il granito è molto più compatto (leggisi non ti rimangono in mano i pezzi!) ed i piedi hanno sempre la possibilità di usufruire di un ottimo grip. Di contro gli appigli per le mani sono molto meno generosi e spesso si gioca d’equilibrio in una tecnica chiamata “aderenza”. Una piccola magia che permette di focalizzare il peso del proprio baricentro rimanendo in equilibrio senza “niente in mano”.

Un’ altra caratteristica del granito sono le fessure, spesso verticali, che possono diventare veri e proprio binari. Il tiro successivo ne è stato un esempio. Una bella fussura aperta saliva verticale permettendo di afferrarne i bordi oppure di incastrarvi a pugno le mani al suo interno. I piedi, in spinta, sostengono ed inalzano il baricentro. Una progressione che richiede un po’ di resistenza ma che è sempre di gran soddisfazione.

Le fessure possono anche essere orizzontali oppure oblique, il loro bordo può essere sfruttato per posizionare la punta dei piedi affrontando traversi apparentemente impossibili in cui le mani, spietamente vuote, possono solo appoggiarsi (oppure opporsi) alla roccia senza mia poterla afferrare.

Il granito insegna sopratutto l’equilibrio dinamico. Ci sono movimenti che non possono essere fermati a metà, che non solo devono essere conclusi rapidamente ma che devono avere ritmo con il passo successivo. Sul calcare, per quanto mi riguarda, è importante avere la padronanza del movimento e la capacità di arrestarlo in in ogni istante. Questo perchè la roccia è molto più cedevole e si deve poter fare “retromarcia” se soppraggiunge una fragilità imprevista.

Non tutti condividono questo punto di vista, quelli molto forti riescono ad essere “dinamici” ma “ponderati” anche sul calcare ignoto. Alcuni passaggi fatti da Joseph sulla Torre Tonda in apertura hanno dato strabiliante prova di un come uno stile evoluto possa essere sicuro e dinamico allo stesso tempo (anzi, reso sicuro proprio dalla sua componente dinamica). Consapevole di queste riflessioni ho continuato a giocare con il baricentro superando il traverso ed i successivi rialzi.

Teo era è concentrato di entusiasmo ed anche Andrea, nonostante qualche incertezza dovuta sopratutto alla poca esperienza, ha condotto la sua cordata di neofiti fino alla sosta finale dopo sei lunghezze.

Un’ altra caratteristica del granito è il modo differente con cui si protegge la progressione. Le clessidre sono molto rare, la roccia è sempre molto compatta e non offre molte vulneraviltà per i chiodi. Di contro le fessure sono nette, compatte e solide permettendo l’uso dei Friend come spesso il calcare non concede. Tuttavia nel granito sembra non esserci vie di mezzo: o piazzi qualcosa di solido o non piazzi nulla!

Ovviamente utilizzando i fix ed il trapano tutto cambia, si possono tracciare linee su passaggi di roccia che diversamente sarebbero improteggibili ed apparentemente assurdi. Lo Spit cambia le regole in campo, a volte aiuta ma altrettanto spesso inganna delineando linee fuorvianti se non addirittura illogiche.

«“Le aciughe si trasformarono in sabbia”, questo è il nome della via che avevo tracciato con Savonito prima che spittassero.» Mi aveva detto Ivan Guerini al telefono il giorno prima.«Prova a vedere se la trovi, gli spit salgono dritto per dritto ma se guardi bene c’è una linea logica da seguire.» Io e Teo eravamo di nuovo alla base della parete e fermamente intenzionati a curiosare ancora un po’ in giro.

Superata la prima placca ne affronto una seconda. La linea degli spit rimonta dritta nel granito nudo ma, ad un metro sulla sinistra, un piccolo diedro mi offre prese e protezione. Certo, è sporco di foglie e terra, ma lavorandoci un poco posso avvantaggiarmi delle piccole prese al suo interno e persino lavorare di opposizione. Il problema, per assurdo, diventa usare gli spit: per rinviare infatti devo espormi in piccoli traversi spesso senza senso.

Supero una spaccatura fiorita di mille cristalli e rimonto una piccola placca appoggiata raggiungendo le radici di un grosso albero rovesciato. Faccio sosta e recupero Teo: anche lui sembra affascinato dall’approccio alternativo.

La lunghezza successiva prevedeva tre spit in fila su una placca nuda ed altrimenti improteggibile. Provo a rimontare ma la difficoltà ed il fascino mi bloccano: “Cazzo, se non ci fossero quegli spit non andrei MAI da quella parte!” Così, con sbarazzina simpatia, abbandono la via e mi infilo in un diedro pieno di foglie ed erba risalendo in diagonale verso destra. La mia malasana idea era fare un traverso di trenta metri inseguendo il diedro fino a raggiungere la sosta della via fatta in precedenza. Delle godibili maniglie al centro del diedro sembravano avvallare la mia idea.

Tuttavia non avevo con me i friend (… e quindi nemmeno i chiodi) e tutto quello che potevo usare erano solo una coppia di nat piccoli ed una robusta fornitura di fettuccie. Una striminzita pianticella, un cespuglio di mezzo metro in realtà, diviene la mia prima protezione. Rimonto un bel muretto ed una piccola arborea sorella nana diviene la mia seconda protezione. Ormai Teo è lontano ed io sono ormai a quindici metri nell’ignoto. Seguendo il diedrino obliquo rimonto un altro metro e finalmente vedo la sosta dell’altra via. Il diedro è finito, davanti a me ho un muretto verticale di un metro da rimontare prima di fare altri quattro metri di placca in traverso. Allungo la mano sinistra e riesco a prendere una bella presa in alto che libero dalla terra.

Il piano è semplice, dovrei tirare sulla sinistra, puntare i piedi sul muretto, saltarci in piedi, riposizionarmi e chiudere almeno due metri di traverso prima di poter ragionevolmente tirare il fiato. Il problema è che sotto il traverso la roccia è preoccupantemente verticale. Posso proteggere quel passaggio solo alla base e solo con una fettuccia su un’arbusto che scricchiola in modo preoccupante. Potrei arretrare, ed arrampicare in discesa calandomi nel boschetto sottostante per poi uscirne a destra. Tuttavia per Teo quella manovra sarebbe un vero casino e non potrei proteggerlo.

Mentre sono indeciso se tornare indietro o tentare il passo, arriva alla sosta Cesare: la sua cordata si stava infatti calando in doppia dall’alto. Mi guarda incuriosito e poi mi chiede dubbioso: “Hey, ma davvero vuoi provarci?” Qualcosa dovevo pur inventarmi: “bhe, facciamo così, lanciami la corda che ti avanza e fissala con un barcaiolo: se mi dice male e piombo di sotto, con una corda davanti ed una dietro posso limitare il pendolo” Già, venti metri di corda in obliquo alle spalle e cinque in orizzontale davanti: pomeriggio divertente, nevvero?

Con la corda nella mano destra tiro la presa di sinistra e salto in piedi al muretto, respiro e mi distendo in placca cercando di controbilanciare il baricentro mettendo in tensione la fissa. Equilibrio, respiro, dentro con i due passi in dinamica che mi separano da un avvallamento sicuro: BASE! Fiuuuuu!!!

Andrea dall’alto impreca perchè Cesare non ha ancora dato il “libera” alla doppia e questo gli risponde divertito “Andrea! Aspetta che Birillo fa i numeri da Circo!!” Mi allongio in sosta e chiamo Teo. Guardo il passaggio e mi sento in colpa: dannazione è la seconda volta che arrampica! Lo metto in piastrina ed inizio a recuperarlo. Lui avanza tranquillo nel diedro e ride ogni volta che stacca una fettuccia dalle piante: beata incoscienza! Al passaggio chiave gli spiego come fare a bilanciarsi sulla fissa e come mettere il peso per evitare di pendolare quattro metri sotto la sosta.

Si concentra, si alza e passa mentre come una furia lo recupero senza strattonarlo. “Okay Teo, Bravissimo! Ora recupera anche la corda fissa!” Lui tira la fissa ma questa resta bloccata: quella stramaledetta radice non era sufficiente per proteggermi ma abbastanza per bloccare la corda!

Dannazione non viene. “Vabbè Teo, vieni qui. Torno io a liberarla!” Teo invece insiste si riabbassa puntando i piedi, libera la corda dalla radice e si rialza. “Accidenti! Bravo Teo! Ora vieni qui che mi vien male a guardarti!”

Un facile tiro in placca e finalmente siamo di nuovo sulla cima della parete, dove inizia il sentiero che attraverso il bosco permette di ridiscendere. Sdraiati al sole ridiamo divertiti al pensiero di come tutto il paese sottostante mi abbia visto “pericolare” fuori via in cerca di amichevoli alberelli: “Birillo, non ti portiamo più se non fai il bravo!” Hai capito?! Ora mi lasciano a casa!

Teo, sebbene senza esperienza, si è dimostrato un ottimo compagno di cordata: nelle rogne è emersa chiaramente visibile la sua formazione “speleo”. A fine giornata avevamo in tasca ben 9 tiri di cui uno ignorante, insensato ma Full Trad (senza adeguato materiale) nell’ignoto che attende dietro l’angolo. Mav e Brambo si confermano la coppia più in forma dei Badgers ed anche Andrea merita giusti compliementi per il modo in cui ha condotto la sua cordata a tre. Bravi tutti!

Tassi in placca! Ve lo do io il Granito!

Davide “Birillo” Valsecchi

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