La montagna incantata

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[Veronica] Accade, a volte, che escursioni decise all’ultimo momento, un po’ per caso, senza alcuna pretesa se   non quella di un po’ di movimento in mezzo alla natura, si trasformino in qualcosa di unico; in cui   eventi, incredibili nel loro piccolo, si incatenano in modo quasi prodigioso. Una cosa che inspiegabilmente pare accadermi spesso, ultimamente. Questo è il modo in cui, per la prima volta, ho conosciuto il Moregallo.

Ieri, 27 giugno, la giornata prometteva bene: cielo terso, sole splendente e una leggera rinfrescante   brezza.   Nonostante la giornata pesante, finiamo di lavorare piuttosto presto, così propongo a Ricky, giovane   collega appassionato di montagna ed esperto alpinista, di cimentarci nella cresta Osa: “Dai, tanto   cosa t’importa se gioca l’Italia?” “Tu mi inviti ad un pranzo di nozze” ” No, Ricky, questo è molto meglio di un pranzo di nozze!” Ne avevo spesso sentito parlare, di quella cresta, senza mai aver avuto occasione di affrontarla. In realtà non avevo ancora mai fatto la conoscenza del Moregallo.

Tra dubbi e proposte di itinerari alternativi, la sentenza del giovane collega: “E sia, si vive una   volta sola!”  Giro la proposta anche a Teo che accetta prontamente e con entusiasmo. Come sempre! Partiamo quindi alla volta di Valmadrera dove ci fermiamo per aspettare l’arrivo di Teo, preparando l’attrezzatura e giocando con una pistola ad acqua trovata per caso. Verso le 19.30 ci siamo tutti. Ci incamminiamo. Dopo pochi minuti, la domanda di Ricky: “Ma la sicura?” “La sicura con la mia corda!” dico. “E   la corda??” “La corda è nella mia macchina!”, rispondo serafica. “Certo non potevate aspettarvi che io mi ricordassi di prenderla! Che sono bionda, e lo sapete”. Al più giovane il compito di tornare alla macchina per recuperala.

Ci incamminiamo di nuovo, con passo moderato ma costante ed in tempo relativamente breve   raggiungiamo la costola rocciosa da cui ha inizio la via di salita. Qui ci prepariamo con imbrago e   scarpette.  Ricky è perplesso: “Una sola corda in 3?! No no, non mi piace, non si fa! Così vanno a farsi   benedire tutte le norme di sicurezza! Vero, tu dimenticala questa cosa, che così non si fa!”  (il giovane collega riveste il ruolo di mio maestro in tutto ciò che riguarda la montagna) Procediamo in conserva con Ricky primo di cordata, assicurato a metà corda, Teo ed io alle due estremità.

I Tassi conosceranno sicuramente la zone molto meglio di me quindi non mi dilungherò in descrizioni. Scevra da tecnicismi, sia lessicali che pratici, e un po’ ingenua nella mia progressione, nuova alla disciplina e animata solo da passione istintiva, quel che mi pervade è uno stupore quasi infantile per tutto ciò che mi circonda ed una felicità entusiasta per un’arrampicata che trovo realmente divertente data anche la sua accessibilità. Spuntoni, clessidre, paretine, tutto offre una gran quantità di ottimi appigli. “Qui la roccia è sincera” affermano i miei, più esperti, compagni di avventura. Ma Ricky ancora non è convinto:“No, ragazzi, ma vi rendete conto? Stiamo salendo come si   faceva negli anni 30!! In pratica non abbiamo sicura”. Un po’ il leitmotiv della salita!

In 2.30h guadagnamo la croce del Moregallo. La nostra idea era quella di goderci il tramonto da lassù, mangiano i nostri tramezzini. Arriviamo un poco dopo, quando il sole, ormai calato, ci regala un cielo rosso infuocato, all’orizzonte. Uno spettacolo. Un vento freddo e violento spazza la cima, costringendoci a rivedere la nostra idea di cenare lassù. Imbocchiamo quindi il sentiero di rientro, lungo la cresta ovest, tramezzini alla mano. Scendiamo chiaccherando allegramente, ironizzando sul fatto che “saremmo potuti essere in   poltrona a guardare l’Italia”, constatando che “Ricky, certo che, tra lavoro e post-lavoro, io e te in   pratica viviamo con indosso un imbrago”, ma soprattutto ascoltando i racconti di Teo sulle avventure che Tassi e non, hanno vissuto tra quelle guglie e pareti.. .

La luce sta ormai calando ma la chiara roccia dolomitica del Moregallo è ben visibile in quella penombra crepuscolare, e anzi pare emanare una propria, fioca, luce evanescente. Un paesaggio   etereo.  Sotto di noi, Lecco comincia ad illuminarsi, la notte è ormai scesa e considero brevemente come la scelta dell’orario sia stata perfetta. Luce in salita, tramonto in vetta e, al rientro, uno spettacolare panorama di luci fin dove l’occhio può spingersi. Osservo tutto con un misto di emozioni difficili da rendere a parole, ma su cui regna sovrano un perfetto, totale appagamento.

Accendiamo le frontali. In breve raggiungiamo la fonte di Sambrosera. Dopo una serie di reciproci attacchi con l’acqua (sì beh abbiamo ancora tempo per crescere!) mi blocco avvistando una lucciola. Da sempre un insetto che amo. Alla prima, ne segue un ‘altra. Costringo i miei compagni a   procedere con le frontali spente. Pochi metri ancora di discesa e lo spettacolo è tale da mozzare il   fiato: intono a noi centinaia e centinaia di piccole luci tremolanti fluttuano in un movimento continuo. Uno spettacolo simile, sognavo di vederlo da sempre.  In un panteistico slancio di autentica gratitudine, ringrazio montagna e spirito del bosco, per questo regalo.  Preda di un estatico stupore, non riesco a contenere una gioia assolutamente infantile e, ad intervalli regolari costringo il gruppo a fermarsi, luci spente, per poter ammirare quanto ci circonda: il bosco sembra incantato, etereo, ha qualcosa di realmente magico che ricorda lo shakespeariano “Sogno di   una notte di mezza estate”. Non mi viene neppure in mente di tentare una foto. Tutto quello che posso fare è contemplare e   ricordare.

Proseguendo la discesa, durante una delle frequenti tappe al buio, a cui costringo i miei compagni, veniamo sorpresi da un grugnito, così chiaro e forte da non lasciare dubbi sul fatto che il cinghiale   si trovi a pochissimi metri da noi. Ricky si allarma seriamente, io afferro Teo con una mano, mentre l’altra va in automatico al coltello, in tasca. L’unico a proprio agio è Teo: “Tranquilli, è da solo,  quindi è un maschio. Non ci farà niente” Giusto così. Di nuovo grazie, montagna incantata.

Proseguiamo la discesa e poco dopo sentiamo due forti botti consecutivi. Dopo un iniziale dubbio sulla loro provenienza, dirigiamo lo sguardo a valle: è cominciato lo spettacolo dei fuochi di Lecco. Meno bello di quello più naturale offerto dalle lucciole, non manchiamo comunque di apprezzarlo. Questa serata non ci sta facendo mancare nulla. Davvero nulla. Tutto, ogni piccola avvenimento, si   incastra alla perfezione, rendendola eccezionale.

Raggiunta la strada lastricata ci fermiamo per una breve sosta alla fontana ed alzando lo sguardo, il   cielo limpidissimo si mostra in tutta la magnificenza delle sue costellazioni, a perdita d’occhio. Ci   fermiamo ad avanzare ipotesi su quale sia questa o quella costellazione. Nessuno ha voglia di tornare, il senso di pace è totale. Ma oramai è tardi, le 23.00 passate. Non si poteva chiedere di più. Non si poteva neppure immaginare di più. Non luogo più bello, non compagnia migliore. Forse, ecco, solo una stella cadente a coronare il tutto. Ma quella sarà per la prossima volta.

Oh, eh sì, il Moregallo ha voluto il mio sangue (può capitare, quando si salta al buio da una roccia   all’altra, come una biondissima capretta nana, inseguendo lucciole). Ma per tutto quel che mi hai regalato, Moregallo, quello è stato un ben misero pegno. Ti avrei dato anche di più.  In fondo non mi hai regalato solo una serata magica, ma, per dirla come Wordsworth, un flusso spontaneo di potenti sentimenti, emozioni raccolte da poter ricordare in tranquillità.

Veronica Sgroni

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