“Krulak, accompagnami a far due passi sabato mattina!!”. Nicola è uno primi dei Tassi del Moregallo nella loro formazione originale. Non ci si vede spesso ma è un gran camminatore. Non ha interesse nell’arrampicata ma è sempre disponibile e paziente nell’accompagnarmi. In cantina ho ancora il teschio d’asino che trovammo in una delle primissime esplorazioni insieme: “Okay, andiamo a Lecco, da via Stelvio, dove c’è il mercato della frutta, facciamo tutto il sentiero sotto le falesie sul lago, rimontiamo dai Tecett e spariamo dritto per dritto per la val Verde passando dal JeremyJay. Una volta in cima se non fa troppo caldo andiamo giù per il GER, oppure per la val Calolden. Portati un paio di litri che c’è acqua solo al Piazza.”
Così sabato mattina Niky passa a prendermi ed attraversiamo i ponti di Lecco. Il sentiero delle Falesie, stretto tra le pareti ed il lago, ricorda le “5Terre” ed è molto bello. Poi, raggiunte le falesie, diventa una specie di parco gioco per dementi. Tutta la faccenda è talmente grottesca da stimolare la mia insana propensione per tutto ciò che è distopico e post-apocalittico. Se potessimo girare un filmato della zona e mandarlo nel passato, chessò 15 o 20 anni fa, sarebbe considerato dagli arrampicatori dell’epoca come uno video-clip alla Marlyn Manson sull’arrampicata del futuro: immagini all’epoca osservate con disgusto e ritenute impensabili, ma che si sono invece dimostrate brutalmente profetiche(“The Beautiful Climbers”). La base delle pareti è sbancata in polverosi terrazzi artificiali, le piastrine hanno la densità delle zanzare, sassi colorati come etichette da supermercato, miliardi di cartelli, freccie, indicazioni, avvisi ed avvertimenti. Pensavo non ci fosse nessuno ed invece, nonostante il caldo, era un tripudio di vecchi flaccidi, appesi e sudati sull’impossibile, sorretti nel vuoto da figure altrettanto improbabili attrezzati da tragicomici occhiali prismatici. Sono salito in cima ad una roccia e, come il Mosè di Charlton Heston, ho sollevato la mia racchetta/bastone ed ho urlato sghignazzando: “KAWABANGA KINDERGARTEN!”. People are strange when you are stranger.
Tuttavia in ogni stramaledetto vaso di Pandora stracolmo di demoni ed ossessioni c’è sempre una speranza, ed anche in questo caso per due motivi sono fiducioso. Il primo è che nelle zone meno “cool”, quelle con le viette considerate da sfigati, con il grado basso, non verticali ma appoggiate, saggiamente in ombra, trovi sempre qualche coppia di ragazzi che, con una bella faccia e lo sguardo limpido, muove i primi speranzosi passi provando, studiando, tentando. A loro più che altro serve una sosta sicura a cui fissare le corda per fare esperimenti, perchè questo è ormai il solo modo “socialmente accettabile” per cominiciare: tutto il resto non conta, è qualcosa che accettano sebbene ancora non capiscono. Non sanno bene cosa cercano, ma già sentono che è qualcosa di più di quel parco giochi in cui si sono infilati quasi di nascosto, senza conoscerne regole, costumi, classi sociali ed etichette. Con i ragazzi così, quando li incontro, attacco sempre bottone, mi piace il loro entusiasmo e poco mi frega ci siano gli spit. La speranza è che non si perdano in un mondo preconfezionato che vuole solo renderli consumatori. Il secondo motivo invece è semplice ma gigantesco, impossibile da non vedere: il parco giochi si innalza per i primi 30, forse 40 metri, poi è tutto un susseguirsi di pareti e cengie che se la ridono tanto dei trapani quanto delle mode. “Sai Krulak, credo che quelli del trapano non abbiano costruito autostrade di spit dirette al bar del Piazza per un semplice motivo: lassù non basta il trapano”. Questo non può che rubarmi un sorriso.
Superiamo l’orsa maggiore e ci incamminiamo verso le catene dei Tecett. In effetti il sentiero più che un EE/EEA forse andrebbe presentato come una quasi-ferrata, decisamente esposta. Niente di terrificante, certo, ma immaginarselo in discesa, magari con un po’ di pioggia, qualche incertezza la lascia. Non è qualcosa che consiglierei alla leggera. Probabilmente un casco non sfigurerebbe visto che, quasi a spirali, il sentiero sovrasta sè stesso con tanto di canale carico di sassi e terra. Mentre penso a tutto questo sopra di noi appare una ragazza, una biondina decisamente carina. Straniera attacco bottone in inglese mentre mi chiede del sentiero. Oltre ad essere molto giovane ha un sorriso radioso che illumina un atteggiamento decisamente gentile ma tosto. Lei è felicissima, il ragazzo che la accompagna invece è sudato, sbiancato in volto e non spiaccica parola. Credo che correre dietro alla biondina si sia dimostrato più complicato di quanto si aspettasse. I due però hanno imbraghi e lounge con moschettoni, quindi non mi preoccupo troppo. Diversamente avrei forse dovuto far qualcosa: non tanto per la bionda quanto per quel poveretto aggrappato alle catene con gli occhi sgranati. Ci salutiamo e continuiamo a salire.
Non puntiamo al Rifugio Piazza ma, passando dal sentiero 52, direttamente verso la Val Verde. Raggiungiamo il così detto “Rifugio Jeremy J.” e proseguiamo oltre, fino all’uscita ai piani dei Resinelli. La val Verde è un oasi di pace, nonostante il caldo incontriamo sul sentiero prima un capriolo, con un brillante velluto rosso, e poi un camoscio. Avendo coraggio, tecnica e costanza c’è un universo intero da esplorare racchiuso in pochi chilometri quadrati: cengie, passaggi nascosti, pareti, grandi pareti, immense pareti. Ovunque si guardi c’è qualcosa che cattura lo sguardo.
Visto che i due litri d’acqua a testa ormai ce li siamo già sudati entrambi non ci resta che declinare attraverso la frescura della Val Calolden. Era parecchio che non passavo da quelle parti. In un tempo che sembra appartenere ad un’altra epoca osservo attraverso le foglie quelle strutture rocciose su cui ho avuto la fortuna di avventurarmi con il “Tom Bombadil” dell’arrampicata esplorativa. Che tempi:
Mentre recupera la corda penso al lavoro, forse dovrei tornare a fare l’informatico, ora dovrei essere in un bel ufficio con le luci al neon e le scrivanie in formica, la tazza di guerre stellari e la macchinetta del caffè. Le riunioni, i colleghi, il capo represso. Un’ora di macchina andata e ritorno, il traffico, la coda. Lo stipendio fisso, i ticket a pranzo per la mensa. Passare il week-end davanti alla playstation, ingrassare serenamente di trenta chili ed aspettare di morire placidamente. Ma una vocina interiore mi parla sprezzante come l’ufficiale di “Caccia ad Ottobre Rosso”: “Bravo coglione, prima però devi evitare di ammazzarci su questo cazzo di traverso!” – Terror Crest
Bisognerrebbe fare più attenzione a ciò che si desidera. Accidenti che tempi. Ma torneranno, in modo forse diverso, ma avremo nuove stagioni d’avventura. Ne sono certo, bisogna solo attendere che arrivi il tempo giusto, non avere fretta.
Davide Birillo Valsecchi
Nb: Grazie a Niky per le foto e la compagnia!