Author: Reinhold Messner

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Mummery: “by fair means”

Mummery: “by fair means”

dente-del-giganteUn’altra montagna chiave è il Dente del Gigante, sullo spartiacque del massiccio. Si tratta in effetti di una torre di altezza modesta, ma inavvicinabile. Nel 1871 Edward E. Whitwell e le guide alpine Christian e Ulrich Lauener di Lauterbrunnen intraprendono un primo tentativo. “Impraticabile!” è il loro verdetto. Il tentativo successivo è di Jean Charlet-Straton con un gruppo italiano. Con l’ausilio di un razzo pensano di lanciare una corda sulla cresta sommitale del Dente del Gigante, ma non ci riescono. Nel 1880 ci provano Mummery e Burgener. Dal Cul du Géant raggiungono il caratteristico nevaio basale ai piedi della guglia rocciosa, da dove attaccano la parete nordovest; salgono di 50 metri fino all’inizio di una placca che sbarra la salita. “Absolutely inaccessible by fair means”, sentenzia Mummery; “Assolutamente inaccessibile con mezzi leali”, la frase chiave dell’intera storia dell’arrampicata.

Albert Frederick Mummery ha 35 anni quando diventa una pietra miliare dell’alpinismo. Al contrario del “conquistatore del Cervino” Whymper, egli sa anche guidare una cordata; la sua opera è completa, dal pianificare le prime assolute al portarle a termine. Dalla conquista del Cervino e dell’Aiguille Verte sono passati solo 15 anni. L’approccio di Mummery è radicalmente cambiato. Ormai per lui non contano più tanto il “dove” o il “verso dove”, quanto piuttosto il “come”. La meta è un’idea che gradualmente si trasforma in visione. Non gli interessa fornire un contributo scientifico o topografico, e nemmeno pensa di avere qualcosa da insegnare: il suo alpinismo vuole essere puro gioco.

Il Cervino lo scala dall’impegnativa cresta di Zmutt, mentre sul Monte Bianco fa marcia indietro perchè non gli piace stare troppo a lungo impantanato nella neve: “Un’occupazione che mi ricorda il ruotare della macina, quell’arnese a cui gli ergastolani inglesi sono costretti a lavorare senza tregua”. La sua guida, la migliore del Vallese, Alexander Burgener, cede spesso il comando al suo cliente.

Il 5 Agosto 1881 Mummery, Burgener e Venetz conquistano il Grépon. Il passaggio chiave è una fessura liscia di 15 metri, che ancor oggi porta il nome di Mummery, anche se è stato Venetz il primo a superarla. Alternando la presa delle mani e del piede sinistro nella fessura, e sfruttando la porosità della roccia sul lato destro, l’aiuto-guida dà prova di grande maestria nell’arrampicata.

Nel 1892 Mummery guida i suoi amici John N. Collie, Norman Hasting e William C. Slingsby sulla vetta del Grèpon, ma stavolta è lui a superare per primo il leggendario passaggio chiave. E così Mummery si è definitivamente emancipato dalle sue guide, diventando il portavoce di una schiera di alpinisti “senza guida”.

Il 18 luglio 1882 le guide Marquignaz e alcuni alpinisti italiani raggiungono al Dente del Gigante il punto dove Mummery fece marcia indietro. Decidono di rinunciare al “by fair means” di Mummery, scavano gradini nella roccia, piantano chiodi e fissano corde. Il 28 Luglio i tre Marquignaz raggiungono la vetta, il mattino successivo vi mettono piede i quattro Sella e pochi anni dopo quella via sul Dente del Gigante sarà attrezzata con corda di canapa, tanto che con il bel tempo la può percorrere qualsiasi scalatore della domenica. La cosa ovviamente si scontra con il malcontento dei “senza guida”. Nel regno sopra le nuvole ha inizio così il dibattito sui valori.

Reinhold Messner

Ancora una volta ho saccheggiato uno dei libri di Messner: spero non me ne voglia, ma ho creduto che la sua fosse la voce  più autorevole e contemporanea per raccontare una storia affascinante, attuale ed ancora irrisolta. Tratto da: “Vertical – 100 anni di arrampicata su roccia”di Reinhold Messner – Zanichelli 

Reinhold Messner e Albert Precht

Reinhold Messner e Albert Precht

albert-prechtGli arrampicatori sportivi oggi sono una setta all’interno della setta degli alpinisiti. E ne sono i divi assoluti. Da anni tutti stanno a guardare questa sfida in verticale. Ma dove porta? In una nicchia. A salvarci dalle olimpiadi e dai campionati mondiali non sono stati gli dei della montagna, ma i funzionari dello sport, non ancora pronti a riconoscere l’arrampicata come disciplina olimpica. Eppure non si smette di misurare, confrontare, valutare. Anche gli alpinisti sono uomini, e la scena determina chi è “in”, mentre è “out” chi cade e si da per vinto.

L’avanguardia si compone dei singoli che, avendo trovato la propria strada, avanzano sulla concorrenza di una spanna, o la precedono di dieci anni, come a suo tempo fecero Hermann Buhl o Wolfgang Gullinch. I ripetitori, per quanto veloci, non fanno parte della Formula Uno dell’Alpinismo. Ma adesso dove stiamo andando? Chi sono i portavoce dei prossimi anni?

Albert Precht, uno dei pionieri più longevi, attivo da quasi quarant’anni, a questo proposito scrisse 10 anni fa: «Con alcuni compagni sono riuscito a risparmiare dalle vie chiodate l’Hockhkonig e i Tennengedirge, perchè sono convinto che l’evoluzione porterà inevitabilmente all’alpinismo originario, e prima o poi nessuno prenderà più in considerazione i chiodi ad espansione. Proprio adesso che molti accettano queste zone franche dei chiodi, alcuni arrampicatori della nostra valle, persino amici nostri, arrivano con il trapano e pensano di metter in discussione l’etica ormai consolistata.»

E sei mesi dopo: «Forse ho preteso troppo dai miei colleghi, difendendo con troppa animosità e tenacia la mia illusione di montagne libere da chiodi; come un elefante in un negozio di cristalli ho ottenuto l’esatto contrario.» Il sogno di un giorno, che non riesce a realizzarsi, diventa una delusione. Dobbiamo allora astenerci dell’intervenire, magari consolandoci al pensiero che la storia prima o poi ci darà ragione?

Precht suggerisce di «proteggere dalla svendita le pareti con intervalli di almeno cinque metri fra un chiodo e l’altro”. Ma il suo appello si scontra con la derisione generale. “Sì, il loro approccio è un incrocio tra i figli dei fiori Anni Settanta e il presente del tutto e subito, e rifiutano tutte le regole che rischiano di limitarli. Non avevo scampo, e questa disperazione mi fece tornare in mente i vecchi obiettivi che avevo come cancellato. Per togliere terreno alla scena del chiodo ho dovuto mobilitare tutte le mie risorse. E così l’anno scorso ho fatto 56 prime assolute (fino all VIII+) sempre al comando e sempre senza cadute, spesso su tavolati di placche molto compatti che tuttavia non impedivano l’assicurazione. Ero talmente preso dalla foga di realizzare le mie illusioni che non era tutta farina del mio sacco: era la cattiveria degli altri a darmi forza. E non so cosa mi facesse più felice: se conquistare una via per me o riuscire a toglierla agli altri.»

Se Albert Precht resta fedele al suo stile, è certo che il suo nome – come quello di Preuss, Rebitsch e Robbins – resterà negli annali della storia. E non sarà il solo.

Reinhold Messner
(Tratto da “Un altra direzione” sezione del libro “Vertical – 100 anni di arrampicata su roccia” di Reinhold Messner)

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