Berliner Fallout: capitolo #03

L'uscita nel labirinto
L'uscita nel labirinto

Il ghiaccio avvolge tutto a Berlino e la città è per questo pesantemente cosparsa di ghiaia: camminando sui marciapiedi, tra i perenni cantieri ed i palazzi in costruzione, si ha la sensazione di camminare tra le macerie.

Uscendo dal parco, dal Tiergarten, ci siamo ritrovati davanti al Denkmal für die ermordeten Juden Europas, il Memoriale dell’Olocausto.

Su quella che un tempo fu la villa di Goebels, sorge ora il monumento a coloro che furono uccisi  da chi sosteneva il mito ariano. Costruito nel 1997 dall’architetto Peter Eisenman è uno spazio enorme, quasi 20.000 metri quadrati, occupato da 2.711 steli in calcestruzzo colorate di grigio scuro, organizzate secondo una griglia ortogonale, totalmente percorribile al suo interno dai visitatori.

Dall’esterno sembra una bassa collina, ma è avventurandosi al suo interno che si scopre la vera natura di tutta la struttura. I pilastri sono infatti di altezze diverse ed i “sentieri” che li attraversano sprofondano inghiottendo colui che li percorre.

Cartelli gialli di pericolo invitano a non addentrarsi nel monumento per via dello spesso ghiaccio. Ignorando l’avviso “entriamo” puntellandoci contro i pilastri, avanzando a fatica in quel dedalo di stradine parallele e perpendicolari.

Nel punto più profondo sembra di essere all’intero di una stretta gola, è possibile vedere solo attraverso due corridoi alla volta ed ad ogni pilastro ci si trova ad un nuovo incrocio. Per terra ci sono ancora i resti dei petardi di capodanno: probabilmente, a causa dell’acustica particolare di quel luogo, i ragazzi erano scesi fin qui dentro per provarne l’effetto.

Io ed Enzo ci siamo divisi, perdendoci irrimediabilmente tra le linee di quel labirinto. Ci si ritrova soli, in un silenzio irreale mentre le altre persone appaiono come fugaci fantasmi attraverso incroci lontani. Ci si sente smarriti, disorientati, sradicati da ogni cosa che abbiamo lasciato all’esterno.

Non ho idea di quanta attinenza abbia con l’olocausto ma questo posto ha un forte legame con la vita, con il suo senso più intimo e la sua fragilità. Non sono preoccupato nè coinvolto dall’orrore dell’olocausto, attraverso questo luogo con l’indifferenza e la curiosità con cui attraverso la vita: facendo attenzione a non scivolare sbattendo la testa e cercando qualcosa di nuovo, di diverso in un mondo di pilastri, di idee tutte uguali ed allineate.

Forse è anche per questo che nel labirinto trovo quello che forse gli altri non hanno trovato: un’eccezione alla norma, un luogo irreale in un paesaggio astratto. Incontro una ripida scala che spezza la continuità degli incroci, alla fine della quale vi è una porta con una scritta in tedesco ed una in inglese: “uscita di emergenza”. Mi avvicino ma, con mia sorpresa, non vi è nessuna maniglia per poter aprire quella porta.

Non so se esista davvero, non so se faccia parte dell’opera o sia una coincidenza, quello che so è che per me quella porta d’emergenza, quell’uscita senza maniglia nel labirinto della vita, ha un senso in questa curiosa raffigurazione della vita umana.

Davide “Birillo” Valsecchi

“Sei stanco, si vede che sei stanco dal modo in cui scrivi”. Le sorrido, forse ha ragione, ma è Berlino con la sua storia ad avermi sottratto le energie, ad avermi conquistato con il suo grigio ed il suo splendore. Le sorrido, perché è questa stanchezza stupita che cerco di inserire, invisibile, tra le parole lineari del mio racconto prima che vada persa nei ricordi.