Moregallo: Freaky Friday

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Venerdì è stata una giornata spassosa o, come direbbe il mio siculo socio, “spacchiusa”. Ad essere onesti non ne abbiamo imbroccata una e siamo rotolati da un guaio al successivo, tuttavia lo spirito scanzonato che ha pervaso la giornata l’ha resa impagabile.

Visto Fabrizio ha da poco comprato il set da ferrata volevo fargli fare un po’ di esperienza affrontando la Ferrata del Corno Rat. Per ora si è cimentato con i Corni di Canzo, la Grignetta e la ferrata del Ventiquennale ma, sebbene se la sia sempre cavata, la sua esperienza è ancora molto limitata e devo sempre fare attenzione a stimolarlo senza però metterlo troppo alle strette e mantenendo alta la sicurezza.

Venerdì mattina siamo quindi partiti di buon ora per salire dal belvedere di Valmadrera fino a San Tommaso ed all’attacco della ferrata. Qui abbiamo incontrato una coppia di ragazzi di Valmadrera che, vista la bella giornata, avevano avuto la nostra stessa idea. Dato che la nostra era una salita “di studio” abbiamo correttamente lasciato loro il passo in modo che potessero godersi la ferrata senza essere ostacolati.

La ferrata del Corno Rat è molto verticale ed ha dei tratti molto difficili, in particole l’attacco, che possono essere superati solo in due modi: di forza o di mestiere. La prima placca infatti non lascia alternative, o sai come muovere il tuo peso sfruttando i pochi ed unti appigli o devi “rasparti fuori” usando le braccia e tirando sulla catena.

Salendo ho cercato di mostrare a Fabrizio il modo migliore per affrontare la salita, dove riposare e dove sfruttare la parete. Una volta arrivato oltre la metà mi sono fermato ad aspettarlo osservandolo.

Il “ragazzo”, mio coetaneo, ha buona volontà ed è in buona forma ma il Corno Rat fa selezione e non fa complimenti nel farlo. Dopo le prime frazioni, superate con grande sforzo, il nostro buon Fabrizio sperimentava il senso più vero della parola “fatica”. Non avendo esperienza era costretto a lavorare tutto di braccia spendendo un’enorme quantità di energie dando fondo a tutte le sue risorse.

E’ una sensazione che va provata per essere compresa: gli avambracci, stressati dallo sforzo, iniziano ad irrigidirsi ed i muscoli smettono di rilassarsi facendo tramare le mani. Quando succede le braccia diventano completamente inaffidabili e fuori uso.

Sapevo che poteva succedere e così, godendomi il sole, ho lasciato che Fabrizio si assicurasse alla parete  con la “longe” così come gli avevo mostrato ed ho calato lo spezzone di corda da trenta metri che avevo portato con me propio per quell’eventualità. Attrezzata una piccola sosta gli ho fatto sicurezza con il buon vecchio “mezzo barcaiolo” aiutandolo a salire fino dove ero io.

Visto che nessun’altro stava affrontando la ferrata ci siamo fermati, ben assicurati alla sosta, godendoci il sole e discutendo con tranquillità della situazione. Per Fabrizio, nato e cresciuto su un isola, la montagna è una completa scoperta ed ha la grande capacità di trarre insegnamento da ogni difficoltà ed esperienza. Giunti a quel punto proseguire oltre sarebbe stato un inutile ed improbo sforzo per lui e così, sempre con il buon “mezzo”, abbiamo affrontato a tappe la discesa fino all’attacco.

A terra prendevo bonariamente in giro il mio socio  ma ci tenevo che nonostante il “Fail” sul Corno Rat potesse trarre dalla giornata una soddisfazione appagante. Per questo abbiamo cambiato i nostri piani e, zingarando per il bosco, abbiamo puntato al Canalone Belasa ed alla cima del Moregallo.

Ad essere onesto ero soddisfatto di quell’esperienza in ferrata. Le difficoltà insegnano molto più dei facili successi ed ero contento di come tutto fosse stato fatto in piena sicurezza e tranquillità. Il canalone Belasa, un sentiero attrezzato EE, era per Fabrizio un’alternativa impegnativa ma abbordabile e piacevole.

Visto che frequento quel canale abbastanza spesso ho cominciato a fare “bouldering” sulle piccole placche che fiancheggiano il tracciato. Ero di buon umore ed  avevo superando  anche un paio di passaggi di grande soddisfazione piuttosto ostici, così ho piazzato il treppiede e la telecamera per fare una ripresa ricordo di Fabrizio mentre superava un passaggio attrezzato. Poi, visto che eravamo lì, ho attaccato una placchetta forse un po’ troppo bagnata dando vita alle comiche: Birillo gambe all’aria!

Confesso che era tanto che non “volavo” in quel modo! Nel filmato, di cui Fabrizio mi ha estorto la pubblicazione dopo la terza birra a fine giornata, si vede solo in parte il tuffo fatto sui sassi della cengia sottostante ma fortunatamente questo rende abbastanza comico il tutto: privo di reali conseguenze  (forse il mio orgoglio) si può anche scherzarci sopra.

Si vede bene il momento in cui la punta degli scarponi è scivolata di poco più un centimetro squilibrando tutto il corpo e facendo saltare anche la precaria presa delle mani: come disse Al Pacino nel celebre discorso “…scopri che la vita è questione di centimetri…”. Comunque sia essere preda della gravità e vedere il mondo accelerare è davvero una sensazione strana. Il cervello mette fortunatamente il “pilota automatico” aiutandoti a compiere gesti atletici che a mente fredda forse non verrebbero.

Dopo aver cercato di “camminare” sulla parete ho potuto solo distendermi allungando le gambe senza tenderle. Quando ho “toccato” terra ho cercato di assorbire quanto più possibile la caduta con i muscoli delle gambe senza “inchiodarle” e rotolando poi di fianco in quello che è il Mae ukemi del judo o la capriola dei paracaduti: è in quel momento partono gli automatismi ed il “fattore culo” che ti permettono di rotolare indenne tra le pietre dissipando l’energia rimanente della caduta.

La faccia di Fabrizio, pietrificato in cima alla parete, era impagabile ed io, tutto sommato, ero piacevolmente soddisfatto di essermela cavata senza danno ed elettrizzato dall’inatteso “brivido”. Insieme abbiamo riso sviscerando l’accaduto e continuando la nostra salita: ora avevamo qualcosa a testa per cui sfotterci vicendevolmente!

Raggiungere la verdeggiante cima del Moregallo è stato liberatorio per entrambi e seduti sull’erba abbiamo mangiato i nostri panini godendoci gli scorci di lago tra le nuvole. Non ne avevamo mandata dritta una ma forse proprio per questo avevamo imparato molto.

La montagna con ruvida delicatezza ci aveva “bacchettato”, punzecchiato senza danno e ci avevo mostrato ad ognuno di noi  limiti e capacità per poi accoglierci nella meraviglia della sua vetta. Una giornata scanzonata e sconclusionata che mi sono goduto in ogni suo accidentato e vivo momento!

Davide Valsecchi

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