Crisi globale? La salvezza è nel local!!

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Al tempo della Lira, prima del 1° Gennaio 2002, ricordo di aver scritto sulla prefazione di un libro, l’indomani di una qualche manifestazione finita a sassi e legnate, una frase simile: “I veri No global sono i pensionati che coltivano pomodori sotto la massicciata della ferrovia“.

Oggi il mercato globale sembra essere andato con le gambe per aria, aver lasciato agli imbroglioni un campo di gioco grande come tutto il mondo in effetti è stato un errore. La cultura e la conoscenza devono essere globali, ma il mercato deve restare internazionale e non globale. Non si deve perdere la propria identità e si deve tutelare il proprio territorio perchè nella virtuale visione globale alla fine contano le persone che ci vivono accanto, i nostri vicini ed il benessere del nostro paese.

Per assurdo la globalizzazione ci ha insegnato ad apprezzare ciò che di tradizonale ci lega alla nostra terra d’orgine. in un mondo di {it:Comunità_virtuale|community} virtuali riscopriamo la {it:comunità},  un insieme di individui che condividono lo stesso ambiente fisico e tecnologico, formando un gruppo riconoscibile, unito da vincoli organizzativi, linguistici, religiosi, economici e da interessi comuni. Welcome back to Asso!!

A questo proposito volevo segnalare un articolo pubblicato su LaProvinciaOnLine da Max Lodi il 15/10/2008

Sotto l’arrembare della crisi globale, si compie la rivincita del provincialismo: persino agli occhi dei suoi più tignosi accusatori non rappresenta più un vecchio difetto, sta diventando una nuova virtù.
Ci hanno raccontato negli anni scorsi che le periferie arrancavano troppo all’indietro mentre il mondo correva in avanti: così inzeppate di sacerdoti della prudenza conservatrice, di refrattari all’abbattimento d’ogni barriera comprese quelle finanziarie, di lavoratori-risparmiatori dal profilo basso in un’epoca in cui si doveva volare alto.
La provincia tradotta come arretratezza: gran voglia di sgobbare, lodevole spinta al prodotto interno lordo del Paese, poi più nulla. Mancanza d’immaginazione, d’investimenti creativi, di gusto dell’azzardo. Riluttanza a capire che non era difficile il guadagno facile, e che perseguirlo avrebbe fatto l’interesse individuale e collettivo, con ricaduta d’ulteriore beneficio per i singoli.
Adesso ci raccontano che bisogna ripiegare sulla terra e sulla casa, magari anche sul materasso per infilarvi i soldi ritirati dai conti correnti. Ma la provincia risponde da provincia: i soldi li lascia dove li ha collocati. Perché ha fiducia non tanto (o non solo) nelle istituzioni, quanto in se stessa, nelle scelte decise con l’irrisa saggezza di genìa contadina, nell’uso radicato e radicale del buonsenso d’una volta. E che altri, e tante altre volte, hanno giudicato un nonsenso.
Alla provincia non serve il materasso, tranne che per dormire sonni che saranno pure meno tranquilli – vietando un mondo in recessione i saporiti riposi – e che sono tuttavia meno agitati che in più nobili camere da letto.
Nei giorni in cui s’annuncia vita grama per tutti, circola uno strano orgoglio, dalle nostre parti. L’orgoglio della riconferma di valori dati per sommersi se non perduti, e del recupero dei tesori custoditi nello scrigno dell’esperienza. Mentre altrove s’ideava in grande, qui si seguitava a privilegiare il piccolo: la tutela del piccolo gruzzolo, l’opzione verso il piccolo rischio, l’insistere sul piccolo artigianato, la diffusione della piccola impresa, e via con altre piccolezze che adesso si rivelano non essere -come volevano frequenti rilievi metropolitani- delle piccinerie.
La provincia, a furia di sentirselo ripetere, s’era convinta di trovarsi in grave errore, di non aver capito e colto occasioni, d’essere la retromarcia del Paese che filava a velocità sostenuta per essere al pari con i suoi concorrenti; oggi si va convincendo di avere sbagliato, se ha sbagliato in qualcosa, per difetto e non per eccesso di cautela e assennatezza.
Sicché, tra i tanti beni-rifugio di cui si chiacchiera, il maggiore appare proprio il microcosmo che la provincia rappresenta, incarna e addirittura esporta. Oggetto di reiterato dileggio quando non di vituperio, s’è d’improvviso ritrovato ad avere un mercato fiorente nelle settimane in cui l’altro ex fiorente mercato è moribondo.
Un titolo (ideale, ma mica tanto) che meriterebbe d’esser comprato, ora che tutto viene venduto, sono dunque le azioni della provincia italiana, non dell’Eni o dell’Enel o di chissà che cos’altro.
Sul lungo periodo, han dimostrato di saper offrire il maggior rendimento: nessun modello culturale ha denunciato analoga stabilità.

Ecco il link all’articolo

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