La marea nera

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La nostra collaborazione con i fundi e gli artisti locali prosegue. Il progetto in cui siamo stati coinvolti vede in campo architetti ed investitori sia italiani che internazionali, fondendo modernità ed etnico in una struttura enorme in costruzione da quasi 3 anni nel nord dell’isola. Non posso mostrarvi molto di questa perte del viaggio perchè ciò che stiamo realizzando è ancora “riservato”.

Tuttavia, sebbene sia molto interessante, nella pratica si traduce in un lavoraccio: in laboratorio alle otto del mattino cominciamo a lavorare con il saldatore ed il cannello quando ci sono già 35 gradi. Come materia prima utilizziamo metalli e lamiere di recupero: è due giorni che faccio a pezzi vecchi boiler!! Quando arriva mezzo giorno siamo fradici di sudore e sporchi dalla testa ai piedi di ruggine e fuliggine. Non abbiamo proprio l’aspetto dei turisti!!

Di solito mangiamo in un piccolo ristorante/chiosco sulla spiaggia gestito da un paio di ragazzi. Mangiamo con 5000 scellini tanzani a testa, poco più di 2 euro e mezzo. Quello che basta per farsi una scorpacciata di gamberoni, calamari, tranci di seppia e patatine (se conoscete le persone giuste ovviamente!!)

Io sono sempre stato un po’ sociopatico e confesso di non aver mai apprezzato troppo la vita da spiaggia. Sul bagnasciuga “rotolano” spesso i peggiori esempi di umanità. La montagna fa molta più selezione. Noi, ridotti in quello stato pietoso, attiriamo non poco l’attenzione dei turisti nei loro candidi vestiti color crema. Il peggio arriva quando incontriamo altri italiani.Di solito, se tengo la bocca chiusa o parlo inglese stretto, mi scambiano per un tedesco, a volte per un siriano se ho la barba lunga o in un israeliano se sono sbarbato. Io vengo da Asso, pensino ciò che gli pare basta che mi lascino mangiare in pace.

L’altro giorno però è successo il patatrac: un gruppo di abbienti veneti in vacanza a Zanzibar si piazza davanti al nostro tavolo, ordina aragosta, cicale, gamberi e fiumi di vino bianco dal SudAfrica prima di cominciare a ciarlare dei peggio pettegolezzi della politica italiana. Uno strazio. Ma prima o poi qualche parola in italiano dovevamo dirla anche noi e così è arrivata fatale la domanda che si cerca di evitare sempre: “Anche voi italiani?”

Ormai il danno era fatto, snoccioliamo i nostri nomi preparandoci a raccontare, per l’ennesima volta, che siamo qui per un progetto artistico bla bla bla… Ma questa volta qualcosa va diversamente, Enzo risponde a sorpresa:“Lavoriamo per una società petrolifera, siamo qui per un problema ad una piattaforma” Lo guardo ed in un attimo divento complice. Adoro quando si mette a fare l’idiota!!

D’altronde l’aspetto giusto l’abbiamo, serve solo dare spessore alla storia:“C’è stata una perdita nella piattaforma al largo qui davanti. C’è voluto un po’ ma abbiamo risolto, ora siamo in un cantiere un chilometro a sud di qui per sistemare l’equipaggiamento. Poi finalmente torniamo in Italia con un charter da Dar er Salam”. Enzo si inventa dettagli parlando a nastro, come è il suo forte, mentre io intevengo focalizzo i concetti principali della storia, il mio.

I turisti sono realmente prede troppo facili, è inevitabile che i beach boys di qui riescano ad imbrogliarli in ogni modo: si bevono ogni cosa!! L’esca era all’amo, il pesce aveva abboccato, serviva solo lo strappo finale:“Ma ve l’hanno detto? Vi hanno avvisato?” Le domande solo il tocco di classe, creano attesa e lasciano che la storia si costruisca da sola:“Come di cosa? Non vi hanno avvisato che c’è la possibilità che il petrolio che è andato perso in mare arrivi su questa spiaggia? Se al largo gira il vento qui diventa tutto un pantano. Sarà un vero casino”.

E’ nel momento in cui ti senti “il più spregevole” che ti accorgi che l’animo umano è realmente imprevedibile. Scopro, dalle facce, che ci sono due gruppi in questa comitiva: una coppia sta per finire le vacanze, l’altra le ha appena cominciate. Indifferenti al disastro ambientale sono preoccupati per lo più per la vacanza: i primi sono quasi trionfanti, felici di aver scampato il pericolo, gli altri disperati di rischiare le ferie. Dovrei avere scrupoli nel farmi beffe di questa gente?

Arriva Silima, uno dei ragazzi che gestisce il chiosco, il gruppetto chiede conferma anche a lui che, annuendo, risponde un laconico “Grosso problema, noi sperare non gira vento” e se ne va con i piatti diretto in cucina. Silima parla perfettamente italiano e l’avevo sentito tradurre in swahili tutta la storia ai cuoci che ora erano piegati dalle risate: si divertono un sacco a prendere in giro gli Nzungo, i bianchi. Vuoi non farli divertire?

Per un buono spettacolo serve comunque sapere quando far calare il sipario. Ci alziamo per tornare al lavoro saluando i nosti “nuovi amici” lasciando loro un ultimo consiglio:“Fossi in voi andrei sulla costa occidentale, lì non dovrebbe arrivare nulla”. Curiosamente non li abbiamo più rivisti sulla spiaggia. Seccatori in meno…

Ancora qualche settimana e poi ci si butta nella boscaglia sul continente. Godiamoci gli ultimi giorni di mare, avremo a rimpiangerli!!

Ciao da Zanzibar!!

Davide “Birillo” Valsecchi

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