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Far Far Away

Far Far Away

DSC06715«Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…» In questi giorni sto sistemando un vecchio e malconcio computer portatile: vagando tra i suoi archivi riemergono scheggie di un passato, un passato che appare lontanissimo ma che con qualche foto sembra improvvisamente rivivere. Ecco all’imporvviso l’Africa!!

Alcune di queste foto le ha scattate Enzo Santambrogio con la mia vecchia e scassata Sony. Quella gloriosa macchinetta fotografica aveva preso un sacco di botte, ma nonostante avesse una macchia sull’obbiettivo ci eravamo affezionati a lei. La utilizzavamo per le prove, per divertirci o in tutte le situazioni in cui, per rubare qualche scatto, c’era il rischio ce la sequestrassero.

Queste foto, in bassa qualità e macchiate, non potevano essere usate per le attività di Enzo, erano la seconda scelta. Curiosamente il destino ha voluto fossero loro le sole a salvarsi dalle peripezie di quei viaggi. Ironia del destino.

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Ogni tanto mi mancano quei viaggi, la spensieratezza di quella gioventù che cercava di sopravvivere a sè stessa. A volte mi manca anche Enzo, lui e le nostre insensate chiacchire con una birra in mano nei posti più strani. Sono contento di averlo rivisto tempo fa. Prima o poi, quando saremo due vecchie e coriacee cariatidi, aggiungeremo anche noi un nuovo capitolo alla nostra trilogia. Andremo a vedere il Bajkal tirandoci dietro tutti i Badgers …e magari anche qualche marmocchio.

Mi piace l’idea: non è “l’isola senza nome” ma, accidenti, che gran posti!

Davide “Birillo” Valsecchi

Asso chiama Elerai: gemellaggio intercontinentale!

Asso chiama Elerai: gemellaggio intercontinentale!

Quando studiavo alle scuole medie la mia classe fu la prima a prendere parte allo scambio interculturale con i coetanei di Saint Peray, in Francia. All’epoca le lettere erano scritte a mano ed inviate con l’affrancatura per la posta aerea. Per noi, poco più che bambini, era un gioco epistolare che divenne poi un’esperienza reale e concreta quando i ragazzi francesi vennero in visita ospitati dalle famiglie.

Quell’iniziativa, nata da studenti e da insegnati, si consolidò poi in un gemellaggio sancito dalle autorità e che ogni anno si rinnova nelle consuete celebrazioni. Oggi ai gemellaggi si dedicano nomi di strade, gagliardetti, titoli e riconoscimenti ma tutto ebbe origine su un foglio da lettere a righe, dalla penna di ragazzini alla scoperta di un mondo sconosciuto.

Una busta, una foto a colori, due righe in francese ed una speranza in viaggio per via aerea: ecco l’avventura di un gruppo ragazzi di tredici anni negli anni ’80.

Si dice che una generazione sia stata una buona generazione quando il suo punto d’arrivo è il punto di partenza di quella successiva. Per questo è con grande soddisfazione, ed una punta di orgoglio, che voglio raccontarvi la nuova iniziativa che sta prendendo vita nelle scuole di Asso: uno scambio interculturale tra la scuola di Asso ed Elerai, la scuola di un villaggio Masai a ridosso del Kilimangiaro in Tanzania.

Con l’aiuto della nostra inarrestabile Professoressa Giulia Caminada i ragazzi di Asso stanno per affrontare un’avventura davvero impensabile fino a qualche anno fa: grazie al supporto di Marco Pugliese, direttore del portale African Voices, è stato possibile stabilire un contatto con Elena Gallenca, responsabile della scuola di Elerai, dando inizio a questo esprerimento.

Elerai è situata nella periferia di Arusha, in Tanzania, ed i suoi studenti sono prevalentemente di etnia Masai. Grazie ad Internet le due scuole inizieranno a scambiarsi email imparando a conoscersi. Cambiano gli strumenti ma l’emozione è sempre la stessa mentre gli orizzonti si allargano a dismisura.

Quando ero alle medie il Professor Durandi ci fece leggere un romanzo che aveva per protagonista un Quipu, uno strumento Inca fatto di cordicelle di cotone annodate. Si crede che i Quipu ed i loro nodi fossero un linguaggio per conservare la memoria ben oltre il semplice computo aritmetico.

Nei miei precedenti viaggi ho creato “legami” con la Professoressa Caminada, con Marco Pugliese, con i ragazzi di BlogGiornalismo e con i lettori di African Voices. Ho creato, attraverso i racconti di “cima”, legami anche tra la nostra piccola Asso e la grande Africa.

In questa iniziativa io mi sono limitato ad “annodare” un po’ questi legami in modo che assumessero significati nuovi ancora tutti da scoprire: tutto è nato da loro, con un naturalezza ed una spontaneità magnifica! La storia e l’avventura che sta per iniziare appartiene ora ai ragazzi di questi due continenti così diversi: buona fortuna Asso, buona fortuna Elerai!!

Davide Valsecchi

Io darò notizia degli sviluppi ma se volete seguire questo viaggio potete visitare i seguenti siti:

Hemingway, Babati e gli ippopotami

Hemingway, Babati e gli ippopotami

Monte Hanang dal lago Babati
Monte Hanang dal lago Babati

Mentre per il trasloco impacchettavo  i libri  mi è capitata in mano una vecchia edizione di “Verdi Colline d’Africa”. Il libro, stampato nel 1972, reca sulla copertina il nostalgico costo di Lire 700. Inevitabilmente ho cominciato a leggere qualche pagina a caso:

“Non mi piace fare domande, e sono cresciuto in un ambiente in cui non è educato farne. Ma erano due settimane che non si vedeva un bianco, da quando avevamo lasciato Babati per il sud, e intopparne uno su quella strada dove si incontrava solo qualche mercante indiano era una cosa davvero straordinaria.”

Babati? Sentire Hemingway nominare quel nome mi fece ricordare qualcosa. Poi nella mia mente presero forma le immagini: come potevo dimenticare Babati!!

Già perchè Babati è una piccola cittadina, poco più che un villaggio per i nostri standard, nel cuore delle Tanzania. Io ed Enzo ci siamo stati all’inizio del 2010 dopo le nostre peregrinazioni nel Tanganica. Arrivammo a Babati in pullman lungo la strada in terra battuta che proveniva da Kondoa dove avevamo speso alcuni giorni fotografando le pitture rupestri. Era giorno di mercato e la strada era affollata di gente che portava frutta ed altre mercanzie al mercato in riva al piccolo ed omonimo lago.

Cosa ci aveva portato sulle tracce di Hemingway? Beh, presto detto: gli ippopotami. Io volevo assolutamente vedere i grandi “cavalli d’acqua” e così Enzo accettò di fare una piccola sosta lungo la strada per Katesh ed il monte Hanang.
Per due giorni il tempo incerto funestava le nostre giornate mentre ci spingevamo nei canneti a bordo di una piccola piroga per scorgere e fotografare gli ippopotami. Il periodo era il peggiore perché, oltre al cattivo tempo, le femmine potevano diventare particolarmente aggressive per proteggere i giovani cuccioli.

Sentir “ruggire” un ippopotamo fa una certa impressione così come ascoltarlo mentre sbuffa e si agita tra il fitto della vegetazione che cresce sull’acqua del lago. Alla fine siamo riusciti a scorgerli con mia grande soddisfazione.

Verdi colline d’Africa è un libro speciale: “…a differenza di quanto avviene solitamente nei romanzi, nessuno tra i personaggi e i principali avvenimenti contenuti in questo libro è immaginario. L’autore ha cercato di scrivere un libro completamente vero per vedere se il profilo di una ragione e l’esempio di un mese di vita descritti con fedeltà possano competere con un opera di fantasia.”

E’ uno dei primi diari di viaggio, un genere narrativo nuovo e che rivive un po’ anche nei racconti delle spedizioni e delle iniziative realizzate da me ed Enzo. Inevitabilmente ci troviamo a ripercorrere, con molta umiltà, le orme di grandi scrittori e famosi avventurieri raccontando, sempre con molta umiltà, anche la nostra piccola storia.

Tuttavia, contrariamente ai grandi del passato, noi abbiamo il grande privilegio di raccontarvela quasi dal vivo giorno per giorno: Tanzania River Horse: 19 Aprile 2010

Davide “Birillo” Valsecchi

Tanzania the Movie

Tanzania the Movie

Verso l'Hanang
Verso l'Hanang

Sono passati ormai quasi otti mesi dal 21 Aprile 2010: sembra trascorsa un eternità da quella mattina buia in cui, Enzo ed io, ci siamo incamminati su per il monte Hanang nel cuore dell’Africa.

Ricordo che mi mancava il fiato quella mattina, avevamo fatto un lungo e scomodo viaggio  fino a Kathesh ed avevamo riposato solo mezza giornata: cominciavo ad essere stufo di mangiare solo  pollo arrostito a pezzi e mi sentivo stanco.

Mi mancava il fiato quella mattina ed al buio respiravo lento ad ogni passo perchè le gambe ed il corpo si adattassero a quella piacevole sensazione che è camminare: rotto il fiato e scaldati i muscoli potevo immergermi nell’avventura della scoperta.

Il vento soffiava forte come se scappasse nel buio dall’alba incalzante che nasceva sulla pianura. Enzo camminava davanti a me: la montagna, il vecchio vulcano, era coperto di vegetazione ed il ripido sentiero saliva lento ed incessante lungo il suo fianco occidentale.

Nei suoi 3415 metri svettava al di sopra delle nuvole che spinte dal vento si ammassavano sulle sue pendici: un emorme piramide posta nel mezzo di una sterminata pianuta verde costellata di laghi.

Mi ero quasi dimenticato di quella salita, il ricordo si era quasi assopito nella memoria per tornare ora, riguardando le foto, nuovamente vivo e vibrante: che bella montagna, solitaria e magnifica in un mare di nuvole.

Ho finalmente “montato” i filmati di quel giorno in una piccola clip. Spero vi faccia piacere vedere l’Africa dall’alto così come abbiamo potuto fare noi quel giorno:

Qui trovate il racconto di quella gioranta che scrissi la notte stessa quando tornammo finalmente a valle: Sopra le nuvole d’Africa

Davide “Birillo” Valsecchi

Il viaggio continua!!

Il viaggio continua!!

Racconti dall'Africa
Racconti dall'Africa

Piove e fa un freddo terribile ma siete sicuri sia Primavera da questa parte di mondo?! Così, per sconfiggere il cattivo tempo che ci affligge, ci rituffiamo tra i ricordi dell’Africa tratti dal “più che recente” viaggio in Tanzania.

Via Internet ho conosciuto Marco ed Andrea, i due fondatori un portale Facebook dedicato all’Africa: African Voices.

Il progetto si prefigge di raccontare l’Africa come di solito non avviene sui media e sulle Tv. Collaborano alla loro iniziativa amanti di questo continente, persone che ci vivono o vi lavorano ma anche coloro che hanno dovuto lasciare quella terra: medici, scrittori, professionisti, blogger, studiosi e tanta gente comune.

Marco ed Andrea sono rimasti colpiti dai nostri racconti e mi hanno chiesto di poter pubblicare sui loro spazi le nostre storie. Ogni due o tre giorni ri-pubblicano un mio articolo e, a quanto pare, sembrano sempre più apprezzati. In parte è  buffo: è come se il nostro viaggio, solitamente raccontato in diretta, sia ricominciato e continui ancora.

Mi ha fatto molto piacere il loro invito. Nei prossimi giorni hanno organizzato una specie di “incontro virtuale con l’autore” sempre via internet. Una specie di “botta e risposta” con i loro lettori. Vedremo cosa accadrà.

Intanto, spulciando sul web, ho trovato qualcosa che volevo sentire mentre ero in Africa. Qualche giorno prima di partire verso casa avevo inviato via e-mail un “riassunto” del nostro viaggio ad Ariele ed Eleonora, i due conduttori di Passengers, il programma del mattino di LifeGate Radio.

Quei due, a bordo del loro ecobus a zonzo per l’Italia, mi fanno impazzire: hanno letto la nostra storia come solo loro due erano in grado di fare. Se ve la siete persa eccola di nuovo: Ariele ed Eleonora ne “La letterina di Birillo dall’Africa

Ascolta la registrazione:

Un abbraccio a tutti voi!!

Davide “birillo” Valsecchi

Grazie Dottor Paolo Anzani!!

Grazie Dottor Paolo Anzani!!

Uno sguardo sull'Africa
Uno sguardo sull'Africa

L’anno scorso, prima di partire per il viaggio in Himalaya, avevo preso contatto con Acuvue, il marchio Jhonson & Jhonson che produce le lenti a contatto che uso ormai da anni per sopperire alla miopia.

I responsabili dell’azienda si sono dimostrati gentilissimi e mi hanno inserito nel programma di test finali prima della messa in commercio del nuovo modello di lenti contatto usa e getta progettate per lo sport: le 1-DAY ACUVUE TruEye.

Mi hanno messo a disposizione queste nuove lenti a contatto e mi hanno presentato il Dottor Paolo Anzani di Como. Paolo è infatti uno degli oculisti italiani più conosciuti nel campo delle lenti a contatto, uno dei dottori che si occupa di condurre gli studi di verifica prima che un prodotto per la vista sia messo in vendita sul mercato italiano.

Prima della partenza, ogni venti giorni, mi recavo presso l’Ottica Vittani di Como dove il Dottor Anzani valutava il comportamento dei miei occhi e delle lenti, acquisendo ed archiviando dati ed immagini con i suoi strumenti. Al ritorno dal Ladakh, dopo tre mesi passati tra le montagne, abbiamo effettuato altri controlli valutando il comportamento delle lenti in un ambiente difficile come quello in quota ed il loro effetto sui miei occhi. Le lenti si sono dimostrate quanto di meglio avessi mai usato.

Se le lenti sono buone posso dirvi che Paolo è straordinario! Nell’ultimo anno grazie a lui molti dei problemi legati alla vista di cui ero affetto sono stati risolti ed ho imparato veramente molto sui miei occhi e su come prendermene cura. Paolo segue molti sportivi tra i quli un gran numero sono di altissimo livello: piloti di moto, nuotatori, sciatori, ginnasti e corridori. Tutti campi in cui la vista è fondamentale e sottoposta a situazioni difficili.

La sua esperienza è enorme ma ciò che lo rende veramente speciale è la gentilezza e la disponibilità con cui si confronta con i suoi pazienti. E’ uno di quei rari medici in grado di metterti a tuo agio offrendoti al contempo una competenza impareggiabile.Tutte le persone a cui ho consigliato di farsi visitare da lui hanno confermato questa piacevole esperienza.

I magnifici occhiali in plutonite della Oakley di cui mi sentite orgogliosamente parlare ogni due per tre sono sempre merito suo. Paolo ha semplicemente contattato i laboratori americani della Oakley, per cui esegue i test italiani, e ci ha fatto avere questi magnifici occhiali per proteggere i nostri occhi dalla luce himalayana.

La vista è realmente qualcosa di importante e a volte basta una giusta scelta dei materiali o un buon consiglio per migliorare radicalmente il nostro sguardo sul mondo. Se avete qualche problema o avete bisogno di qualcuno di cui fidarvi lui è la persona giusta. Lo trovate a Como in Piazza Vittoria 23, di fronte ai bastioni di Porta Torre accanto al Tribunale.

Per questo motivo voglio ringraziarlo con la massima ufficialità: se ho potuto “vedere” l’Africa e godere di quei magnifici scenari lo devo a lui, grazie Paolo!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Verdi colline d’Africa

Verdi colline d’Africa

E.H.
E.H.

“Ho una vita interessante, ma devo scrivere perché se non scrivo in una certa misura non posso godermi il resto della mia vita”

Oggi è il 2 Maggio e per me è una giornata diversa, differente da come nessuna altra durante l’anno può esserlo. E’ forse il giorno in cui tutto è cominciato o forse quello in cui tutto ha smesso di avere un senso. E’ un giorno folle reso quasi sopportabile che solo dal ricordo degli anni felici che l’hanno preceduto. Non è un buon giorno per scrivere, per lasciare uscire ciò che si agita dentro.

Questa notte ci aspetta l’aereo verso il Cairo e poi via verso Casa. Per chiudere il ciclo delle nostre avventure africane gioco il Jolly e chiamo in mio soccorso niente meno che un premio Nobel. Ecco un passaggio di Ernest Hemingway:

Sicché il mattino dopo partimmo alla testa dei portatori. Scendemmo attraversando le colline e una valle profondamente boscosa per risalire e attraversare un lungo altipiano ricoperto di erba altissima che rendeva il camminare molto difficile, e via e su e giù e per traverso, riposandoci di quando in quando all’ombra di un albero, sempre tra erbe altissime tra le quali ci si doveva aprire una strada, e sotto un sole scottante. Tutti e cinque in fila indiana. Droopy e M’Cola con una grossa carabina per uno, carichi di tascapani, borracce e macchine fotografiche, tutti quanti grondanti sudore nel sole, Pop e io con i nostri fucili e la memsahib che cercava di imitare il passo di Droopy col suo Stetson sulle ventitré, felice di trovarsi in una spedizione, e dei suoi stivali tanto comodi. Arrivammo infine a una macchia d’alberi spinosi su di un burrone che scendeva dal sommo di una cresta sino all’acqua, appoggiammo i fucili contro gli alberi, entrammo sotto l’ombra spessa e ci sdraiammo a terra. P.V M. cavò fuori dei libri da uno degli zaini. Lei e Pop si misero a leggere, mentre io scendevo nel valloncello sino al ruscello che usciva dal fianco del monte e trovai un’orma fresca di leone e molte gallerie aperte dai rinoceronti nell’erba più alta di un uomo.Faceva un caldo tremendo a risalire il pendio sabbioso, e fui felice d’appoggiare la schiena a un tronco d’albero e leggere Sebastopoli di Tolstoj. È un libro di giovinezza, con una bella descrizione di battaglia, là dove i francesi conquistano la ridotta, e io pensavo a Tolstoj, al gran vantaggio che l’esperienza di una guerra rappresenta per uno scrittore. La guerra è certamente un gran soggetto, difficilissimo a trattare con verità. Gli scrittori che non l’hanno vista cercano di farla passare per un soggetto poco importante, o anormale, o morboso, mentre in realtà è semplicemente qualcosa di insostituibile che è sfuggito loro. Sebastopoli mi ricordò il boulevard Sebastopol, il mio ritorno in bicicletta da Strasburgo sotto la pioggia, le rotaie sdrucciolevoli del tram, la sensazione di avanzare su dell’asfalto untuoso e scivoloso e sul lastrico di pietra nel gran traffico sotto la pioggia, e il fatto che fummo lì lì per abitare sul boulevard du Temple; e mi tornava alla memoria l’aspetto di quell’appartamento, i mobili, la tappezzeria: ma invece avevamo preso in affitto il piano superiore d’un padiglione in rue Notre Dame-des-Champs in un cortile dove c’era una segheria (e lo stridere improvviso della sega, l’odore della segatura e il castagno al di sopra del tetto e la pazza del pianterreno), e quell’anno pieno di seccature e di difficoltà in fatto di denaro (tutte quelle novelle rifiutate che mi ritornavano per posta attraverso una fenditura della porta della segheria, con delle lettere che non le chiamavano mai novelle, ma aneddoti, bozzetti, racconti, ecc.: non ne volevano sapere e noi vivevamo di cipolle bevendo vino di Cahors annacquato), e le fontane cosi belle nella place de l’Observatoire (con l’acqua lustra che mormorava sul bronzo delle criniere, sulle schiene e i petti di bronzo, verdi sotto l’esile filo d’acqua), e il giorno che innalzarono il busto di Flaubert nel giardino del Lussemburgo, nella scorciatoia che taglia il parco verso la rue Soufflot (un uomo nel quale credevamo, che amavamo senza riserve, ora pesante nella pietra come dev’essere ogni vero idolo). Egli non aveva visto guerre, ma aveva visto una rivoluzione e la Comune, e la rivoluzione è anche meglio, pur di non diventare fanatici, perché tutti parlano la stessa lingua. E la guerra civile è la migliore per uno scrittore, la più completa. Stendhal aveva visto una guerra e Napoleone gli aveva insegnato a scrivere. L’insegnava a tutti, allora, ma nessun altro ne approfittò. Dostoievskij fu formato dalla Siberia: gli scrittori si forgiano nell’ingiustizia come si forgiano le spade. Mi chiesi se mandare Tom Wolfe in Siberia o alle Tortugas sarebbe stato utile per farlo diventare uno scrittore, se questo avrebbe potuto dargli la scossa necessaria perché cominciasse a tagliar corto a tutto quel suo flusso verbale e imparasse che cos’è il senso della misura. Forse sì, forse no. Wolfe pareva veramente triste, come Carnera. Tolstoj era piccolo, Joyce è di media statura e si è rovinato la vista. E quell’ultima sera, ubriaco, con Joyce che continuava a ripetere una frase di Edgar Quinet: “Fraiche et rose comme au jour de la bataille”. La frase non era proprio cosi, lo sapevo bene. E a incontrarlo, era capace di riprendere una conversazione interrotta tre anni prima. Era bello vedere un grande scrittore all’epoca nostra. Quel che io dovevo fare era lavorare, m’importava poco di quel che mi sarebbe potuto accadere, la vita non la prendevo sul serio. Quella degli altri, non m’importa quali, sì, ma la mia no. Tutti desideravano qualcosa che io non desideravo affatto, ma che avrei ottenuto anche senza volere, lavorando. Lavorare era l’unica cosa che mi facesse stare veramente bene; ed era anche la mia dannata vita, e io l’avrei potuta indirizzare dove e come meglio mi fosse piaciuto. E il luogo dove ora l’avevo condotta mi garbava molto. Questo ciclo era più bello di quello d’Italia. Non era per niente vero. Il ciclo più bello era quello d’Italia, di Spagna e del Nord-Michigan di autunno. E d’autunno nel golfo al largo di Cuba. Era possibile trovare un ciclo, ma non un paese più bello. Quel che desideravo sin d’ora era ritornare in Africa. Non l’avevamo ancora lasciata, ma già sapevo che svegliandomi la notte sarei rimasto in ascolto, pieno di nostalgia. Ora a guardare dal corridoio fra gli alberi al disopra del valloncello il ciclo percorso da nubi bianche spinte dal vento, amavo tanto questo paese da sentirmi felice come ci si sente quando si è stati con una donna che si ama veramente, quando, svuotati, lo si avverte che rinasce e gonfia su di nuovo, è lì e non si potrà avete del tutto ma pure quel che c’è ora si può avere, e se ne vuole sempre di più, per averlo ed essere e viverci dentro, per possederlo ora di nuovo e per sempre, per questo lungo e cosi rapidamente terminato “sempre”: e il tempo diviene immobile, tanto immobile talvolta che, dopo, ci attendiamo di sentirlo, a muoversi, ed è cosi lento a ripartire. Ma non si è soli, perché se hai amato davvero con felicità e senza tragedie, essa ti ama sempre. Chiunque lei ami adesso, o dovunque sia, essa ti ama sempre di più. Cosi se hai amato qualche donna o qualche paese ti puoi ritenere fortunato, perché se anche muori, dopo, non ha importanza. Ora, trovandomi in Africa, ne volevo sempre di più, avido dei cambiamenti di stagione, delle piogge quando non hai necessità di viaggiare, dei piccoli disagi per i quali hai pagato perché tutto sembri più vero, dei nomi d’alberi, di piccoli animali e di tutti gli uccelli, e di sapere la lingua, e della possibilità di restarci e di percorrerla senza fretta. Ho sempre amato i paesi, i paesi son molto migliori della gente che li abita. Mi son potuto interessare solo di pochissime persone alla volta. P.V.M. dormiva. Era sempre adorabile mentre dormiva, acciambellata stretta come un animale, senza quell’apparenza di cosa morta che aveva Karl quando dormiva. Anche il sonno di Pop era tranquillo, si vedeva che la sua anima stava ristretta nel suo corpo, che non era più in grado di albergarla convenientemente. Era invecchiato, cambiato, qui si era ispessito perdendo i contorni, lì si era gonfiato un poco, ma sotto era giovane, snello, grande e solido come ai tempi in cui inseguiva il leone nella piana di Wami, e le borse sotto gli occhi non erano che esterne cosicché io lo vedevo ora addormentato come P.V.M. lo vedeva sempre. M’Cola non era che un vecchio addormentato, senza storia e senza mistero. Droopy non dormiva, accucciato sui talloni attendeva l’arrivo dei portatori. Ernest Hemingway

Direi che per oggi possa bastare così…

D.B.V.

Tropical Rain

Tropical Rain

Giorno e notte
Giorno e notte

Quando da queste parti arriva il monsone comincia a piovere per davvero: viene giù a secchi e non sembra finire mai! Di notte il vento forte e l’acqua scuotono il nostro “banda” e la nostra piccola capanna con il tetto in paglia sembra sempre sul punto di andare in pezzi. Ormai tutto il nostro equipaggiamento è zuppo!!

Qui, sull’isola di Mafia, tutto sembra spento, addormentato. Durante il resto dell’anno questa è la sede di un importante parco marino sull’Oceano Indiano ma in questa stagione non ci sono visitatori: niente turisti e nessun albergo aperto. L’isola sembra deserta, abbandonata. I locali stanno rintanati nelle case, al riparo dalla pioggia, ed anche il mercato è invaso dall’acqua. La sensazione, in questo grigio tropicale, è quasi surreale.

L’altra sera pensavo che il vento avrebbe scoperchiato la capanna ma si è limitato a diveltere i pali della corrente. Ora siamo di nuovo senza humeme, di nuovo al buio con qualche candela per la notte. Vi scrivo a braccio, finita la batteria del portatile saranno finite le trasmissioni. Almeno fino al nostro ritorno o fino a quando il sole non tornerà ad irraggiare i nostri pannelli fotovoltaici.

Tuttavia vi dirò: non è poi così male! Passiamo la giornata camminando sotto la pioggia tra la spiaggia e la scgliera coperta di fitte mangrovie e palme. La costa occidentale è molto più selvaggia di quella orientale dove ci sono le spiagge protette del parco. Spesso, quando la marea si alza fino al suo limite, siamo costretti a tornare al campo immersi fino alle spalle nell’acqua scura ed oleosa tra le piante. A volte più che il mare sembra una giungla o una palude salmastra. Mi piace, è uno scenario imprevisto, diverso.

Quando esce qualche rara schiarita ed il sole ci permette di scaldarci un po’ ma è sorprendente quanto, con il cattivo tempo, faccia freddo anche ai tropici. Mentre vi scrivo cuciniamo alla griglia i barracuda che abbiamo comprato dai pescatori ma, nonostante tutto l’esotico che ci circonda, ho la sensazione di fare campeggio in “Valle Bassa” in Autunno, sotto la pioggia. Se avessimo vino rosso ed un salame sarebbe quasi come a casa!!

Hakuna Matata gente, Lunedì saremo di nuovo tra quelli di Asso!!

Davide “Birillo” Valsecchi

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