Author: Davide Valsecchi

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Grignetta: Segantini in Notturna

Grignetta: Segantini in Notturna

Abito a Caglio, a pochi metri dalla casa dove abitò Giovanni Segantini, lungo il percorso che è una mostra permanente a cielo aperto a lui dedicata. All’orizzonte davanti a me, alle spalle dei Corni di Canzo, si innalzano le due Grigne e la sera, quando il sole si abbassa, la Cresta Segantini brilla in una luce rossastra. La storia alpinistica è particolare, i primi tentativi furono infatti effettuati “dall’alto”! La prima discesa della cresta, ad opera di Giacomo Casati – in solitaria, risale al 13/03/1901. Seguirono poi altri tentativi esplorativi dal basso ed un’altra discesa ad opera di Giuseppe Dorn. Poi la prima salita integrale: Eugenio Moraschini e Giuseppe Clerici il 09/10/1905, che dedicarono l’impresa al famoso pittore espressionista, da pochi anni scomparso in Engadina. Il mio rapporto con la cresta è abbastanza strano, sebbene sia una super-classica l’ho percorsa integralmente solo una volta, in inverno con la neve, e a tratti nella parte finale uscendo dai Pilastri. Così, per colmare questa lacuna e per sfruttare tanto il dopo-lavoro estivo quanto la Super-Luna, io e Mattia ci siamo dati appuntamento ai Resinelli. Alle 17:43 abbiamo iniziato a salire verso il Colle Valsecchi lungo la Direttissima, alle 19:30 siamo all’attacco e con grande calma ci imbraghiamo iniziando la nostra salita lungo la cresta nella più assoluta solitudine verso le 20:00. Il sole ci ha accompagnato salutandoci con un intenso tramonto rosso più o meno alla base del Torrione Svizzero. Giunti al torrione della Finestra era ormai completamente buio e la roccia era illuminata solo dalle nostre frontali. Nell’oscurità il traverso che porta al Canale della Lingua – che io ricordavo come un omogeneo scivolo invaso dalla neve – è invece un susseguirsi di canaletti, detriti ed inaspettati salti: davvero suggestivo. Risaliamo la lingua in conserva, a corda distesa, fino all’uscita del Pilastro Centrale proseguendo poi per l’intaglio della ghiacciaia. Anzichè disarrampicare, con la scusa del buio, ci concediamo una comoda doppia prima di risalire l’ultimo tratto della cresta. La super-luna, come forse era prevedibile facendo due rapidi conti sulla geografia dell’universo, si mostra a noi solo in cima alla Cermenati e ci accompagna fino alla vetta. Più o meno verso le 00:30 siamo in cima, accanto alla croce, in mezzo ad una curiosa moltitudine di gente che bivacca quà e là dentro e fuori il Ferrario. La discesa lungo la Cermenati è la consueta interminabile tortura ed all’01:20 siamo nuovamente al Subaru. Il GPS sentenzia che abbiamo impiegato 7 ore e 45 minuti: decisamente lenti, anche con il buio. Tuttavia non ricordo passaggi particolarmente dispendiosi o momenti in cui abbiamo perso tempo: probabilmente non avevamo voglia di correre e, tiro dopo tiro, ci siamo tirati in vetta coccolati dal buio. Già, perchè l’oscurità ti sottrae ai vuoti della cresta adagiandoti in un mondo più piccolo, fatto di roccia ed ambio giusto l’ampiezza della luce della frontale. Quando si arrampica al buio si fa fatica a vedere dove piazzare i piedi e si va a tentoni con le mani, c’è un inconfessabile inquietudine di sbagliare strada ma, tutto sommato, si arrampica con un’inspiegabile serenità. Certo, la notte sull Pizzo d’Eghen del 4 luglio di qualche anno fa può essere una simpatica eccezione a questa regola, ma forse è proprio quel ricordo a rendere serena la nostra cordata al buio

Grignetta: serata al Sigaro

Grignetta: serata al Sigaro

L’ultima volta che ero stato sul Sigaro Dones era inverno, faceva un freddo terribile e le dita, al contatto con la roccia, erano rigide e spaventosamente insensibili. Però eravamo allenati, molto allenati. Anzi, arrampicare in quelle condizioni faceva parte del nostro allenamento: gradi bassi, difficoltà alte. Che coppia di sciroccati! Ma probabilmente questo ci ha salvato il pelo in passato, quando non contava essere forti quanto essere resistenti. Ieri sera invece c’era un piacevole caldo estivo, almeno fino a quando non si è alzato un gran vento e la maglietta a maniche corte ha lasciato posto ad un bel pile. Tuttavia nulla di paragonabile all’altra volta, si stava bene, anche se il sole correva all’orizzonte. Abbiamo attaccato alle sette, dal Canalone Porta, ed abbiamo seguito le orme di Fasana e Dones fin sù alla croce. Io sono abbastanza convinto che quà e là il percorso attuale differisca da quello originale, quei due erano forti ma soprattutto intelligenti ed in apertura nell’ignoto abbiano fatto scelte diverse, meno sportive e più spartane. Questione di metri probabilmente, ma ormai forse poco importa. Una doppia infinita nel vuoto e siamo di nuovo alla base: il buio è calato quando eravamo ormai già sul sentiero verso il bar. Questa per me è la prima via dell’anno e, forse, basterebbe questa riflessione sulla mia attuale preparazione. Se arrampichi poco, arrampichi male: probabilmente è vero, perchè non è questione di forma fisica quanto di sensibilità e propriocezione. Ma in fondo anche questo poco importa: io sono e resto tanto scarso quanto cocciuto. Va bene così. Comunque sia, dal buio delle grotte del San Primo siamo riemersi nel tramonto sulle guglie della Grignetta: non male come dopolavoro per due vecchietti con famiglia.

Resegone: Gamma 12

Resegone: Gamma 12

Le due più celebri ferrate del Resegone, la Gamma 1 e la Gamma 2, sono state riaperte qualche tempo fa dopo un lungo periodo di manutenzione. Io avevo voglia di fare un giro al Resegone e così, anche per vedere le modifiche, mi sono imbarcato nella classica 1+2. Anno dopo anno sono sempre meno affascinato dalle ferrate, anzi, più vengono convertite e pubblicizzate a scopi “ludici” meno ne giustifico l’ingerenza. La Gamma1 resta “orrenda” così come la ricordavo: un’infinita sequenza di scale a pioli appese nel vuoto, su cui si ha la costante e spiacevole sensazione di essere appesi ad un traliccio. L’unica cosa buona della Gamma1 è che prima o poi finisce e ti ritrovi dritto per dritto in cima al Pizzo d’Erna. Punto. La Gamma2 invece resta un intenso viaggio tra le dolomitiche ma verdeggianti pareti del Resegone: il suo tracciato è strepitoso e si addentra “logico e scaltro” in una zona assolutamente bellissima. Quando era stata chiusa avevo sperato che, soprattutto per mancanza di fondi, fosse “convertita” in una super-classica di arrampicata. Un vione infinito che, ripercorrendo l’itinerario della ferrata in modo quasi storico, avrebbe permesso una straordinaria ed impegnativa esperienza ai salitori. Ma ahimè, i soldi sono saltati fuori e la Gamma2 è oggi probabilmente la punta di diamante delle ferrate ricreative del lecchese. Le catene sono state sostituite da cavi metallici ed i punti più difficoltosi semplificati da nuove staffe. Rimane tuttavia un percorso impegnativo, tutt’altro che banale, in alcuni passaggi tanto tecnico quanto fisico. Le vecchie catene avevano difetti e pregi, i nuovi cavi non mi convincono molto. Non puoi allongiarti frazionando come avveniva – in caso di bisogno – con le vecchie catene. Sono rigidi e quindi più simili ad una pertica che ad una corda quando sei costretto ad appenderti; sul verticale sembrano rampe di lancio per missili in caso di caduta. Certo, l’idea che la catena “rallentasse” una caduta è probabilmente illusoria, ma qui la certezza di fiondare dritto per dritto è assoluta. Il Resegone resta però un luogo di una bellezza straordinaria ed ho avuto una certa nostalgia nel rivedere alcune linee salite in passato quando anni fa, ogni mercoledì, scorrazzavo con Ivan curiosando le rocce ed i canali: c’è ancora un mondo intero e spesso sconosciuto tra quegli anfratti. 
Anello Foppabona e Valbona

Anello Foppabona e Valbona

La Val Biandino è sicuramente molto bella, ma a me piace curiosare negli itinerari meno frequentati e noti. Così, visto che lo scorso anno avevamo percorso la Cresta Sud del Pizzo di Cam, abbiamo deciso di visitare le due valli che lo cingono sempre a Sud: la valle Foppabona e la Valbona. Partiti da Introbio abbiamo intrapreso la vecchia massicciata di Sant’uberto salendo alle Baite di Piazzolo ed al Passo della Pianca. Superato il passo il Pizzo di Cam fa bella mostra di sè mentre sulla destra, in uno scenario decisamente alpino e “granitico”, risale la valle Foppa Bona fino all’omonimo passo lungo la Dorsale Orobica Lecchese. Larici e rododendri fanno da contorno alla roccia grigia che pare granito ma che è “Sienite”: una roccia magmatica plutonica simile ai graniti, ma diversamente da questi ultimi, priva di quarzo o con quantità di quarzo relativamente piccole. Uno scenario molto suggestivo, specie nella luce brillante, che ci conduce fino al Passo di Foppabona e quindi ai 2195 metri dello Zucco di Cam. Dalla cima, erbosa e morbida, si gode di uno straordinario panorama e di un inconsueto ma privilegiato punto di vista su tutte le valli e le montagne circostanti. Per la discesa ci abbassiamo al passo di Valbona spingendoci poi verso la vecchia miniera de “La Virginia”, di cui è stato restaurato l’ingresso. Da qui discendiamo la valle seguendo un sentiero piuttosto “selvatico” ma gradevole (agli amanti del genere!). Una famigliola di capre selvatiche fa mostra di sè fuggendo, non particolarmente preoccupata delle nostra presenza, a grandi salti tra le rocce. Il sentiero, a tratti decisamente imboscato, scende lungo la valle allungandosi poi lungo il fianco della montagna senza mai abbassarsi sulla strada per la val Biandino se non prima dell’ultimo ponte. Scesi alla Fontana di San Carlo rientriamo ad Introbio. Bel Giretto: 17.5km di sviluppo per 1.999 metri di dislivello positivo.

[Speleo] Casello del Sorello

[Speleo] Casello del Sorello

Non ne sono sicuro ma credo che in dialetto il “sorello”, per il modo in cui è utilizzato in diverse circostanze, sia il termine con cui si indica l’aria fredda che esce dalla terra. Nello specifico il “Casello del Sorello”, nell’omonima Valle del Sorello sul fianco del San Primo, è un piccola – e ormai diroccata – struttura in sassi dove un tempo si sfruttava l’aria fredda che usciva dalla roccia per conservare il cibo: un naturale frigo ad aria fatto di pareti di sasso costruito attorno ad un piccolo foro nel terreno che “soffia”. Il Casello è negli anni caduto in abbandono ma gli speleologi sono orami due o tre decenni che investigano sul “sorello”, allargando piano piano la cavità ed inseguendo l’aria fredda che risale dal basso. Il lavoro di scavo compiuto è enorme, ma la grotta ancora si nega ed ancora oggi nessuno sa con certezza se, più avanti, attendano enormi saloni ed un ramo di grandi dimensioni. In ogni caso siamo andati a dare un occhiata

Calvarone e Colmenacco

Calvarone e Colmenacco

Il caldo comincia a farsi sentire sulle montagne del Triangolo Lariano ma, con qualche accortezza, si può sfuggire alla calura e godere dello straordinario panorama del lago. Partiti dall’abitato di Erno guadagniamo quota attraversando i boschi a mezza costa. Il versante occidentale ci offre una piacevole salita in ombra fino all’Alpe Colmenacco. Da qui, con un breve tratto, raggiungiamo il grande masso erratico “Calvarone”. Le dimensioni di questo enorme blocco di granito sono ragguardevoli, per salirci sopra vi è infatti una scala di legno con più di una decina di chiodi. La sommità del masso è una pianeggiante terrazza naturale sul lago. Dal Calvarone siamo poi risaliti, attraverso un pittoresco bosco di betulle, alla cima del Colmenacco prima di scendere nuovamente allo stagno dei Piani di Erno ed all’omonimo paese. Prima che la calura pomeridiana iniziasse a farsi sentire eravamo nuovamente a Caglio, piacevolmente con un bicchiere in mano.

Lago di Spluga da Civo (Val Masino)

Lago di Spluga da Civo (Val Masino)

Il cartello indica perentorio “Lago di Spluga – 5 ore”. Non è un inizio incoraggiante ma la verità è che ci aspettano 1700 metri di dislivello positivo e quasi 15 km tra andata e ritorno. Tuttavia la giornata è bella e la Valle di Spluga, tributaria della Val Masino e da non confondere con l’omonima Valle Spluga (o Valle san Giacomo), appare verdeggiante e ricca d’acqua. Lasciata la macchina poco più avanti del “Ponte del Baffo” ci dirigiamo verso l’acquedotto ed iniziamo a salire. Il sentiero, che corre a ridosso dell’omonimo torrente Spluga, sale ripido ma curiosamente piacevole. L’ambiente e gli odori sono decisamente alpini: superati i 2000 metri di quota si esce dal bosco e lo scenario si allarga, si impenna, si riempie di roccia, di granito. Sulla valle troneggia il Monte Calvo (2.845m) affiancato dai passi che portano verso la val dei Ratti (passo di Talamuca e passo Prealpia) e la Val Merdarola (passo del Calvo). Poi, finalmente si raggiungono i primi laghi più piccoli e quindi il grande lago di Spluga. Via gli scarponi infiliamo i piedi a mollo nel lago prima di mangiare un boccone. Ci godiamo un po’ il sole di inizio Giugno e poi giù, di ritorno sui nostri passi. Alla fine, tra andare, tornare e guardarsi intorno abbiamo impiegato 8 ore. Non male. Poco traffico sulla strada di ritorno lungo la 36. La serata si è felicemente conclusa con una bella cena insieme ai Consiglieri del CAI Asso all’agriturismo di Crezzo. Davvero non male come giornata.

[Speleo] Abisso Boman

[Speleo] Abisso Boman

Poco prima dell’ingresso, mentre il sole comincia a calare all’orizzonte, incrociamo un grosso maschio di muflone che corre tra i prati del Monte Bul: è l’ultima creatura vivente della superficie che vedremo per un bel pezzo. Ci infiliamo l’attrezzatura, accendiamo la frontale… e dentro!. L’esplorazione dell’abisso del Monte Bul, oggi ribattezzato Abisso Marco Boman, inizia nel 1983 ed è proprio Boman, a cui è dedicata ora la grotta, a raggiungere la profondità di -500 metri sotto la superfice, rendendo in quegli anni l’abisso più profondo di Lombardia. La grotta si sviluppa completamente attraverso «Calcare di Moltrasio», la roccia degli stretti corridoi è intensamente lavorata e concrezionata, una scenario decisamente differente da quello della Grotta Fornitori in cui abbiamo effettuato le precedenti uscite. L’ambiente è curiosamente più opprimente e misterioso di quanto mi aspettassi: gira poca aria e scorre poca acqua, fa caldo, non c’è quella piacevole frescura che riempie i grandi ambienti di Fornitori. Scendendo la situazione cambia e di molto. Dopo aver strisciato sull’argilla in stretti corridoi ci troviamo davanti via via salti e pozzi sempre più profondi. I Pozzi Gemelli sono due enormi gallerie, parallele e verticali, che scendono verso il basso per oltre 40 metri ed unite tra loro da una finestra passante. Superati i numerosi frazionamenti scendiamo fino al fondo dei Gemelli. Siamo a più di 200 metri sotto la superficie, siamo entrati alle 19:20 e sono ormai quasi le 21:30. Tornare all’aria aperta è un viaggio tutto in salita, fatto di incognite, fatica, tecnica e tempo. Io sono decisamente meno “forte” di Mattia e devo impegnarmi per tenere a freno la testa, per contrastare quell’ansia che monta quando la voglia di uscire si scontra con la consapevolezza dello sforzo e del tempo necessario per farlo. Mattia continuerebbe all’infinito: è così in grotta, è così in parete. E’ un trattore. Io invece conosco bene i miei limiti ed evito di spingermi oltre, almeno non troppo a lungo. “Mangiamo?” Ci svacchiamo tra roccia e fango ingollando un po’ d’acqua e qualche snack al cioccolato. Mattia butta l’occhio oltre il Pozzo “Senza Fiato” ma accetta di buon grado il mio “fine corsa”. L’ansia latente si placa trasformandosi in entusiasmo: le energie a disposizione – mentali e fisiche – ora sono tutte “allocate” per riemergere. Posso serenamente spendere ciò che ho fino alla superficie, poi il resto verrà da sè. Ripartiamo verso l’alto, pozzo dopo pozzo, trazione dopo trazione, frazionamento dopo frazionamento. Appesi al buio nel vuoto bisogna fidarsi della corda, della tecnica e delle manovre. A volte, guardandosi intorno, sembra davvero follia. Bisogna essere estremamente consapevoli di ciò che può andare storto, ma “trattenere la mente” affinchè questa consapevolezza diventi attenzione, precisione, efficacia. Forse non è un caso che gli astronauti si allenino in grotta. Ma in fondo è anche per questo che siamo qui: per recuperare la forma fisica e mentale che ha contraddistinto nei tempi d’oro la affiatata ed arrembante cordata Ricci-Valsecchi. Forse siamo qui anche per capire cosa possiamo davvero “spendere” ancora prima del pensionamento. Il tempo scorre fluido mentre senza fretta risaliamo. Alle 00:20 siamo all’ingresso, avvolti un buio completamente diverso. Ci togliamo le tute infangate ed insacchettiamo il materiale. Zaini in spalla risaliamo il ripido versante erboso del Monte Bul. Alle 01:15 siamo sul sentiero. Alle 01:50 siamo alla Colma di Sormano. Alle 2:30 sono docciato ed in branda. “Come è andata?” “Siamo ancora qui: quindi bene”. Bella serata!

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