Move to the City

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Sono a Milano per ottenere i visti per il Congo, è da parecchio che non scendo in città. I treni sono davvero meno scalcinati di quanto ricordassi ma un pezzo da dieci euro non basta più per comprare il biglietto di andata e ritorno. Il resto è invece rimasto lo stesso: stesse facce, stesse chiacchiere, stessa lenta penitenza stazione dopo stazione.

Cadorna si è ripulita un po’ , ha provato a “ricucire” il suo ruolo di porta d’ingresso alla città. Provano a vendermi qualche libro e a spillarmi qualche moneta. Cinquanta centesimi sono il millino del passato, alle volte mi mancano le vecchie duecentolire da far saltare con il pollice: sono affezionato ai miei spiccioli di questi tempi.

Prendo il vecchio tram numero uno. Me ne vado a spasso per il Sempione fin su a Piazza Firenze. Più avanti c’è la Ghisolfa e Viale Certosa. Chissà se sotto il cavalcavia c’è ancora quel vecchio ristorante cinese in cui riparavo per cena tutti i giovedì? Tempi andati, ricordi di una gioventù montanara che scopriva la città, le sue meraviglie e la sua cruda indifferenza.

Finiti i miei affari non vedo l’ora di tornarmene a casa, così punto verso la stazione, verso la Bullona. Prendevo il treno lì alle volte ma non sempre, era solo ad una fermata da Cadorna ma tanto bastava per farsi il viaggio in piedi fino ad Asso. Non valeva la pena.

Tuttavia la città, rimanendo sempre la stessa, cambia nei dettagli e quando la lasci per un po’ ci si sorprende davanti ai cambiamenti: la Bullona non c’è più, c’è un parchetto che circonda la vecchia stazione ed il treno ora le scrorre sotto, senza fermarsi. La città inghiotte i suoi ricordi, li consuma e li ingloba così come consuma ed ingloba qualsiasi cosa la attraversi o si accalchi tra le sue strade, tra i suoi palazzi.

Siamo in città. Qui non conta niente nessuno. Cammini per strada e nessuno ti conosce, nussuno sa dove vai, chi sei o a cosa tu stai pensando. Migliaia di linee, di strade, di destini che si incrociano, si sfiorano, si spintonano persino, senza darsi niente. Mi guardo in giro, immobile, protetto dal mio piacevole anonimato: sembra libertà ma è solo alienazione, è l’illusione di sentirsi un predatore tra le pecore, è il fraintendimento che abbindola chi cala qui in cerca di facile fortuna.

In città vale tutto e nulla conta: questo è il suo fascino e forse la sua croce. Milano voleva sentirsi metropolitana, internazionale ed ora vorrebbe forse sentirsi semplicemente di nuovo ambrosiana, riscoprire la vita dei vecchi quartieri. I vecchi palazzi mostrano la nostalgia della vecchia Milano che guarda con distacco l’apparenza e l’appariscenza dell’architettura moderna che tanto pare un supermercato.

Guardo la vecchia Bullona, le sue linee architettoniche da cui traspare la visione di quei tempi. Mi chiedo come fosse allora Milano, quando ogni via era semplicemente un piccolo paese. Quando andando al lavoro sul tram potevi, con adeguato garbo ed un minimo di eleganza, attaccare bottone e corteggiare una segretaria al rientro dall’ufficio. Conosco gente, ormai anziana, che l’amore di una vita lo ha trovato anche così.

Storie vere di altri tempi, di tempi che nemmeno io ho avuto la fortuna di vedere e che forse non torneranno più.

Davide Valsecchi

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