Nel maggio del 1482, Diogo Cão salpò da Lisbona, in Portogallo, per dirigersi sulla costa africana. Il suo equipaggio aveva un disperato bisogno di acqua potabile quando Cão notò dell’acqua fangosa e marrone correre attraverso una baia. Fu il primo europero ad impegnarsi tanto lontano nell’emisfero meridionale e seguendo la fonte di quell’acqua scura scoprì la foce del fiume Congo. (La portata d’acqua del Congo è tale che il suo propagarsi scuro nell’oceano Atlantico è visibile anche dallo spazio)
Affascinato dagli animali esotici che vivevano lungo il fiume decise di stabilire un campo dove si fermò per oltre un mese. In quel lasso di tempo Cão divenne amico della popolazione locale, i Bakongo. L’esploratore spagnolo inviò quindi alcuni membri del suo equipaggio a prendere contatto con Manikongo, il re dei Bakongo. Non è chiaro per quale motivo ma Cão non attese il ritorno dei suoi uomini, anzi, imbarcando alcuni indigeni fece ritorno in patria introducendo il popolo Bakongo al suo sovrano, Re João, che li accolse come dignitari in visita.
Cão fece ritorno in Africa nel 1484 ma non incontrò mai nè gli uomini che aveva lasciato sul continente nè Re Manikongo. Lo stesso Cão scomparve misteriosamente ai piedi di una delle grandi cascate che portano a nord del delta del fiume.
Per anni il Congo si dimostrò l’ostica meta di numerose spedizioni la cui maggior parte si dimostrarono fallimentari e molte persino tragiche. Le selvagge rapide, gli animali feroci, il tempo avverso e le sconosciute malattie locali falciavano gli stranieri che tentavano di risalire il fiume. Senza guide locali era impossibile navigare a causa dei suoi numerosi banchi di sabbia che imprigionavano le imbarcazioni lasciando gli equipaggi alla mercee dei coccodrilli.
Le continue trasformazioni del fiume Congo rendevano impossibile tracciarne il percorso ma, dopo numerosi tentativi, iniziarono i primi progressi nella sua esplorazione. Le nazioni più determinate inviarono sempre più esploratori favorendo la creazione di stazioni permanenti lungo le rive del fiume. Tra questi vi furono marinai portoghesi come Francisco José de Lacerda e commercianti arabi che investirono nel commericio di schiavi e d’avorio. Anche i primi missionari cristiani raggiunsero in quel periodo il Congo nella speranza di convertire i congolesi, adoratori di Inkissi, un dio feticcio.
Il Re belga Leopoldo II, dopo aver perduto la corsa alla colonizzazione delle Indie Orientali e del Nord Africa, era determinato a rivendicare il territorio congolese. Per raggiungere i suoi scopi reclutò Henry Morton Stanley, giornalista del New York Herald divenuto celebre per aver ritrovato il famose esploratore scozzese David Livingstone sulle sponde del lago Tanganica.
Stanley, che aveva militato anche nella Marina Militare dell’Unione, era il candidato con maggiore esperienza e così, dal novembre 1874 all’agosto 1877, intrapprese un viaggio di 6500 miglia (10460 km) lungo il fiume Congo. Ancora oggi è uno dei pochi occidentali noti per aver viaggiato per tutta la lunghezza del fiume Congo. Il viaggio pretese un caro prezzo di vite umane, centinaia di africani e tre compagni britannici di Stanley morirono infatti lungo la strada.
Nel mese di agosto del 1879, Leopoldo commissionò a Stanley una nuova spedizione e l’esploratore rimase in Congo fino al 1884. Durante questi anni fondò 22 piccole città lungo il fiume e pose le basi per la navigazione di quattro battelli a vapore sul Congo. Stanley contribuì anche nella costruzione di una strada lungo il corso inferiore del Congo reso innavigabile dalle numerose cascate e rapide.
Nel 1885, il Belgio ufficialmente acquisì il controllo del territorio – lo Stato Libero del Congo divenne il Congo Belga e tale rimase fino alla metà del 20° secolo. (1966)
Davide Valsecchi