Doppia al Pilastro Minore

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«Mi hanno spostato la riunione di domani: sono libero, dove andiamo?» Questo è stato più o meno il messaggio che Fabrizio mi ha inviato ieri sera. Galvanizzato dalla salita al Pilastro Maggiore voleva provare ancora qualcosa di nuovo e, dato che anche io avevo la mattina libera, ho accettato ben volentieri l’invito.

Inizialmente pensavo al Resegone ma poi, rimuginandoci sopra, ho optato nuovamente per salire ai Corni: “Sono la nostra casa, dobbiamo pascolare lassù ogni volta che si può!”. Il mio piano era dare un’occhiata più approfondita al Pilastro Minore e mostrare a Fabrizio qualche manovra con le corde.

Nonostante l’equipaggiamento sulle spalle saliamo in fretta e ci ritroviamo tra i prati di Pianezzo anche prima di quanto sperassi: superata la SEV sfiliamo sotto l’imponenza della parete Fasana raggiungendo i due Pilastri. Osservare dal basso la croce del pilastro GianMaria, salito insieme giusto ieri, ha dato ad entrambi una certa soddisfazione.

Ci infiliamo nel Canyon da Sud,  superando il grosso masso che ne occlude la parte centrale fino a raggiungere l’uscita sul lato opposto sotto il Pilastro Minore. Dall’esterno avevo osservato come poco sotto la sommità del pilastro, in un comodo terrazzo, sia stata attrezzata una bella sosta con fix e catena.

La sosta serve due vie sportive molto impegnative, Rudi’s (6b+) e Catif (7a), riattrezzate e modernizzate qualche anno addietro. Io intendevo risalire la Normale al Pilastro Minore, o via del sasso incastrato, fino a raccordarmi proprio con la quella sosta.

Ai Corni regna una strana filosofia:  gran parte delle vie classiche furono affrontate e tracciate utilizzando prevalentemente mezzi da incastro e per questo, ancora oggi, sono quasi completamente prive di chiodi o protezioni fisse. “Il confronto sportivo con chi ci ha preceduto può esistere solo se ci si confronta sullo stesso terreno di gioco” recita una delle poche ed autorevoli guide sulle vie dei Corni. Questo spesso si traduce in passaggi di terzo o quarto grado a quaranta metri d’altezza totalmente sprotetti.

Io non saprei dirvi se sia giusto o sbagliato, non ho l’autorevolezza o l’esperienza per esprimere un giudizio in tal senso, quello che so è che ai Corni arrampicano davvero in pochi e che le scelte, lassù, vanno davvero ponderate.

Dal fondo del canyon, sotto un grosso masso incastrato a mezza altezza, inizio a salire in opposizione. Questa tecnica è davvero particolare e davvero divertente: invece di “tirare” si “spinge”. Tanto con le mani quanto con i piedi si procede in spaccata tra le due pareti parallele risalendo, movimento dopo movimento, questo curioso “vicolo di roccia”.

Davide "birillo" Valsecchi

Per sicurezza, sempre più psicologica che efficace, ho infilato un cordino attorno al sasso incastrato e rinviato la corda in modo che un eventuale caduta non mi precipitasse giù, oltre il canyon, nei verdi ghiaioni sottostanti. Dopo il primo tratto in opposizione, superato il masso, si risale lungo la parete del pilastro attraverso uno sconquassato diedrino.

La grande parete Fasana forma un tetto spiovente al disopra del pilastro e per questo, mentre risalgo, numerose goccioline d’acqua trasudano dalla roccia che mi sovrasta cadendo rumorose sulla mia testa. Proprio per il continuo gocciolio dall’alto la roccia interna dei pilastri è spesso umida, “saponosa” e popolata solo da appigli lisci e levigati: niente maniglioni a cui appendersi da queste parti!

Venticinque metri dalla partenza e finalmente sono fuori dal canyon ancorato alla sosta. Do voce a Fabrizio dicendogli di prepararsi ma di aspettare il mio segnale prima di salire: prima, infatti, voglio guardarmi un po’ in giro.

Sul lato opposto al Canyon una parete liscia precipita per trenta metri mentre al suo fianco risale l’evidente camino nero del versante nord-est del pilastro. Davanti a me ci sono solo 7-8 metri di roccia prima di raggiungere la cima del pilastro. Speravo di vedere la sosta finale ma dal terrazzino dove sto non si scorge nulla. Non sono mai stato lassù, alcune relazioni dicono che là in cima ci sia un fittone piantato nella roccia, altre raccontano di doppie attrezzate direttamente su di un’instabile croce di vetta. Tutte le relazioni parlano un gran male di quella sosta ma da nessuna descrive davvero come sia fatta e quanto sia affidabile.

Una parte di me vorrebbe andare a curiosare lassù ma devo affrontare un paio di conti. Sugli ultimi sette metri non c’è alcuna protezione, certo non sembra particolarmente difficile ma se scivolo e vado a basso il povero Fabrizio dovrà fare fronte ad un mio volo di una quindicina di metri. Ammesso riesca a trattenermi finirei sconquassato e a penzoloni direttamente dentro il camino. Con la poca esperienza a sua disposizione, ammesso che la “sberla” non lo ferisca o lo getti nel panico, non avrebbe nessuna possibilità né di aiutarmi né di aiutare se stesso. Uno scenario davvero poco allettante.

Se ci fosse un chiodo o uno spit là in mezzo tutto sarebbe diverso ma, tant’è, questi sono i Corni. “Birillo, basta non cadere…” Sussurra una vocina. “Ma se la sosta fa schifo” risponde una seconda voce “te la senti di arrampicare in discesa mentre un principiante ti fa sicura dal basso?”.  Stava per iniziare una specie di colluttazione interna quando una voce calma ha semplicemente suggerito la scelta più ovvia “Che fretta hai? Fagli fare un po’ esperienza, non rovinare tutto solo per ingordigia. Aspetta…”.

Ai Corni si impara davvero tanto e non sempre ciò che ci si aspetta: «Fabbrì, sei in sicura, puoi salire ora.» Il mio socio si gode la salita in opposizione ma viene sconfitto dal cordino incastrato attorno al masso: «No! No Fabrizio, tira dalla parte del nodo… vabbè, lascia lì. Passo poi io a riprenderlo. Vieni su, fa lo stesso…».

Quando mi raggiunge facciamo un po’ di teoria su come vada organizzata una sosta e sulle diverse soluzioni che si possono adottare per mettersi in sicurezza. «Andiamo in cima?» mi chiede. «No, ci fermiamo qui per oggi: ce la guadagniamo a puntate la cima. Oggi studiamo la calata in corda doppia: ormai è inaccettabile che tu non sappia scendere da qui senza di me». Già, quella di oggi per Fabrizio è stata la sua prima doppia: tutte le altre volte, per sicurezza, l’avevo sempre calato con un fidato “mezzo barcaiolo”.

Piastrina Gigi, longe, cordino autobloccante: tutto coma va fatto e poi giù, in verticale lungo la roccia fino alla base del canyon in piena autonomia. Va meglio del previsto, io a suo tempo ci misi parecchio per imparare a fidarmi delle corde. Bravo Fabrizio!

Tolti gli imbraghi ci siamo sdraiati a mangiare su un grosso sasso esposto al sole. Guardavo i Pilastri e la parete Fasana studiando le vie: ero consapevole che prima di me molti altri avevano fatto lo stesso probabilmente stando seduti proprio su quel masso  come noi. Assorto nei miei pensieri ammiravo la roccia quando, voltandomi, ho visto il mio socio russare beatamente: sì , c’è bisogno che faccia pratica ancora un po’! ( ;)).

Davide “Birillo” Valsecchi

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