Il Rosso ed il Blue
Il titolo originale poteva essere “attraverso l’inferno”, ma sarebbe suonato un po’ troppo melodrammatico sebbene il fiume da attraversare si chiami realmente “Inferno”. Se i “vecchi” hanno dato un nome simile ad un fiume c’è un perchè e, arrivandoci vicino, non si può dargli torto. L’Inferno è infatti un torrente secondario della “Valle delle Moregge”, o anche della “Valle del Fiume” come riportato su alcune mappe. L’Inferno corre parallelo alla parte finale del torrente che separa il Moregallo dai Corni di Canzo. Un torrente impervio che forma profonde forre e salti rocciosi in una zona tra le più selvagge di tutta l’Isola. In quella valle le due montagne, come giganteschi guerrieri di roccia, si fronteggiano silenziosamente dando ampia mostra della propria natura più selvaggia. L’ultima volta che ho fatto canyoning in quella zona era l’estate del 2013 (qui qualche foto: Moregallo Canyoning) e tra gli articoli di Cima potete trovare diverse esplorazioni condotte in quella zona. Il tempo, qualcuno dirà l’età, cambia il nostro punto di vista e questo trasforma radicalmente ciò che crediamo di conoscere. In quest’ultimo periodo, con occhi nuovi, sto “riesplorando” quella zona: non più un tuffo nell’ignoto, ma una ricerca più metodica ed attenta tanto dell’ambiente quanto della sua storia. Cercando un collegamento percorribile tra “Caprante ed il Rapanui” ho iniziato ad individuare e censire i vecchi sentieri abbandonati o quasi dimenticati. Quelli che seguono sono quindi gli appunti due giorni di ricerca.
Blue: Il senso del Paglione per la neve.
Sabato nevicava, poco ma anche in riva al lago. Più in alto invece la neve cominciava ad appoggiarsi sui pendii, complice il freddo becco che in spiaggia segnava “meno uno”. Mollata la Subaru da Carla e Beppe ho iniziato a risalire il Sentiero del 50° Osa. Sotto la parete nord, ad una decina di metri dal sentiero due mufloni femmina mi osservavano immobili tra i fiocchi di neve. Il loro sguardo animale comunicava in modo evidente il messaggio: “Senti, mettiamo d’accordo. Nevica e fa troppo freddo per correre. Noi rimaniamo ferme e tu te ne vai per la tua strada”. Il freddo era tale che la macchina fotografica non voleva saperne di accendersi ed ho cercato di fare il possibile con il cellulare. Loro, di parola, non si mosse minimamente! Superata la parete e la sommità della cava ho puntato verso nord lungo un sentiero in buona misura nascosto dal paglione innevato. La traccia è appena visibile ma lungo il percorso sbiaditi bolli rossi rimarcano il passaggio ormai abbandonato. La vecchia galleria, oggi chiusa, prende il nome di Melgone. La galleria dovrebbe essere del 1926, dalle sue “finestre” un tempo gettavano in acqua le auto rubate. Oggi su quelle pareti c’è una falesia AsenPark (…cambiano le epoche ma la frequentazione rimane pessima hehhe). Al di sopra di questa parete c’è un ampio spazio boschivo quasi pianeggiante. Un vecchio sentiero, sfruttando una vecchia scala in sassi ed un’inquietante ponticello in cemento abbandonato a se stesso da decenni, sale dal lago fornendo l’accesso alla zona. Probabilmente in passato era l’accesso di servizio per la manutenzione dei pali telefonici e della corrente posizionati nella zona, oggi abbattuti ma ancora visibili. Il fiume Inferno taglia in due questa zona e forma, sempre nel bosco, bastionate rocciose alte una ventina di metri. Una traccia a bolli gialli porta ad un primo rudere, con annessa piccola fonte, risalendo poi ad una seconda casetta, sempre abbandonata ma in condizioni migliori. Il “sentiero giallo” risale poi sul fianco del Moregallo lungo la valle delle Moregge fino a raggiungere la creta uscendo sulla cima. L’ho percorso diverse volte in passato ma non l’ho mai tracciato o pubblicato perchè ha dei passaggi sul paglione decisamente esposti e, nella parte alta, ci sono tutta una serie di varianti d’uscita tutte assolutamente da valutare (leggisi rognose). In questo caso però non mi interessava salire verso la cima del Moregallo dove, tra l’altro, c’era già una buona quantità di neve oltre a quella che stava gia candendo! No il mio obiettivo era individuare, dal lato sud dell’orrido, eventuali punti di passaggio verso l’altra sponda. Quella zona è però molto più ampia ed articolata di quanto ci si possa aspettare. Oltre all’abisso creato dall’orrido ci sono diversi livelli che si intersecano con pareti e canali secondari. Ad un primo studio è quasi impossibile attraversare l’orrido. Le pareti sono troppo alte o complicate. Ci sono tracce di animali che scendono ma non ero disposto ad avventurarmi in discesa sul paglione coperto di neve. Più a monte invece, cercando di intercettare il sentiero che sull’altro lato scende da Oneda fino al fiume, le possibilità erano decisamente migliori. “Soldato che fugge combatte un altro giorno”: visto che non smetteva di nevicare, che il paglione era pericoloso e la visibilità scarsa, ho mollato il colpo e sono tornato al subarone passando dalla galleria (da qui lo strano excursus in pieno lago del GPS).
Rosso: La Volpe e la Bella Donna.
Dopo aver provato da Sud non restava che riprovare da Nord. Visto la giornata di sole ho parcheggiato il Subaru appena sopra la prima stanga di Oneda e mi sono addentrato nei selvaggi territori della valle delle Moregge. Il sentiero che porta al fiume è esattamente inquietante come lo ricordavo. Paglione e roccia friabile slavata dal passaggio dell’acqua: al mix questa volta dovevo aggiungere ghiaccio e nevischio. Potevo gestire la situazione, tuttavia è evidente che quel sentiero sia decisamente sconsigliabile ai più, specie in discesa dove i passaggi obbligati ti forzano nel vuoto di salti ragguardevoli. Nota bene: il paglione ghiacciato ha i suoi difetti ma tiene più di quello bagnato: quindi in primavera o in estate la situazione non migliora. Una volta giunto sul fiume ho iniziato a cercare eventuali passaggi che mi permettessero di raggiungere il “sentiero giallo” sull’altro lato. La ricerca si è subito dimostrata fruttuosa. Il passaggio degli animali è stato il primo indizio. Poi su una pianta ho trovato uno sbiadito nastrino colorato (un trucchetto che usano molti di coloro che, come me, esplorano vecchi sentieri). Poi, finalmente, su un sasso la conferma in un pallido bollo rosso. Scendere dal sentiero giallo è abbastanza fattibile, un EE severo ma giusto. Risalire verso Oneda è invece qualcosa di più di un EE. In salita le difficoltà risultano più gestibili ma il pericolo di grandi e terribili cadute rimane immutato. Il collegamento “caprante – rapanui” quindi esiste, ma quello fin qui trovato richiede di salite fino ad Oneda, scendere al fiume lungo un percorso piuttosto agghiacciante, risalire fin sopra il Melgone prima di raggiungere la base della parte Nord e ridiscendere al Rapanui. Un’escursione affascinante quanto impegnativa, non certo il percorso ideale per andare a bersi una birra in spiaggia tirandosi dietro le nanerottole… La mia “missione” è quindi ancora incompiuta. Visto che avevo ancora tempo ho pensato di farmi un giro più a monte, cercando di spingermi al di sotto l’affascinante muraglia del Ceppo della Bella Donna. Qui dapprima mi sono imbattuto in un inaspettato “albero di natale”, addobbato di palline, stelline e pupazzetti, sulla sommità di un precipizio decisamente “fuori dal mondo”. Poi, intercettato un’altro vecchio sentiero, ho iniziato a risalire sulle pendici occidentali dei Corni di Canzo. Qui ho dapprima incontrato le orme di una volpe sulla neve. Poi, più avanti, mi sono imbattuto anche nella sua impellicciata autrice. La vista sulle Valle delle Moregge, incrostata dall’ultima neve, è davvero suggestiva. La parte alta del sentiero, che non è segnato salvo qualche magro ometto di roccia, culmina su ripidi pendii erborsi ancora innevati. I canali hanno già scaricato, gli accumuli sono duri ma c’è ghiaccio ovunque. Inoltre nel cuore della valle, quasi sempre in ombra, fa decisamente freddo ed il vento dal lago non aiuta certo. Così, visto che non ero equipaggiato a dovere per guadagnare il passaggio verso l’innevata bocchetta di Moregge ( …dove a Gennaio si sprofondava nella neve fino ai fianchi e facceva un freddo dannato!! Vedi La tazza di Dumbo) ho fatto ritorno sui miei passi, felice di aver avuto successo nel collegare “rosso e blue”. Felice che la mia ricerca sia ancora piacevolmente incompleta.
Nota Bene: i sentieri qui riportati sono “abbondanati” da tempo. Non compaiono sulle mappe, non hanno segnaletica consistente, sono spesso in condizioni precarie o instabili. Percorrerli, allo stato attuale, significa praticare “archeologia acrobatica” più che escursionismo. Le indicazioni qui riportate hanno prevalentemente valore storico. Non infilatevi nei guai che da quelle parti sanno essere “grossi”….
Davide “Birillo” Valsecchi