Il Lupo ed il Leone

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Era un vecchio pullman, di quelli con la finta pelle sui sedili, tutto ammaccato ed arrugginito. Quasi tutti i posti erano occupati ed io ero in piedi vicino a mio padre e mia madre che sedevano insieme sulle file di destra. Con me c’erano anche mio cugino Enzo e Fabrizio. Tutta quella storia era davvero strana, era come se il tempo si fosse piegato mischiando presente e passato. Eravamo saliti a bordo del pullman in una Milano che appariva come nelle cartoline nostalgiche degli anni 50: non c’erano automobili e tutti parlavano solo in dialetto e gli uomini indossando il cappello e vestiti ben tenuti ma consumati dal tempo e dal lavoro. Fabrizio, che è siciliano, era particolarmente divertito mentre io ed Enzo attaccavamo bottone con gli altri passeggeri che caricavano grandi valige di pelle a bordo del pullman.

Li vicino una vecchia villa si affacciava sul canale di un naviglio. Il muro di cinta, su cui cresceva una rigogliosa glicine, era stato curiosamente costruito come la prua di una nave ed una polena di mattoni adornava una specie di trampolino sull’acqua. Avevo voglia di arrampicarmi fino alla punta di quella curiosa struttura ma il pullman era ormai in partenza e dovetti a malincuore rinunciarci.

A bordo del mezzo, signori e straccioni, viaggiavano chiacchierando quasi incuranti della polvere, del caldo e degli scossoni. Non avevo idea di dove stessimo andando ma il viaggio era sicuramente lungo ed importante.

La strada scendeva da una ripida collina grazie a lunghi traversi ed alcuni tornanti a gomito, scivolava tra degli enormi piloni di cemento che, forse nel passato o nel futuro, erano parte di un’enorme viadotto. Ai piedi di queste grandi strutture erano state comparse delle baracche fatte di pezzi legno e rifiuti: sembrava che una comunità di esuli ne avesse fatto la propria dimora.

Un gruppo di ragazzi ed alcuni adulti attendevano sopra una collinetta di fango e terra, seduti sopra una strana specie di trattore abbandonato. Vestiti di stracci ascoltavano musica osservandoci passare. Istintivamente, senza un vero perché, ho fatto loro un gesto di saluto e loro, in risposta, hanno fatto strani gesti con le dita. Il loro non era né un saluto né un insulto, erano simboli d’appartenenza a cui però non sapevo dare risposta. Uno dei ragazzi, quello che sembrava essere il capo di quella piccola banda, mi ha sorriso. Mi ha sorriso come farebbe un lupo e quando il pullman ha cominciato a rallentare ho capito cosa ci attendesse.

Rottami in mezzo alla strada ostruivano il passaggio e mentre il mezzo si fermava il gruppetto laffuori iniziava a circondarlo. I passeggeri sulle prime erano ancora confusi ed incerti su quello che stesse accadendo. Poi uno dei ragazzi in strada si è fatto avanti imbracciando un trapano e, sistematicamente, ha iniziato a forare uno ad uno tutti i cristalli sui lati del veicolo. Tra i passeggeri il panico è stato immediato: ogni volta che la punta affondava oltre il vetro si ammassavano spaventati nel corridoio. Nella calca che regnava ormai dentro il pullman ho iniziato a cercare qualcosa che potesse essermi utile, cercavo un’arma.

Nella cappelliera sopra i sedili avevo trovato una barra metallica ed esagonale lunga un metro e mezzo. Probabilmente veniva usata come leva per cambiare le ruote: era pesante ma funzionale al mio scopo. Il “lupo”, che sembrava tenermi d’occhio, vide la mia rudimentale arma  e sorrise estraendo con noncuranza dalla giacca un piccolo revolver cromato. Gli era bastato mostrare quell’oggetto tanto piccolo per cambiare tanto radicalmente gli equilibri ed il destino di così tante persone.

L’autista sperava che bloccando le porte saremmo stati al sicuro ma ben presto tutti i cristalli furono forati e per questo, spaventato dalla situazione, spinse il pullman contro i rottami ed incurante dei danni superò lo sbarramento. Il pullman era di nuovo in moto e tra i passeggeri era tornata la speranza, credevano di essere scampati al pericolo, di essere sfuggiti all’incubo. Il loro sollievo divenne un terrore anche peggiore del precedente quando raggiungendo il tornante comprendemmo di essere invece nel cuore della trappola.

La strada a valle era ostruita da un altro muro di rottami, al lupo e alla sua banda era bastato scendere a piedi oltre la riva per presidiare quest’ulteriore e più massiccia barricata. Sulla curva del tornante eravamo nella terra di nessuno ed il pullman poteva proseguire solo in avanti. I cristalli, orami forati, avrebbero ceduto con un semplice colpo e permettendo alla banda di entrare senza difficoltà da ogni parte. Eravamo in trappola e privi di difese: senza nemmeno sfiorarci avevano gettati tutti nel panico e ci tenevano in pugno. Il “lupo” era stato bravo ed io l’avevo persino salutato prima che si palesasse mio nemico.

Dissi agli altri di ammassare i bagagli e le valige contro i vetri, soprattutto attorno all’autista. Era una protezione minima ma serviva iniziare a fare qualcosa. Serviva reagire. I più spaventati li facemmo sedere al centro del corridoio mentre Fabrizio ed Enzo cercavano di capire se era possibile smontare rapidamente i sedili e guadagnare spazio.

Avvicinandomi all’autista gli parlai chiaro “Se provano ad avvicinarsi tieni la testa bassa e caricali a tutta forza e poi, altrettanto in fretta, ritirati in retromarcia. Se arrivano da dietro fai altrettanto: non restare fermo e non farti scrupoli! Ora apri la porta e fammi scendere”. Armato della mia misera barra di ferro avevo intenzione di esplorare il tratto di strada in cui eravamo bloccati, scoprire se ci fosse qualcosa che potesse esserci utile o una via che permettesse di abbandonare a piedi quell’accerchiamento proteggendoci la fuga.

Eravamo in trappola senza alcuna difesa e nulla da barattare se non una resa incondizionata o una fuga scomposta. Il “lupo” era stato bravo, davvero bravo, senza nemmeno un colpo o una goccia di sangue ci teneva in scacco. Poteva un “leone” sfuggire all’agguato di un branco di lupi senza sacrificare i suoi?

Mentre scendevo i gradini del pullman, ormai rassegnato al peggio, ho iniziato ad aprire gli occhi e mi sono ritrovato nel mio letto guardando il soffitto. Ogni cosa, anche i piani del “nemico”, erano nella mia mente. Scorrendo a ritroso tutto il sogno ritrovavo, come ne “I soliti sospetti”, i dettagli ed i ricordi che avevano dato vita alla storia. I lunghi e difficili viaggi in pullman per Africa ed Asia dove l’incidente era sempre in agguato, la guerra alla porte, la crisi, la Milano nostalgica: schegge della vita da sveglio che avevano mosso gli incastri del sogno.

Su tutto un inquietante osservazione: il leone ed il lupo erano entrambi me stesso, io ero il nemico che mi teneva in scacco. Ma se il Leone non conosceva i piani del Lupo quest’ultimo cosa sapeva delle paure del Leone? Potevo vincere contro un simile avversario?

La nostra mente genera interi universi in cui ci abbandona come ignari naufraghi. Chissà se Dio, se davvero esiste, ha una consapevolezza diversa del proprio sogno.

Davide “Birilo” Valsecchi

Il Lupo contro il Leone, l’inverno sta arrivando… (accidenti non so se sia più strana la miavita o i miei sogni!!)

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