Il nome di Angelo Longoni compare tra gli apritori di numerose storiche vie sulla Grigna mentre Augusto Corti era niente meno che il compagno di Riccardo Cassin durante il suo attacco al Sasso Cavallo. Il loro nome si aggiunge a quelli di tanti altri grandi alpinisti che in passato hanno onorato i Corni di Canzo “firmando” sulla loro difficile roccia vie sempre più ardite. Da Fasana a Bonatti: i nostri “tre cucuzzoli” sono una biblioteca dimenticata affollata di piccoli segreti da riconquistare con pazienza ed una certa dose di coraggio.
Era il 6 Agosto 1944 quando Longoni e Corti diedero l’assalto alla Parete Fasana tracciando una nuova linea se risaliva sfiorando il grande tetto centrale. Settant’anni dopo Mattia ed Io eravamo di nuovo alla base della grande parete.
“In effetti a guardala dal sentiero fa una certa paura, se però ti posti di lato e la guardi di traverso fa sempre paura ma forse un po’ meno”. Ecco le nostre significative osservazioni tecniche mentre iniziavamo ad imbragarci. Prima dell’attacco due lapidi, una a memoria di Cesare Guerrini ed una per Carlo Claris, ci ricordano come la natura dei Corni sia tutt’altro che docile e perchè, dopo anni di gloria, le sue pareti siano via via andate dimenticate.
L’attacco è su roccia a tratti fragile e spesso piena di terra ed erba. Il primo tratto del tiro è infatti insidioso e delicato, la seconda parte insegue delle fessure verticali (un primo passaggio VI+ ed un sucessivo VII ) ed attraversa verso sinistra fino a raggiungere la base del primo diedro. Piacevolmente la sosta è stata attrezzata con una coppia di spit, questo sopratutto perchè lungo tutta la via le protezione sono tutte a chiodi molti dei quali “originali” anni ’40.
Il successivo diedro risale verticale per poi diventare strapiombante prima dell’uscita. Il tiro è piuttosto “violento” sopratutto perchè l’interno del diedro è invaso dalla terra e per trovare i vecchi chiodi è necessario scavare e cercare tra l’erba.
Mattia, in piedi sopra la sosta, si è messo a cercare con la mazzetta il primo chiodo: “I vecchi mica erano bigoli: qui un chiodo devono avercelo messo per forza!” A furia di scavare nella terra un vecchio chiodo ad anello riemerge alla luce: “Vedi che te lo dicevo! Eccolo! Certo che non erano bigoli …e se lo abbiamo trovato forse tanto bigoli non lo siamo neppure noi!” Quando sei appeso nel vuoto a dei pezzi di ruggine trovi il modo di sghignazzare sopratutto delle piccole cose!
Più sopra la faccenda si fa magra e cerchiamo di integrare con friend e nat. Un dado abbandonato ed ancora saldamente incastrato nel diedro diventa la sola risorsa azzerabile lungo tutto il passaggio di VI+ che porta fino allo strapiombo.
Giorgio Tessari, uno dei grandi alpinisti di Valmadrera, nel 1979 descrisse la via aggiungendo come nota:“Per le parecchie ripetizioni presenta qualche chiodo di troppo”. Ho incontrato Tessari solo una volta senza però avere la possibilità di parlare di arrampicata o dei Corni. Guardando nei suoi profondi ed intensi occhi azzurri ho percepito quanto estrema fosse l’epopea alpinistica dei suoi tempi: ci siamo stretti la mano e senza nemmeno conoscerci sono volate scintille nei nostri sguardi.
“Presenta qualche chiodo di troppo”. Ho idea che i “grandi vecchi” conservino intatto il loro invdiabile spirito combattivo. Tessari ha in curriculum “prime invernali assolute” compiute negli anni ’70 sulla Nord del Cengalo, del Badile e del Civetta: non è assolutamente un alpinista con cui confrontarsi alla leggera!
Sulla nostra pelle abbiamo imparato a dare il giusto metro alle vecchie relazioni, sopratutto perchè la maggior parte di esse furono redatte da fuoriclasse ed ormai sono terribilmente datate. “Ma dove cazzo li avrà mai visti tutti ‘sti chiodi!?”: questo, in tutta onestà, è stato il motto della nostra salita…
Dopo il primo strapiombo sull’uscita del primo diedro (VI+) si attacca un’altro impegnativo passaggio verso sinistra (VII+) che porta alla sosta. In quel punto ci si trova praticamente alla base del grande tetto bianco e si può ammirare la “folle” fila di chiodi a pressione che contraddistingue l’ultimo tiro della via “Diretta Città di Cantù”. La parete Fasana assume una fisionomia davvero inaspettata: da quel particolare punto d’osservazione si scorgono guglie e fiamme che dal basso sono quasi impercettibili. Sul lato destro invece si può ammirare, e non vi è espressione più calzante, la straordinaria linea di “Fasanetica”, una via sportiva aperta dal basso nel 2004 da Giacomo Rusconi e Fabrizio Pina (8a, 6b+ obbl.)
Il terzo tiro è una rogna, o meglio, ha tutte le caratteristiche per esserlo ma, fortunatamente per noi, non lo è stato. Dalla sosta ci si deve spostare sulla sinistra aggirando una fiamma di roccia dall’aspetto tremendamente precario. Si riesce a rinviare oltre e poi si deve “abbracciare” questo monolite alto un metro e mezzo staccato dalla parete, traversare a sinistra per poi rimontarci sopra in piedi. Da lì ci si allungarsi verso un vecchio chiodo al centro di una strapiombante placca a ridosso del grande tetto.
La fiamma appare fragile e crepata, se vienisse a basso oltre a fare un vero disastro è probabile che la via non sia più ripetibile senza aggiungere altri ancoraggi per azzerare. Quel monolite fa davvero paura e lo conferma come, nella concitazione del momento, nè io nè Mattia abbiamo pensato di scattargli una foto.
Nello spazio di tre chiodi si superano quasi sei metri di strapiombio (VIII-) guadagnando l’accesso al piccolo diedro successivo, anch’esso sormontato da un piccolo tetto. La via originale probabilmente puntava direttamente all’uscita ma qualche anima pia, alquanto avveduta, ha fortunatamente spezzato il lungo tiro piazzando una più che idonea sosta a spit (ottima scelta!!).
Il quarto tiro, quindi, affronta un diedro che conduce fino all’ultimo tetto sotto il quale si trova ancora la vecchia sosta a chiodi del tiro originale. Il diedro è un V+ ma le protezioni sono ormai andate perdute e vanno integrate: tutto ciò che è rimasto è un fittone ad anello che si piega in modo ragguardevole!
Giunti alla vecchia sosta si piega verso sinistra raggiungendo la pianticella visibile fin dal basso e raggiungendo finalmente la cresta. La sosta finale è un anello su un solo fix che Mattia ha opportunamente rinforzato con una fettuccia ed un cordino alla piantana del Soccorso Alpino posta poco più sotto. L’uscita è al fianco della grande clessidra che si scorge in contro luce da basso e che appare evidentissima quando il sole alle spalle lascia filtrare la luce.
Quattro tiri, 105 metri di parete e sei ore di battaglia! Non male per un’avventura ai Corni di Canzo che abbiamo davvero goduto!! Tessari la riporta come fattibile in tre ore e questo mi fa pensare che probabilmente non saremo mai “forti” come i grandi che ci hanno preceduto, tuttavia nella storia della nostra montagna credo che una piccola menzione ce la siamo meritata, quantomeno per impegno, dedizione ed affetto nei confronti di questi tre “cucuzzoli” a volte dimenticati.
Davide “Birillo” Valsecchi
Via Longoni-Corti, Parete Fasana Corni di Canzo.
Ripetizione del 20 Giugno 2014.
Mattia Ricci (primo di cordata) e Davide “Birillo” Valsecchi