Istruttori al tramonto

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Ieri Mattia, come un tossicodipendente in astinenza, aveva le smanie per arrampicare. “Dannazione Mattia, hai il turno del mattino e le giornate sono ancora corte!! Non possiamo fare nulla!!” La sua risposta, stringata e via sms, è stata “ROCCIA ROCCIA ROCCIA!”.Così, contro ogni apparente buon senso, ci siamo trovati alle tre del pomeriggio all’attacco della via degli Istruttori in Antimedale.

“Guarda che con i tempi siamo davvero stretti: ci becca il buio sugli ultimi tiri” Protesto  un’ultima volta mentre mi imbrago.“Suvvia” – risponde Mattia – ”rapidi e veloci. Dobbiamo allenarci al freddo ed al buio! Non c’è problema”. Siamo entrambi due speleo e “lavorare” al buio è qualcosa che appartiene alla nostra esperienza. Tuttavia, oltre all’ovvio, ciò che che preoccupa è altro:”Apparte che magiamo un botto di freddo, se accendiamo le frontale in parete finisce che qualche anima pia chiama il soccorso alpino e sotto la luce dei riflettori fotoelettrici diamo spettacolo a tutta Lecco!” Mattia Ghigna ma io insisto “Saremo i primi due pirla a pagare il nuovo ticket del soccorso alpino! Sai che pandemonio che tiriamo in piedi?!” La mia capacità di persuadere Mattia è pari a zero quindi attacchiamo comunque.

La via è stata aperta da Raffaele Dinoia e Angelo Rocca nel 1978, nello stesso anno l’ha liberata Ivan Guerini:  bhe, per lo meno c’è aria di famiglia!

Mattia l’ha già ripetuta un paio di volte mentre per me è la prima volta. La mia esperienza in antimedanle è assolutamente scarsa. L’unica occasione di rilievo è una scanzonata (e scellerata!) scampaganta in libera in cui, accompagnato dal socio siciliano, abbiamo attraversato dal sentiero attrezzato d’uscita delle vie fino al tratto finale della ferrata: bagai che pirlata violenta quella volta!

I primi tiri sono assolutamente godibili: semplici, appigliati e ben protetti sono perfetti per abbandonarsi in un arrapmicata fluida ed appagante. Il problema è che gli ultimi tre tiri sono invece un sonoro calcio nel culo. La via cambia infatti passo e senza troppo preavviso si passa dal 4a a passaggi di 5c, 5b, e 6a. Tuttavia la vera rogna non è il grado ma l’unto che, nei passaggi obbligati, aumentano non tanto la difficoltà quanto la pericolosità e la possibilità di scivolare senza preavviso.

Fino a quel momento fantasticavo sull’idea di portarci qualcuno dei ragazzi del BadgerTeam. Poi, mentre pattinavano i piedi, ho in buona parte ridimensionato le mie fantasie.

Il primo passaggio difficile è un tettino che rierge su di una grossa fessura che traversa verso sinistra. Il livello di unto raggiunge e supera quello di “Visitor” a Scarenna ma la difficoltà è un grado maggiore. C’è un fittone ma l’uscita sulla fessura oltre il tetto non è azzerabile.

Un po’ di placche e poi finalmente il traverso che conduce al lungo diedro. A fianco si vede la Chiappa ed il grande tetto sotto cui scorre abilmente. Nella parte bassa del diedro le prese interne sono piccole ed unte. Mattia si tiene a sinistra alzandosi un po’ fuori dalle linee più battute. Questo tiro, continuo ed intenso, è quello che ci ruba più tempo in tutta la salita.

Inizia a fare freschino e la luce corre all’orizzonte: sotto la nebbia il sole sta tramontando.“Credo sia il momento di mettere le ali al culo!” Mi butto nel diedro con un solo ed unico pensiero “Fatto questo ne manca solo uno e siamo fuori! Dai Birillo, forza, non cazzeggiare!”. Ripartendo dalla sosta, per via del freddo, all’inizio non sento le dita, poi fortunatamente il motore inizia a scaldarsi e le prese sembrano più facili.SancioPanza, a tutta forza, raggiunge DonChichotte e l’ultima sosta prima dell’uscita.

L’ultimo tiro, vissuto al crepuscolo, è piuttosto bastardo (come sempre avviene per gli ultimi tiri! Specie d’inverno al tramonto!!). Sulla sinistra sale la fila di spit della Chiappa, noi invece  puntiamo ad un vecchio chiodo più in alto. Ci alziamo per poi compiere un traverso verso lo spigolo. Sul traverso Mattia piazza un friend ed fa un gran bene perchè in quel passaggio ci si spalma aperti e distesi sulla roccia. Lo spigolo finale è una pista di pattinaggio, le protezioni sono ravvicinate ma la roccia è davvero compromessa dall’unto.

Mentre chiudo l’ultima lunghezza le luci della città si accendono ed il giorno muore poco prima che io raggiunga la sosta. “Beh, giusto in tempo!” Non c’è più bisogno di correre. Cambiamo le scarpe, infilamo le giacche e ci gustiamo un attimo il panorama prima di accendere le frontali ed iniziare a scendere.

Considerazioni: Credo che questa via dovessere essere un vero spettacolo all’epoca. Roccia bellissima e passaggi tutt’altro che banali. Purtroppo oggi, per via dell’unto (vissuto con le dita gelate), non saprei dare un giudizio.

Ciò che mi spaventa e mi sconcerta è come il problema dell’unto sia qualcosa di assolutamente imprevisto (ed apparentemente irreversibile) nella storia dell’arrampicata e dell’alpinismo. Riusciranno le prossime generazioni a percorrerla o ci sono vie destinate a morire e scomparire per “usura”? “Antico come la terra, immutabile come la roccia”: pare che il semplice “tocco” dell’uomo possa essere più nocivo di quanto si creda.

Davide “Birillo” Valsecchi

NOTA MOLTO BENE: qualsiasi cosa facciate, partite presto! Chi ha tempo non cerchi tempo e non corra rischi!

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