“Stai calmo, prendi le tue medicine e respira” mi ripeto scherzando. Sul mio tavolo c’è “Inseguendo la brezza”, il libro sulla vita di Luigino Airoldi: è appoggiato sopra “Dove la strapiomba la roccia” di Cassin. A lato, di traverso e coperto da fogli densi di appunti, c’è “L’isola senza Nome” di Gianni Mandelli e del Cai di Valmadrera. Una toppa degli AsenPark è abbandonata sopra uno speciale di Epoca dedicato Walter Bonatti. Accanto il numero di vertice su cui sono in copertina, ritagli di giornali, volantini di scuole d’alpinismo, buoni sconto, bollette e riviste di montagna che qualcuno ha abbandonato in casa.
Fuori piove ed io sono agitato. Lunedì sono stato a vedere la serata dei Ragni di Lecco. Con una certa sorpresa avevo ricevuto un inaspettato invito scritto da uno di loro. Prima della proiezione io e Bruna abbiamo preso qualcosa da bere al MojitoBar. L’unico posto a sedere era a ridosso del tavolo in cui campeggiavano Pedeferri e tutti gli altri ragazzi di punta dei Maglioni in Rosso. Quando siamo entrati in sala ho cercato un anonimo posto in disparte. Manco a dirlo sono finito accanto al “Det” e a Benigno Balatti. Avrei voltuto essere invibile ed invece continuavo a finire “in mezzo”. Sempre nel posto sbagliato: è forse il mio destino essere in perenne agitazione tra questi due estremi?
Sullo schermo proiettano l’affascinante viaggio in canoa e la scalata di Matteo Della Borrella in Groenlandia. Sul palco sale il campione olimpionico “Antonino Rossi”, è stato lui ad insegnare i rudimenti del Kayak ai Ragni. Osservo le canoe utilizzate: sembrano dei comuni plasticoni – rimugino mentalmente – i Ragni avrebbero potuto permettersi qualcosa di meglio. La muta stagna invece è una figata assoluta e scatena tutta la mia invidia.
Ad insegnarmi l’uso della canoa è stato Andrea Alessandrini. L’Ammiraglio, come lo chiamo io, è un personaggio dai tratti leggendari assolutamente fuori dagli schemi. In pratica è un pazzo furioso, come molti di quelli a cui mi affeziono. Io e lui passavamo le giornate a parlare di filosofia, di politica e natura mentre lo aiutavo a costruire canoe: le mitiche “ASA”, i kayak da discesa fluviale più volte campioni del mondo.
Uno all’antica, alla moda vecchia: per insegnarmi attaccava puntine alla mia pagaia e mi faceva uscire sul lago di Pusiano ogni volta che nevicava. Ho imparato ad andare in canoa? No, credo di no. Purtroppo io non sono bravo in nulla, semplicemente me la cavo in tutto.
I Ragni scivolano veloci sullo schermo e sulla superfice liscia del mare del nord. Accanto a loro iceberg dai colori intensi riempiono l’orizzonte. Riguardo le canoe “Davvero, potevano permettersi di meglio…”. Ma il mio pensiero è di parte, quando ho dovuto recuperare la canoa per il viaggio a Venezia dovetti dannarmi l’anima per riuscire a comprare (e pagare) un’ignorantissima canadese di plastica. Sformata e pesante era quanto più distante si possa immaginare dalle sinuose forme in vetro-resina e kevlar dell’Ammiraglio. Quella canoa verde aveva un solo talento: era come me, un bidone inaffondabile.
La natura brilla intensa e selvatica sullo schermo ma la mia mente è per un istante sotto le arcate del ponte di Paderno. Tra l’acqua dura che scorre tra le chiuse delle centrali elettriche e le prese dei navigli. Una mattina buia e fredda in cui dovevo azzittire le incertezze per superare quelle rapide artificiali nel cuore di una sconosciuta ed insignificante terra di nessuno. Con una corda in nylon ed un mezzo barcaiolo attaccato senza moschettone ad un paletto calai la canoa, Enzo e tutto il nostro materiale oltre una muraglia di trenta metri fin dentro un boschetto a ridosso del fiume. La nota “gita” in canoa verso Venezia era diventanta un’uscita di canyoning.
Tra le piante c’erano materassi abbandonati ed i segni di un fuoco, di un bivacco disperato e randagio. Sul fondo del fiume, stretti tra alte pareti rocciose al di sotto dell’autostrada, eravamo ai margini della società, trascinando la nostra canoa attraverso il campo di misteriosi reietti, indigeni e stranieri allo stesso tempo. In silenzio adagiammo la nostra imbarcazione in acqua e riprendemmo il nostro viaggio verso gli ostacoli che ci attendavano lungo la strada che porta alla città sull’acqua (No, Srinagar è un’altra storia…)
“Vedi Birillo, la differenza fondamentale è che tu sei un coglione e loro i Ragni di Lecco”. Credi di essere Huckleberry Finn ma sappiamo benissimo che il libro di Mark Twain non l’hai mai letto, sei solo uno sfigato che ha visto il cartone animato in TV negli anni ‘80. L’Adda non è il Missisipi, ti racconti solo favole: non essere mai stato sconfitto non fa di te un vincente…
Lo sappiamo entrambi, andrai al tappeto “per una bistecca” come nel racconto di quel ciccione represso che era Jack London. E quando accadrà sarai segretamente felice perchè nell’intimo sei uno a cui piace piangersi addosso. Perchè sei uno che i guai se li va a cercare, a cui piace giocare grosso, oltre le tue possibilità e simulando indifferenza per darti un tono. Sei la volpe e l’uva, uno sfigato sovrappeso che non si allena con costanza ed impegno.
Poi una voce interiore prende il sopravvento “Hey Birillo, la smetti di romperci le palle? Invidi la Groenlandia e vuoi un po’ d’avventura? Perfetto, partiamo in pieno inverno da Lecco, ci spariamo tutto il lago. Andiamo in cima al Legnone e facciamo tutta la cresta fino al Pizzo dei Tre Signori. Non servono soldi e non serve andar lontano per trovare rogne da antologia. Cittadini della galassia con la tenda in spalla e tutte le altre puttanate? Vuoi questo? Perchè basta dirlo e lo facciamo. Poi quando sarai nella merda, quando avrai bisogno di me per salvarti la pelle, non lamentarti come una femminuccia chiedendo il mio aiuto: è questo che vuoi?”
Già, cosa voglio davvero? Il giorno prima, domenica, ero stato a spasso con Bruna. Dovevamo provare i suoi scarponi nuovi e siamo riusciti a “perderci” per quattro ore nel breve spazio che sul versante Nord-Ovest del Cornizzolo è circoscritto dal sentiero “Della Budrachera” e dal “Senterun”. Un’atipica passeggiata esplorativa. Il pomeriggio avevo recuperato mio fratello e Boris, di ritorno dai Corni, ed avevamo fatto una puntata all’Osteria di Edo, nella valle dell’Oro a Civate. Qui ci aspettavano Ivan e Paolo, anche loro di rientro da romboanti esplorazioni “rocciose” sul Resegone.
Dopo una raffica di birre abbiamo cominciato ad arrampicare sulle rocce del fiume e sui sassi sporgenti delle murate. “Con una fettuccia sulla ringhiera potremmo fare la moulinette su questo muro. Guarda che figata!?” Come un bambino mi aggiravo tra “le difficoltà non difficili” giocando allegro. “Tienimi le mani sul culo che chiudo il traverso!” Boris mi faceva sicura mentre Bruna e Keko mi sfottevano divertiti. Supero uno spigolo, poi il successivo e li seguo arrampicando sulla partete rocciosa che accompagna la passerella sul fiume: “Guarda che è uno spettacolo! Qui dobbiamo tornarci!”.
“Le insignificanti avventure di Mister Birillo”. Potrebbe essere il titolo di un libro, uno noioso, insensato e sprecato come tanti di quelli scritti dalla mia generazione. “Cosa vuoi davvero Birillo?” A volte riesco ad afferrare la risposta ed è più banale di quanto si tenda a credere. “Voglio quello che vogliono tutti: voglio semplicemente essere felice”. Spesso sono le piccole cose che mi permetto di comprendere questa risposta e, quando accade, è piacevole riscoprirsi intensamente e genuinamente felice. Nonostante tutto, nonostante se stessi.
Davide “Birillo” Valsecchi
Nonostante le locubrazioni mentali di questo articolo voglio ringraziare per l’invito: la serata ha avuto la capacità di “agitarmi” e questa è sicuramente una recensione positiva. Come ho già avuto modo di scrivere in privato: “…con me vinci facile mettendo in campo Luigino. Affidare la conduzione della serata al più giovane è stata una bella scommessa. Sono molto contento, sia per te che per lui, nel dirti che è stata una scommessa vinta”