Infilo la giacca rossa, quella che appartiene a mio fratello e che ormai è piena di buchi. Metto a tracolla la fettuccia che mi ha regalato Ivan, quella con cui ho fatto sosta su un mugo mentre la notte mi precipitava addosso in uno scintillio di lampi. Sotto indosso un vecchio gilet in cordura, lo stesso che avevo in India, quando ho rischiato di congelarmi le dita cazzeggiando a seimila metri come un gitante milanese ai Piani dei Resinelli. Abiti, oggetti, errori: i ricordi, come le ciccatrici, sono qualcosa che ci si porta addosso.
Attorno a me è notte, la nebbia si è abbassata ed avvolge il fondo valle. La luna e le stelle d’inverno iniziano finalmente ad emergere. Da qualche parte, laggiù nel buio delle luci cittadine, c’è Bruna avvolpacchiata sul divano, avvolta in una calda coperta mentre mi aspetta. Io sono qui: tra le ombre di queste guglie di roccia. Ci sono solo due gradi ed il sudore inizia a raffreddarsi sulla schiena. Abbasso il respiro ed alzo il bavero.
I guanti senza dita cominciano a muoversi sulla roccia. La frontale, attaccata al casco, cerca di illuminare gli appoggi per i piedi ma, dal bacino in giù, la notte sembra anche più buia. Le dita fremono scosse del freddo, sembra che il gelo si faccia più intenso quando l’appiglio è piccolo ed il vuoto grande.
Addomestico la mia mente. «E’ solo la crestina Osa. L’hai ripetuta non più di due settimane fa.» Provo a scuotermi. Ma una vocina compiaciuta sibila divertita «Davvero Birillo? Sai che può bastare…anzi, sarebbe ironico se fosse proprio lei a bastare. Che pessima figura se il tuo viaggio finisse qui, silenzioso e scomposto tra i rami e le foglie di questi scuri canali dietro casa.» Mi guardo intorno per un istante, il cuore si fa pesante. Tutto è tenebra e silenzio. «Sei uno speleo, è come essere in grotta: perchè ti preoccupi?» Ma le dita protestano, i piedi scivolano, la luce sbanda. «…non sei fatto per queste cose. Te ne rendi conto? Sei patetico nella tua ostinata debolezza! Le tue ambizioni superano il tuo talento. Quanto ancora vuoi soffrire inutilmente?» Addomestico la mente, lascio che il vuoto si faccia strada dentro di me. Infagottato nel mio equipaggiamento sono solo un reduce, solo un soldatino spaventato che viene scaricato nuovamente al fronte. Provi gioia? No, forse solo consapevole rassegnazione. Mi metto nei guai da solo, faccio ciò che serve per uscirne: non c’è gloria in tutto questo.
«Ma ancora hai dubbi? Dopo tutto quello che hai fatto ancora dubiti?» Il ricordo, caldo, di una voce amica si fa strada nel vuoto: quasi divertita non sembra capacitarsi delle mie perenni incertezze. Sì, forse è vero, forse non sono un leone ma solo un cane con la cresta: probabilmente avrò paura per tutta la mia vita. Siamo ombre, scivoliamo tra i vivi ed i morti, fuggitivi smarriti in cerca di una via d’uscita attraverso prigioni di roccia.
Poi la luce della luna irrompe tra le nuvole, le tenebre e gli abissi sembrano anche più intensi, più profondi, ma la roccia attorno si fa brillante, emerge pallida e viva in ogni direzione, oltre le valli, oltre le creste, le guglie e le ombre. Il tempo, quasi immobile, si ferma: mi fondo nel vuoto che mi circonda, riempio ogni cosa fin oltre ogni orizzonte. Nei riflessi della luna sono ovunque ed in nessun luogo, sono oltre la luce, oltre la notte. Quanti sono gli attimi di intenso terrore che portiamo ruvidi sulla pelle per tutta la vita? E quanti sono i invece i momenti di assoluta ed inarrestabile bellezza che riescono a penetrare nell’anima, oltre i sensi, restandovi per sempre?
Guardati intorno: hai ancora freddo Birillo? Hai ancora paura? Guardati intorno, amico mio: non sei un sopravvissuto, questo è vivere. Guardati ora, stramaledetto bugiardo, un cane con la cresta non potrebbe mai sorridere come un leone.
Davide “Birillo” Valsecchi
“Guai se in montagna non si provasse il senso della paura. Significherebbe essere incoscienti e non potersi più procurare la gioia sublime di saperla vincere” (Walter Bonatti)