Introduzione all’alpinismo Invernale

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Due cordate impegnate nella prima salita invernale della cresta Sud del Pizzo Coca, nelle Alpi Orobie (foto S. Calegari)

Dicembre 1968 – Chiedendomi di scrivere qualcosa sull’alpinismo invernale l’amico Luciano Viazzi mi ha messo – certo senza volerlo – in imbarazzo. Si tratta, infatti, di un argomento complesso e molto, molto vasto (basta considerare la mole – quattrocento pagine – del mio libro “L’alpinismo invernale dalle origini ai giorni nostri”, uscito proprio in questi giorni per i tipi dell Baldini & Castoldi). Un discorso sull’alpinismo invernale interessa una serie di temi e di problemi diversi (taluni dei quali dibattuti, e causa di polemiche), che non è certo facile schematizzare e sintetizzare: perché si pratica questa forma di alpinismo? Come è nato l’alpinismo invernale, e quando?  Quali le caratteristiche ambientali e climatiche in cui esso si svolge? E d in quale periodo di tempo lo si può praticare (d’inverno, d’accordo ma bisogna considerare obiettivamente cos’è e quanto dura l’inverno alpino)? E ancora, quale equipaggiamento ed attrezzatura sono necessari all’alpinista invernale moderno?

Una serie di quesiti cui hanno risposto – un po’ per uno, e ciascuno a modo proprio – gli oltre duemila alpinisti che, compiendo delle “prime invernali” sulle Alpi e sugli Appennini, hanno scritto la storia dell’alpinismo invernale fino ad oggi.

Comunque, considerata l’estrema attualità dell’alpinismo invernale (che oltre di stagione è anche di moda ora) ed il suo innegabile interesse, possiamo almeno cerca insieme di avvicinare questo multiforme argomento esaminandone gli aspetti essenziali

La pratica dell’alpinismo invernale ebbe inizio nel 1832 nell’Oberland Bernese ad opera del professor Hugi il quale, per verità, salì in montagna per studiare il movimento dei ghiacciai nella stagione invernale. Poi però, presoci gusto, tentò niente meno che l’Eiger! Trent’anni più tardi anche Kennedy affrontò d’inverno l’alta montagna: ma col solo intento di evitare le scariche di pietre che battevano i fianchi dell’allora inviolato Cervino.

Nel frattempo, però, Simony e Francisci avevano raggiunto, da soli, le cimi del Dachstein e del Klein Glockner. Gli alpinisti, ora, percorrono l’alta montagna invernale alla ricerca del nuovo: nuovo ambiente, nuove difficoltà, nuove sensazioni. A questo punto, e cioè fra i quattro episodi iniziali che restarono isolati e le imprese degli inglesi nell’Oberland e nel Delfinato (Moore e Walker, nel 1867), che segnarono l’inizio della conquista invernale sistematica delle Alpi, si colloca la prima ascensione invernale italiana. Protagonista il valdostano Antonio Laurent, che sa solo salì alla Testa Grigia nel 1864 (cioè dieci anni prima dell’impresa di Vaccarone, Martelli e Castagneri all’Uia di Mondrone, fino ad oggi ritenuta erroneamente la prima invernale italiana).

Lo sci- alpinismo nacque nel 1893 e contribuì in misura notevole alla conquista invernale delle Alpi. Ma, esaurita nel periodo tra le due guerre la sua impronta esplorativa, esso prosegue ora limitandosi al percorso degli itinerari più remunerativi già noti.

L’alpinismo invernale è nato sulle alte Alpi ghiacciate, e solo più tardi si è diffuso verso oriente, dapprima nelle Alpi Centrali, poi sulle Prealpi ed infine nelle Dolomiti: ed è naturale, perché sui colossi di ghiaccio gli alpinisti erano abituati alla neve che, viceversa, in Dolomiti non è certo un elemento fondamentale del paesaggio e dell’arrampicata. Viceversa, l’alpinismo invernale su grandi difficoltà, nato sulle Alpi calcare austro-tedesche ed affermatosi sulle Dolomiti – in due tempi: 1938 (Kasparek e Brunhuber) e 1950 (Buhl e Rainer) – si è poi esteso ai grandi itinerari in alta quota della Alpi Occidentali.

“L’alpinista è un vagabondo” ha scritto Mummery: e scarseggiano ormai le novità in fatto d’alpinismo, ecco che le scalate invernali consentono ancora di vivere l’avventura. Anche se, in fondo, le invernali sono soltanto scalate effettuate in particolari condizioni (taluni itinerari, infatti, posso rivelarsi più impegnativi in estate che non in inverno). Innegabilmente, però, l’alpinismo invernale ha contribuito ad un rinnovamento dell’alpinismo moderno, ampliandone il terreno di gioco che andava esaurendosi, affinandone la tecnica (anche in funzione dell’attività extra-europea), ed avvicinando fra loro, almeno al vertice delle difficoltà, gli opposti indirizzi di scuola “orientale” ed “occidentale”.

Le scalate invernali – si sa – richiedono una preparazione, un impegno (ed un equipaggiamento), certamente maggiori che non nelle estive: così, l’alpinismo invernale rappresenta il vertice della attività alpinistica ed insieme una magnifica e seria palestra di formazione.

La valutazione dell’impegno richiesto da una scalata invernale, a parte ogni altra evidente considerazione, deve spesso tenere conto dei problemi relativi all’accesso ed alla via di discesa perché, in inverno, la montagna può mutare aspetto profondamente. Così, anche la valutazione delle difficoltà tecniche può riservare, d’inverno, delle sorprese. Come sui versanti settentrionali, dove vie di roccia di 4° grado “estivo” si tramutano in vie di temibile “misto”. Ed allora è indispensabile che l’alpinista conosca profondamente tutte le caratteristiche dell’inverno alpino, onde prevedere le condizioni della montagna invernale.E qui si innesta un altro discorso: quello relativo alla delimitazione del periodo di tempo valido per l’attività alpinistica invernale. Purtroppo, sono discorsi troppo lunghi per essere riassunti qui in poche righe… Oggi, inarrestabile progresso della tecnica alpinistica ha trovato nelle scalate invernali un banco di prova formidabile: purchè non prevalga lo sterile tecnicismo! E se non si accettano i chiodi ad espansione, il cordino per il rifornimenti dalla base, il finanziamento pubblicitario delle imprese a lungometraggio, il “sistema” di tipo himalayano, se ci si vuole fermare insomma ai cosiddetti “sistemi tradizionali”, allora l’alpinismo invernale (e l’alpinismo stesso) è finito?

Io non credo. Perché, ad esempio, nel 1964 i 1700 metri della famosa parete orientale del Watzmann sono stati percorsi in invernale da una comitiva di ben cinquantasei alpinisti. E perché, sempre ad esempio, c’è ancora una parete Sud del Cervino che attende i suoi conquistatori…

Ercole Martina

Dicembre 1968 – Articolo pubblicato su “Rassegna Alpina”.

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