Category: Biblioteca Canova

dscf7152 La Biblioteca Canova accoglie un’ampia collezione di riviste alpinistiche, tanto italiane quanto francesi e svizzere, donate da Lilia Canova ed appartenute al marito ed alpinista Armando Canova.

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I Rifugi dei Corni di Canzo

I Rifugi dei Corni di Canzo

Nel lontano Maggio 1960 i Volontari di Valmadrera diedero inizio alla costruzione dell’attuale Rifugio S.E.V. a Pianezzo. Costruirono una teleferica di circa 300 metri, i cui basamenti sono ancora visibili sotto la Parete Fasana, con cui si trasportavano i sassi di calcare perchè fossero frantumati producendo la sabbia, un montacarichi e un acquedotto per portare l’acqua al cantiere dalla sorgente del Ceppo della Bella Donna. Dopo quattro anni, la Domenica del 13 settembre 1964, il rifugio fu finalmente inaugurato. Maggiori informazioni sull’attuale – e beneamato – Rifugio sono disponibili sul sito della SEVhttps://rifugiosev.it/

Tuttavia prima di quella data altre due costruzioni avevano ricoperto il ruolo di “Rifugio” ai Corni di Canzo. In rete è apparsa qualche settimana fa – pubblicata da Davide Fadigatti‎ – una bella foto d’epoca di una di queste strutture: un’immagine davvero sorprendente! Nel riproporvela qui aggiungo anche un estratto della Guida alle Prealpi Lombarde realizzata da Silvio Saglio nel 1957 per il Touring Club Italiano e per il CAI Milano. In questa pubblicazione, infatti, vengono infatti menzionati i due antichi rifugi, oggi baite private.

RIFUGIO DEI CORNI o DI PIANEZZO e RIFUGIO POLALBA Il Rifugio dei Corni o di Pianezzo sorge a m. 1225 sul versante settentrionale dei Corni di Canzo, in bellissima posizione dalla quale si domina gran parte del L. di Lecco e dei monti che lo rinserrano,  È una baita trasformata in rifugio; di proprietà privata, con 8 letti e 3 cuccette, acqua di sorgente, aperto dai primi di maggio a fine settembre con spaccio di bevande e di alcuni generi alimentari. Il Rifugio Polalba è situato a m. 900 sul versante della Valbrona, in una conca circondata dai castani, dai faggi e dai larici; dispone di 8-10 posti letto, ed è aperto tutti i giorni nei mesi estivi e al sabato e domenica negli altri periodi dell’anno.

NDR: Nella guida del Saglio non vi erano molte fotografie, la maggior parte delle illustrazioni erano disegni a mano.

ACCESSI:

DA CANZO m 887 si attraversa l’abitato in direzione NE, quindi si scavalca il Torrente Ravella e ci si porta alle Fontane di Gaium m 481 (ore 0.15; osterie). Risalento il torrente, si lascia a destra la strada per San Miro al Monte e si prosegue a sinistra per la comoda carreggiata, che s’innalza selciata e con larghe curve (accorciatoie) nel rado bosco, verso una specie di sella, al di là della quale si raggiunge la prima Alpe Grasso m 725 (pittorescamente inquadrata dai Corni di Canzo) e  l’Alpe Bertalli m 779 (ore 0.45-1), raggruppamento di case, abitate tutto l’anno. Si abbandona allora la carreggiata e, prestando attenzione alle segnalazioni, ci si alza, per un costolone e per il fondo di un valloncello, verso l’estremità pianeggiante del crestone occidentale dei Corni, detto Piano di Candalino m 1067 (ore 0.45-1.45) e ci si affaccia all’azzurro bacino del Lago di Lecco e alla verdeggiante Valbrona. Si prosegue lungo la dorsale, lasciando a sinistra il sentiero che conduce all’ Alpe di Pianezzo e si marcia per sentiero pianeggiante in direzione del Rifugio dei Corni o di Pianezzo m 1225 (ore 0.15-2).

DA VALMADRERA m 237 si prende la strada che si stacca a NO dalla piazza principale e sale a Gianvacca. Di qui si prosegue in direzione di Mondònico; al primo bivio si svolta a destra e, per un viottolo sostenuto da un muro a secco, si contorna un poggio e si riesce sulla sassosa traccia che rimonta la Valle della Boa tra la boscaglia fino ad una spianata (1 ora). Dai ruderi di un cascinale si continua lungo il fondovalle, sì sorpassa una presa d’acqua e, giunti sotto alcuni roccioni, ci si sposta lungo il ripido fianco occidentale per un faticoso sentiero che s’inerpica verso un pianoro, in cui sfociano ampie colate di detriti. Si evitano questi sfasciumi per la traccia segnalata che volge a destra, si passa ai piedi del roccione strapiombante detto Tetto della Porta (che può offrire un buon riparo in caso d’intemperie) e, piegando ancora a destra tra blocchi calcarei, si risale la parte superiore di una valletta, dominata a sinistra (E) dalla parete del Corno di Canzo orientale, onde giungere, fra cespugli sempre più radi, alla Bocchetta di Sambrosera m 1125 c. (ore 1.30-2.30) che separa la massa del Moregallo dal Corno di Canzo orientale, mettendo in comunicazione diretta la Valle della Boa con la Valle delle Moréggie, che sbocca nel Lecco di Lecco di fronte alla Punta dell’Abbadia. Sul valico, non nominato dalla tav. 32 I SE (Lecco), ma indicato dalla pietra di confine dei comuni di Mandello (M) e Valmadrera (V), si trovano alcuni massi erratici di granito ghiandone, che dimostrano l’enorme sviluppo dello scomparso ghiacciaio abduano, il quale invadeva nell’era quaternaria tutto il bacino del Lago di Como, lasciando emergere nel mezzo solo la vetta del Monte San Primo e, come scogli, i Corni di Canzo.  Dal valico si pianeggia attorno alla testata cespugliosa della Valle delle Moréggie, quindi si sale a un’ampia sella erbosa e, scavalcata l’arrotondata propaggine del Corno di Canzo centrale, si arriva al Rifugio dei Corni o di Pianezzo m 1225 c. (ore 0,45-3.15).

DALL’IMBOCCO OCCIDENTALE DELLA GALLERIA DEL MELGON  (lungo la carrozzabile Malgrate-Onno, quasi a metà strada fra queste due località), si rintraccia, al disopra della scarpata, un piccolo sentiero che s’inerpica lungo quel costolone che fa da sponda orientale alla Valle delle Moréggie. Si segue questo sentiero nel bosco ceduo, trascurando le diramazioni di sinistra, poi si scavalca la testata di un valloncello secondario e ci si mette nel solco principale, allo scopo di innalzarsi a mezza costa, con ampio giro, assecondando gli anfratti del Moregallo, fino alla testata del vallone (ore 2.30), dove passa l’itinerario precedente che conduce al Rifugio dei Corni o di Pianezzo m 1225 c. (ore 0.45- 3.15).

DA CANDALINO m 545 (frazione di Valbrona) si risale per mulattiera la Valle Griarolo fino all’ Alpe Oneda m. 720, dove si prende quel sentiero che si svolge lungo la boscosa dorsale che il Corno di Canzo centrale spinge verso il Sasso della Cassina e il Lago di Lecco; oppure si prende la mulattattiera che attraversa la Valle del Gagetto e, passato il Rifugio Polalba, si continua in direzione dell’Alpe di Pianezzo m 1197, al disopra della quale s’incontra l’itinerario 193, che viene da Canzo e conduce al Rifugio dei Corni o di Pianezzo m 1225 c. (ore 2).

Rifugio SEV – 1964

Nota: le fotografie sono state pubblicate da ‎Davide Fadigatti‎ sulla pagina Facebook “Sei di Valmadrera se”.

La Canoa e il Fiume

La Canoa e il Fiume

[Andrea Alessandrini – ASA] Chi sceglie di dedicarsi alla pratica sportiva della discesa fluviale, affrontando torrenti e fiumi impetuosi, deve ricordare alcune elementari regole che possono servire alla propria sicurezza e, comunque, a evitare incidenti. Il fiume ha proprie leggi cui è necessario sottostare, poiché la forza dell’acqua è enormemente più grande di quella di un qualsiasi pur fortissimo canoista.

Prima di avventurarsi in canoa lungo il corso di un qualsivoglia fiume, è necessario avere — se non si è guidati da un canoista esperto — una precisa conoscenza delle difficoltà che si potranno incontrare, ricordando che il trasbordo non è “una vergogna”, ma un ottimo sistema per aggirare ostacoli superiori alle proprie capacità. Peri vari bacini idrografici italiani, lo strumento fondamentale in questo senso è costituito dalla pubblicazione Guida ai Fiumi d’Italia di Guglielmo Granacci. Pur se limitato al solo arco alpino, è ugualmente utile e ben illustrato il testo di Steidle In canoa nei torrenti alpini. È opportuno inoltre ricordare che si ha — e da parte dei clubs più attivi, e da parte di singoli autori — una numerosa produzione di monografie riguardanti itinerari di vario tipo. I giornali di settore pubblicano con regolarità anche schede e aggiornamenti. Non manca, quindi, la possibilità di documentarsi affinché la gita, o il viaggio di più giorni, siano ben programmati.

Detto questo, ricordiamo sommariamente che esiste una classificazione internazionale dei corsi d’acqua, che stabilisce con sufficiente precisione la difficoltà dei fiumi.

Si inizia con il 1° grado, cui appartengono i corsi d’acqua con corrente non molto veloce, senza ostacoli o rocce; vi sono leggere increspature della superficie dell’acqua, la pendenza non è forte, e il fiume può essere disceso da chiunque con le necessarie precauzioni — quali la consultazione di carte fluviali, o la presenza o le informazioni di chi già conosce il percorso. Vi sono spesso, infatti, soprattutto nei fiumi regimentati, ostacoli di tipo artificiale di enorme pericolo, che vanno accuratamente evitati e che non sempre sono segnalati. Possono essere dighe o sbarramenti, canalizzazioni o prese d’acqua. Di norma sono di 1° grado i fiumi che scorrono in pianura (corso inferiore); in queste discese non è necessario il paraspruzzi.

Quando vi sono rapide facili, corrente veloce, maggiore pendenza, rocce e ostacoli che si possono evitare e onde relativamente piccole e diritte, il fiume si può classificare di 2° grado. Possono scenderlo i principianti in grado di padroneggiare il kayak; è utile usare il paraspruzzi; di norma il fiume è nel suo corso medio-inferiore.

Il 3° grado presenta rapide moderatamente difficili, onde e buchi sono più impegnativi, le rocce affioranti devono essere evitate con perizia ed è necessario conoscere bene le manovre di base: in questa situazione è utile saper effettuare l’eskimo con sicurezza e rapidità. Il fiume è nel suo corso medio-superiore.

Nelle rapide di 4° grado vi è una notevole quantità d’acqua, le onde sono più alte, vi sono riccioli e rulli di un certo impegno, e alcuni ostacoli sono nascosti dall’acqua. Di norma il 4° grado è un passaggio (o una serie di passaggi) impegnativo nel corso medio-superiore del fiume. E necessario essere piuttosto esperti.

Il 5° grado è quasi il limite delle possibilità di discesa in canoa. Per affrontarlo è necessario essere molto esperti e in possesso di un’ottima tecnica, poiché qui si incontrano passaggi realmente difficili, che si superano in sicurezza con l’attenta assistenza di compagni altrettanto esperti. Il 5° grado si trova nel corso superiore del fiume, nei tratti alpini, con forte pendenza.

È considerato quasi insuperabile il 6° grado: valanghe d’acqua, gole, sifoni, strettoie, salti, presentano tali problemi che solo canoisti particolarmente amanti del rischio e decisamente capaci possono affrontare.

Un fiume non è mai classificato con un solo grado di difficoltà se vi sono tratti di diverse caratteristiche; il corso d’acqua verrà quindi segnalato con i due gradi maggiori di difficoltà. Stabiliti i propri limiti, è meglio ricordare di non sottovalutare mai un corso d’acqua, poiché vi sono ostacoli che l’inesperto può considerare banali ma che, in realtà, possono essere estremamente pericolosi. Quindi vanno sempre accuratamente evitati passaggi troppo vicini a rami d’albero immersi nell’acqua, perché possono imprigionare canoa e canoista; non vanno praticamente mai affrontati i rulli, ovvero quei ritorni d’acqua che si presentano dopo ostacoli artificiali e non, che possono far rotolare l’imbarcazione indefinitamente, trattenendola magari sott’acqua assieme al canoista; altrettanto pericolosi sono i cavi, e ostacoli vari, che a volte
si trovano nei fiumi e nei torrenti in piena.

Non si devono mai affrontare rapide di cui non si veda la fine o in cui non si scorga una zona tranquilla (detta ‘“morta”’) in cui poter sostare. Nei fiumi e nei torrenti impegnativi è necessario fare una ricognizione preventiva, o discendere solo con canoisti che conoscano perfettamente il corso d’acqua e siano in grado di segnalare anticipatamente particolari difficoltà e, eventualmente, saper soccorrere il canoista in pericolo. È anche consigliabile affrontare discese che non impegnino al limite delle proprie capacità, in modo da avere la possibilità di verificare la propria tecnica nei vari esercizi, gustando la gioia che si prova a “giocare” tra le rapide.

AI termine di qualsiasi discesa, entusiasmante o tranquilla, si presenta il problema del recupero, ovvero: come ritornare al punto di partenza dove si è lasciata l’auto col cambio asciutto, se non si è avuta l’accortezza di portarselo dietro nel sacco stagno? Ci si può affidare al “solito” amico non canoista, che seguirà in auto il percorso del fiume sulla strada fino al punto di arrivo; oppure si dovrà contare su almeno due auto, una delle quali sarà stata preventivamente portata all’arrivo. Non è consigliabile fare l’autostop, poiché difficilmente qualcuno carica un canoista grondante acqua, comunque, resterebbe il problema del materiale abbandonato.

È importante infine soffermarsi un istante sul problema della sicurezza e del soccorso su torrenti impetuosi.Oltre a non affrontare mai una discesa se non si è almeno in tre, il canoista previdente avrà sempre con sé una corda (meglio se galleggiante) di almeno 15 m., del diametro di 5/7 mm., un paio di moschettoni e, possibilmente, un imbragatura. Nei passaggi più difficili, o con possibile pericolo, dopo il consueto sopralluogo, almeno due canoisti assisteranno al passaggio dei compagni stando sulla riva del fiume pronti a soccorrere, con corda e imbragatura, il canoista eventualmente in difficoltà.

La conoscenza, e quindi la prevenzione, delle possibili situazioni di pericolo, sarà bagaglio del canoista accorto — nonché il sapere aiutare, in canoa o a nuoto, il compagno in difficoltà, a raggiungere la riva e a recuperare pagaia e imbarcazione. Qualsiasi buona scuola di canoa fluviale insegnerà comunque queste essenziali nozioni di sicurezza e soccorso in modo esauriente e completo.

Tratto da “Il libro della Canoa” di Andrea Alessandrini, edito da Gammalibri nell’Aprile del 1986. 


Ho conosciuto Andrea Alessandrini, l’Ammiraglio, più o meno nel 2006. E’ stato lui a conferirmi il “titolo” di Nostromo. All’epoca aveva un “laboratorio/base nautica” sulle rive del Lago di Pusiano, a Bosisio Parini. In quel laboratorio, che sembrava l’antro di un mago affacciato sul lago, produceva ancora – completamente a mano – i modelli più celebri delle canoe ASA: Kayak in fibra di  carbonio di una bellezza straordinaria. Passavo spesso le giornate ad aiutarlo, per lo più cercavo di mettere ordine in quel caos di “cimeli ammassati” che era il magazzino mentre lui lavorava, sempre a mano, agli stampi. Prima creava il “modello”, in pratica una “scultura” dello scafo della canoa realizato da una forma piena su cui passava ore infinite a grattare e stuccare. Da questa si creava il “negativo” dello scafo e lo si trattava affinchè diventasse lo “stampo”. Ogni stampo era quindi un pezzo unico, su cui si poteva realizzare solo una canoa alla volta. Nello stampo di stendevano “lenzuoli” di fibra di carbonio “spennellando” le resine: il processo e le dosi con cui mischiava i vari componenti era pura alchimia. Il risultato finale era uno scafo incredibilmente leggero ma allo stesso tempo robusto, rigido ma  elastico. La sua era davvero la maestria di un artista!

Quando era stufo di vedermi in giro per il laboratorio mi spediva sul lago, ogni volta con una canoa diversa. Sull’acqua ferma del lago di Pusiano quei Kayak da mare filavano stabili come missili!! L’ammiraglio, che invero era fatto decisamente a modo suo, aveva fissato delle “Puntine da Disegno” sulla mia pagaia perchè – con le buone o con le cattive – imparassi a tenere le mani nell’impugnatura giusta. Che nevicasse o ci fosse il sole il lago restava uno straordinario viaggio ed al rientro, quando il tempo era buono, concludevamo la giornata facendo una grigliata in giardino asciugando un paio di birre. Toscano, Geologo, Milanese d’adozione, Costruttore di Canoe Campioni del Mondo: che tipo l’Ammiraglio!  

Rileggendo il suo libro, che ha un posto d’onore nella Bibliotece Canova, non potevo che sorridere osservando come i gradi delle difficoltà fluviali assomiglino a quelli della scala “Welzenbach” utilizzata in arrampicata prima del VII° grado. 

Foto: nella foto in alto Andrea sul Danubio, lungo i suoi 2300km che vanno dalla Germania al Mar Nero. Qui sotto Canoisti – ASA – ai piedi dell’Everest, in Nepal, dove dal fronte del ghiacciaio sgonga il fiume Dudh Kosi, il fiume che scorre alla magior altitudine al mondo. Infine la copertina del libro, con Andrea in azione tra le acque bianche.

Terra di Uomini

Terra di Uomini

Ancora una volta ho sfiorato una verità senza comprenderla. Mi sono creduto perso, ho creduto di toccare il fondo della disperazione e, accettata la rinuncia, ho conosciuto la pace. In simili momenti si ha l’impressione di scoprire se stessi e diventare il proprio amico. Nulla potrebbe più prevalere contro un sentimento di pienezza che soddisfa in noi non so quale bisogno essenziale, che ignoravamo. Bonnafous, che si logorava nel dare la caccia al vento, ha conosciuto, immagino, tale serenità. Così pure Guillaumet, nella sua neve. E come potrei escludere me stesso, che, sepolto nella sabbia fino alla nuca e sgozzato lentamente dalla sete, ho avuto tanto calore in cuore sotto il mio mantello di stelle.

In qual modo favorire in noi questa specie di liberazione? Nell’uomo, tutto è paradossale, come ben si sa. Assicuriamo il pane a costui per consentirgli di creare, e si addormenta; il conquistatore vittorioso si sfibra, il generoso, se lo facciamo ricco, diventa tirchio. Che cosa c’importa, delle dottrine che si arrogano di dare incremento agli uomini, se prima non sappiamo qual tipo d’uomo incrementeranno. Chi nascerà? Non siamo una mandria da ingrassare, e l’apparizione di un Pascal povero ha un peso assai maggiore che non la nascita di vari anonimi benestanti.

Non sappiamo prevedere l’essenziale. Ognuno ha conosciuto le gioie più calde là dove nulla pareva prometterle. Esse lasciano una tale nostalgia da far rimpiangere le disgrazie, se sono state le disgrazie a renderle possibili. Abbiamo tutti assaporato, incontrando vecchi compagni, l’incanto dei brutti ricordi. Che cosa sappiamo, se non che esistono condizioni sconosciute, che ci fecondano? Dove sta di casa la verità dell’uomo?

La verità non è affatto in ciò che si può dimostrare. Se in un certo terreno, e non in un altro, gli aranci mettono solide radici e si coprono di frutti, quel terreno è la verità degli aranci. Se una certa religione, o cultura, o scala di valori, o forma di attività, e non certe altre, favoriscono nell’uomo quella pienezza, fanno si che in lui si sprigioni il gran signore che inconsapevolmente c’era, vuol dire che quella scala di valori, quella cultura, quella forma di attività, sono la verità dell’uomo. La logica? Si sbrogli a render conto della vita.

Abbiamo tutti saputo di certi bottegai che, in una notte di naufragio o d’incendio, si sono rivelati superiori a se stessi. Non c’è pericolo che ad essi sfugga la qualità di pienezza raggiunta in tal caso: quell’incendio rimarrà la notte della loro vita. Ma, per mancanza di nuove occasioni, di un terreno favorevole, di una religione esigente, si sono riaddormentati senza avere creduto nella propria grandezza. Certo le vocazioni aiutano l’uomo a sprigionarsi, ma è ugualmente necessario far sprigionare le vocazioni.

Antoine De Saint-Exupéry


Tratto da “Terra di Uomini” di Antoine De Saint-Exupéry. Una raccolta di racconti autobiografici pubblicata nel 1939, anni prima che l’autore/aviatore diventasse famoso per “Il Piccolo Principe” nel 1943. Tutti conosciamo la storia del giovane abitante dell’ asteroide B-612, della sua Rosa e del suo viaggio tra i pianeti: è una storia che si studia da bambini e che solitamante si rispolvera sui trent’anni per fare colpo su qualche ragazza. “Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”: quasi nessuno ne capisce bene il senso, ma tutti concordano sulla sua profondità… anche quando del suo senso ne sono l’antitesi vivente. Per questo scoprire che la vita di Antoine De Saint-Exupéry è molto più interessante, umana, ed “eroica” nell’accezione più delicata del termine, di quanto si creda è stata una piacevole sorpresa. Emanciparsi dal reame della fiaba per scoprire lo speciale viaggio del “principe adulto”, del suo aereo, dei suoi libri, dei suoi grandi amori e della guerra. In più mi diverte l’incredibile somiglianza con il mio amico Krulak, compagno di mille avventure che avventure non furono. 

Davide “Birillo” Valsecchi

Foto: in alto il Lightning P 38 guidato da Antoine de Saint-Exupéry  fotografato dal suo amico John Phillips nel 1944 in Sardegna con Capo Caccia sullo sfondo. Soto: Antoine De Saint-Exupéry 

Grignetta: REL e Direttissima

Grignetta: REL e Direttissima

La “Direttissima” in Grignetta, che collega i Pian dei Resinelli al Rifugio Rosalba, è uno degli itinerari più noti e frequentati di tutto il gruppo montuoso. Percorrerlo significa addentrarsi attraverso le più famose “strutture” che compongono la cattedrale di pietra che è la Grignetta. Il sentiero è oggi attrezzato con funi metalliche e scale ma, in origine, nacque come itinerario alpinistico grazie all’intuizione di Eugenio Fasana che nell’Ottobre del 1911, insieme con Luigi Binaghi e Giuseppe Maccagno, riesce a individuare un percorso che dai Resinelli raggiunge il Colle Valsecchi sulla Cresta Segantini. Solo nel 1923 la sezione CAI di Milano attrezza l’itinerario con catene nei punti più esposti, piazzando una scala metallica per superare un salto verticale.  

Sulle pagine di “Cima” la Direttissima e la sua storia sono state trattate spesso, tuttavia questo itinerario è diventato per me il “termine di confronto” per comprendere i cambiamenti che verranno introdotti dalla REL, la Rete Escursionistica della Lombardia. Con una legge regionale del 27 febbraio 2017, la Lombardia ha deciso di censire e catalogare la propria rete escursionistica definendo quelli che sono i sentieri escursionistici, i sentieri alpinistici, le vie ferrate, i siti di arrampicata. Un censimento che si prevedeva concluso entro il 2020.

La legge definisce le differenze in questo modo:

  • sentieri escursionistici: percorsi ubicati in pianura, collina o montagna, destinati all’attività turistica, ricreativa o alle pratiche sportive e del tempo libero, privi di difficoltà tecniche, costituiti da mulattiere, sentieri e strade vicinali interpoderali utilizzati anche per scopi agro-silvo-pastorali, per il raggiungimento di rifugi.
  • sentieri alpinistici: percorsi che si sviluppano prevalentemente in zone di montagna e conducono, anche mediante tratti attrezzati con funi, corrimano e brevi scale, a rifugi alpini, bivacchi fissi e località di particolare interesse alpinistico e naturalistico, alpeggi e piccoli borghi.
  • vie ferrate: tratti di percorsi su pareti rocciose impervie, creste, cenge e forre, dotati di cavi, catene, staffe, funi, passerelle o altri ancoraggi fissi, utili a consentirne la percorribilità;
  • siti di arrampicata: pareti rocciose ripide, verticali o a strapiombo in cui si trovano vie di arrampicata di difficoltà e tipologie diverse, anche attrezzate con chiodi, fittoni e catene che permettono la sola autoprotezione dell’utente.

In quest’ottica la “Direttisima” potrebbe apparire di difficile catalogazione, nella realtà però il tutto si riduce in modo piuttosto semplice: EE, sentiero per escursionisti esperti, oppure EEA, sentiero per escursionisti esperti attrezzati.

Chi frequenta spesso la Grignetta avrà avuto occasione di osservare comitive di “Milanesi”, nell’accezione più bonaria del termine, muniti di caschetto, imbrago, set da ferrata e guantini che si guadagnavano, anche onorevolmente invero, la cima della Grignetta passando dalla Direttissima, dallo Scarrettone e dal canale Federazione:  un giro impegnativo e tutto attrezzato, in cui infilarsi l’imbrago alla partenza ha un suo senso. Certo, può far sorridere tutto quell’armamentario, ma è giusto che ognuno sia libero di affrontare una salita come crede, “melius abundare quam deficere” quando vi è la possibilità (catene e scale, più o meno, ci sono dal 1923). La questione è che questa potrebbe diventare la “regola”: la direttissima smetterebbe di essere un “sentiero” per diventare una “ferrata”?  

Sebbene l’attuale cartellonistica riporti EE, dalle prime indiscrezioni, “sembra” che nel REL verranno inseriti come EEA sia la Direttissima quanto il Sentiero della Cresta Sinigaglia (rif. Porta -> vetta Grignetta), la Traversata Alta (vetta Grignetta -> vetta Grignone e rif. Brioschi) il Sentiero Giorgio (parte della Direttissima), il Sentiero Cecilia (rif. Rosalba -> vetta Grignetta), il Canalone dell’Angelina: (Direttissima -> sentiero Cecilia) ed il Sentiero dell’alta Val Scarettone (Colle Valsecchi -> Bocchetta del Giardino). Curiosamente, almeno per me, il Canalone Porta – che io reputo più pericoloso – sarà considerato solo EE visto che non sono presenti “infissi geotecnici”.  

Già oggi sul web, “da yogalpinismo a sassbaloss”, la maggiorparte di questi itinerari sono descritti, forse con leggerezza, come EEA ed è pertanto probabile che questa “consuetudine” abbia poi effetto diretto sulla classificazione finale. Già nel 2016, quando vi fu una massiccia ristrutturazione dei sentieri attrezzati in Lombardia,  nelle pubblicazioni della Regione la Direttissima, lo Scarettone ed il Sentiero Cecilia venivano già elencati come vie ferrate.

Orbene, mi è capitato di percorrere lo Scarrettone in discesa e sotto la pioggia e, posso garantirvelo, ho decisamente apprezzato il potermi aggrappare al cavo metallico, quindi non è mia intenzione recriminare sulla loro presenza. Tuttavia se viene definito EEA – ovvero percorso che al pari delle ferrate richiede l’uso dei dispositivi di autoassicurazione – diventa difficile capire dal punto di vista della legge cosa cambierà se percorso senza imbrago, dissipatore e lounge omologata. “Dura Lex Sed Lex”: non è un cambiamento da sottovalutare.

Le ferrate inoltre, come recentemente il territorio lecchese ben sa, quando non sono a norma di legge vengono “Vietate” ed il passaggio non è “a proprio rischio e pericolo” ma diventa un “illecito”  e, come tale, in qualche modo “sanzionabile” o “punibile” in caso di incidente o responsabilità. In passato, quando i cavi erano rotti, la Direttissima è già stata definita “inagibile”: il passaggio era “vietato” o “sconsigliato”?

Il REL, che in senso generale è un’iniziativa positiva, trasformerà la Grignetta in una gigantesca Ferrata? Tutti in fila, tutti appesi ad un cavo, tutti con la mascherina ad un metro di distanza? Non sembra un radioso futuro per l’Accademia dell’Arrampicata… 

Fortunatamente non sta a me decidere, anche se sono preoccupato per le scelte che verranno fatte sui Corni e sul Moregallo: paradossalmente si rischierebbe di poter risalire la Crestina OSA in libera mentre diverrebbe mandatorio il set da ferrata per il Belasa o la cresta Occidentale.

Nel mentre non posso che rileggere e condividere con voi la descrizione della Direttissima che ne dava Silvio Saglio nel 1957.

AL RIFUGIO ROSALBA m 1730 PER IL SENTIERO DELLA DIRETTISSIMA, ore 2.30; traversata da compiersi con attenzione, in alcuni tratti facilitata da corde, scalette e arpioni. — Dal Rifugio C. Porta m 1426 una comoda e larga viottola si dirige a settentrione per passare in cospetto dell’artistica stele della Madonna delle Rocce e attraversare con due risvolte il freschissimo Bosco Giulia. La viottola termina su un ripiano donde dirama due sentieri: uno prosegue a d. e, per la Costa dell’Asinino o Cresta Cermenati, raggiunge la vetta della Grigna meridionale; l’altro, il «Sentiero della Direttissima», svolta a sin. e corre pianeggiante e di costa per breve tratto, portandosi alla base del Musone dell’ Asinino, dove su una balza è scolpito nel vivo un vecchio segno di confine del Comune di Mandello. Il sent. passa poi al di sopra di un minuscolo faggeto, attraversa la foce del Canalone Caimi e s’incontra con quello proveniente dal Piano dei Resinelli. Dopo il Canalone Caimi risale a serpentine lungo una costa erbosa con vista sempre più ampia, s’inoltra verso la base di altri roccioni e, con diminuita pendenza, attraversa qualche colatoio secondario, s’innalza a svolte per un’erta china d’erba. All’incontro di un profondo canale la traccia rimonta il pietroso e franoso pendio di d. si perde alla radice di uno spuntone roccioso, sale per facili roccette friabili e, spostandosi a sin. per roccioni lisci ma facili, scende in un canaletto ben gradinato fino al fondo del canalone, di fronte all’aspra «paretina». Si supera la paretina servendosi di arpioni, quindi ci si sposta a sin. su un ripiano con ringhiera e ci s’innalza per facili gradini rocciosi verso una scaletta, con la quale si entra nel caminetto e lo si risale (1 ora). Al di sopra deì canzinetto il sent., dopo un tratto piano, scende con poche svolte, percorre la cengetta Ferrari alla testata di un profondo valloncello, scavalca uno speroncino e, dopo un secondo e terzo sperone, si abbassa in un canale. Di qui sale a un intaglio, correndo su cenge erbose, su tacche rocciose, munite di corde metalliche e, dal fondo del Canalone dei Piccioni, s’innalza verso lo sperone che divide dal Canalone di Val Tesa e perviene alla sella che i separa il Campaniletto, la Torre, la Lancia e il Fungo. In seguito prosegue in piano, scende sul fondo di un canalone, si alza a un altro intaglio, dal quale si ammira la Torre Costanza, la caratteristica Mongolfiera, la elevata Piramide Casati e il poderoso Torrione Palma (ore 0.30-1.30) e si biforca. Si segue il sent. di sin. che si abbassa sul fianco e sul fondo di un canale detritico, si scavalcano alcune costole rocciose e si giunge alla base dello spigolo meridionale della Piramide Casati. Di qui si riprende la salita per un canale e per una ripida china erbosa e ci si porta sul Sentiero Cecilia tra il Colle Garibaldi e il Colle Rosalba. Raggiunto quest’ultimo valico, la traccia discende nel versante di V. Scarettone e, dopo essere passati tra un roccione e la Torre Rosalba, si porta nei pressi della cresta, che raggiunge al Rifugio Rosalba m 1730 (ore 1-2.30; v. N. 502).

– RIFUGIO ROSALBA

Con un’unica denominazione vengono ora indicati i 2 rifugi che sorgono a m 1730, sulla cresta che separa la V. Monastero dalla V. Scarettone nei pressi del Colle del Pertusio. Il luogo è bellissimo; meraviglioso il panorama sulla vicina verde Brianza, sul sottostante azzurro lago, sulla lontana brumosa pianura lombarda limitata dagli evanescenti Appennini e sull’imponente e scintillante cerchia alpina che, appoggiandosi al colossale pilastro del M. Rosa, si stende ad arco dalle Marittime alle Retiche. La località è frequentatissima come meta a sè e come punto di partenza per brevi e divertenti arrampicate.

Il vecchio rifugio fu donato da Davide Valsecchi alla Sez. di Milano del CAI, che lo chiamò col nome della figliola; fu solennemente inaugurato il 15 luglio 1906 e ampliato nel 1921. È tutto in legno, esternamente rivestito di lamiera di zinco. Attualmente dispone di 9 cuccette nel dormitorio comune, 6 nel dormitorio signore, 6 nel sottotetto e 2 nel locale del custode, tutte di rete metallica; è dotato di materassi, di guanciali, di sufficiente numero di coperte, di lenzuola, di suppellettili di cucina e di mensa. Il nuovo rifugio, inaugurato nel 1955, è una costruzione in muratura a 2 piani, con 33 cuccette, riscaldamento a stufa, illuminazione a gas liquido, cassetta medicazione. – Sono aperti con servizio d’alberghetto nei giorni festivi di maggio, giugno, settembre e ottobre, mentre in luglio e agosto funzionano continuativamente.

Dominio del Vuoto

Dominio del Vuoto

“Arrampicate Libere sulle Dolomiti” è uno dei nuovi volumi che si sono aggiunti alla Biblioteca Canova. Un libro di Severino Casara, seconda edizione del 1950 dopo la prima del 1944. Casara, nato il 26 Aprile del 1903, fu un valente arrampicatore nonché compagno di cordata di Emilio Comici fino alla sua caduta fatale, nell’ottobre 1940.  Il testo è un  connubio tra i suoi ricordi, le imprese con l’amico Comici e le testimonianze raccolte su Paul Preuss, scomparso il  3 Ottobre 1913, di cui ha ricevuto gli appunti personali.

«L’ascensionismo non è uno sport, come molti profani ed alcuni arrampicatori vorrebbero sostenere – scrive Casara illustrandoci la sua visione di alpinismo –  ma concezione squisitamente eroica che eleva l’uomo audace ad uno stato di grazia sulla montagna. È il dominio del vuoto. Infatti il corpo è librato nell’aria, eccetto i quattro punti degli arti che toccano la parete levigata e strapiombante. È il volo umano senz’ali verso l’alto. »

Casara riceve l’archivio di appunti, relazioni e fotografie di Paul Preuss dalla sorella Minna e dal cognato Paul Relly. «Narrare qui le imprese di Preuss sarebbe troppo lungo, basterebbe ricordare che nella sua breve vita egli riuscì a compiere su tutte le Alpi oltre 1200 ascensioni, fra le quali 150 di nuove e oltre 300 da solo! E cadde a 27 anni!».

L’autore, nel passaggio che ho voluto riproporre qui, riporta le celebri “sei massime” di Preuss arricchendole con la traduzione di suo testo originale in cui illustra e spiega la sua teoria alpinistica. Dalle testimonianze del libro emerge poi l’insospettabile carattere di Preuss: avevo sempre creduto fosse una personalità schiva e solitaria, invece traspare una figura luminosa e socievole, amata e benvoluta. “Salire montem in laetitia” fu il suo motto. Così, ora le sei regole non mi sembranop più essere pilastri d’etica o fondamenti della vera sicurezza, ma mi appaiono invece come linee guida d’ispirazione per la ricerca di una felicità che sembra in parte perduta. 

Ecco il testo di Casara e di Preuss:   

[Severino Casara – 1994] Preuss era un purista e riteneva che la lotta coi monti fosse intrapresa liberamente e, vorrei quasi dire, onestamente, senza l’aiuto di alcun artificio. Usava la corda solo quando si univa a compagni: ma in tal caso aveva ideato un nodo che si sarebbe facilmente sciolto qualora egli fosse precipitato, e non avrebbe così travolto l’amico. Considerava che le difficoltà maggiori di arrampicamento si sogliono incontrare «negli strapiombi in parete libera e nelle traversate»; e la massima «quando gli uni e le altre si combinano». Derideva i tanti che parlano di arrampicate «per pareti lisce come un muro, senza appigli e senza appoggi». Diceva che non ne aveva mai vedute. Ad affermare tale principio, quello di vincere anche le più difficili montagne con le sole proprie risorse naturali, non poteva essere che lui, creatura eletta e dotata delle migliori energie fisiche e morali. Era già stato maestro in ogni esercizio, sì da vincere i campionati accademici austriaci di tennis, scherma e pattinaggio, figura e stile. Ma ben presto la sua attività si rivolse tutta alla scuola severa della montagna.

Sostenne con vari scritti e illustrazioni la necessità di salire sulla montagna senza l’uso dei mezzi artificiali, utili soltanto in caso di pericolo. Il suo nuovo verbo, che rivoluzionava la già invadente tecnica alpina dei chiodi e della doppia corda, provocò discussioni in tutti gli ambienti alpinistici. Il 31 gennaio del 1912 il dott. Preuss fu invitato a una riunione a Monaco promossa dalla Sezione Bavarese del D. Oe. Alpenverein. Tutti i migliori esponenti dell’alpinismo parteciparono a quella storica seduta: Nieberl, Oertel, Dilfer, Jacobi, Leuchs, Hibel, Piaz e tanti altri. E Preuss quella sera espose brillantemente la sua teoria fondandola sulle note sei massime, che trascrivo:

  1. Non bisogna essere soltanto all’altezza delle difficoltà che si affrontano, ma bisogna essere nettamente superiori ad esse
  2. La misura delle difficoltà che un alpinista può con sicurezza superare in discesa senza l’uso della corda e con animo tranquillo, deve rappresentare il limite massimo delle difficoltà che egli può affrontare in salita.
  3. La giustificazione dell’impiego dei mezzi artificiali vi è soltanto nel caso di pericolo.
  4. Il chiodo da roccia è una riserva per casi di necessità, ma non deve essere il fondamento di una tecnica speciale.
  5. La corda può essere una facilitazione ma non il mezzo indispensabile per rendere possibile una salita.
  6. Su tutto deve dominare il principio della sicurezza. Però non l’assicurazione forzatamente ottenuta con mezzi artificiali in condizioni di evidente pericolo, ma quell’assicurazione preventiva che per ogni alpinista deve basarsi sul giusto apprezzamento delle proprie forze.

Venne pure esaurientemente discussa la distinzione fra alpinismo e acrobatismo. E Preuss, esposte le sue vedute sull’essenza dell’alpinismo e sulle relazioni con l’acrobatismo, concluse che la meta da raggiungersi è la loro fusione. Espose inoltre il suo fondamentale principio di poter sempre discendere rampicando per dove si è saliti. Principio incredibile allora — e più ancora oggi che nell’alpinismo ha preso il sopravvento l’acrobatismo — ma da lui dimostrato assolutamente veritiero. Chi mai compie oggi una discesa per roccia senza far uso della corda doppia e dei chiodi? Da ciò è derivato che pochissimi hanno imparato a scendere dalla roccia arrampicando per dove sono saliti.

Su tale argomento Preuss si soffermò con una chiara e convincente esposizione che credo utile tradurre: «Ammetto volentieri che l’arrampicare in discesa è più difficile che quello in salita, ma questo perchè gli alpinisti ci sono meno abituati e perchè non l’hanno imparato. Effettivamente i punti più difficili si possono fare arrampicando in discesa quando soltanto si conoscono già in salita. Ma che vi sia un punto fattibile con sicurezza in salita ma non in discesa, lo posso escludere per mia esperienza personale. L’arrampicata in discesa, come già ho replicato a Piaz, può essere imparata e la capacità di arrampicarsi in discesa deve guidare l’alpinista nella scelta delle sue imprese. Appunto il fatto che Nieberl mette tanto in rilievo il pericolo delle mie teorie, è prova di quanto poco egli abbia compreso l’intimo significato di ciò che io pretendo. Io sarei «un mostro senza cuore» e il mio ideale «un orribile Moloch» se fosse vero che pretendo che gli alpinisti in certa maniera sappiano «morire in bel modo». Con quanta poca fondatezza mi sia rivolta tale accusa può Nieberl giudicare da questo. Volentieri seguo il suo pensiero «un solo misero chiodo da roccia lo avrebbe salvato». Ma chiedo di più. Era necessario e sarà sempre necessario che continui così? Non ci sarà una Potenza che difenda l’alpinista da se stesso, che gli impedisca di spingersi all’estremo limite delle sue possibilità, dove Vita e Morte si contrastano in un equilibrio già instabile? Negli ultimi anni, molti, spaventevolmente molti, sono caduti a morte proprio nel superare punti difficili. Ma sarebbe forse morto alcuno dei caduti se il sentimento morale e sportivo loro fosse stato giudicato dalla massima: « Nessun passo avanti, dove tu non puoi ridiscendere? ». Il Moloch è il principio attuale, e lo dimostrano i risultati degli ultimi decenni, e centinaia di vittime gli si sono immolate. Crede dunque Nieberl che la maggior parte degli alpinisti sappia meglio manovrare colla corda e coi chiodi che i con la roccia e con se stessi? Per impiegare i mezzi artificiali « moderatamente e con criterio », come dice Nieberl, si dovrebbe essere già maestri di prim’ordine. Ma in tal caso non se ne avrebbe bisogno perchè si dovrebbe stabilire il limite delle proprie possibilità. « E ora mi capirà forse bene Nieberl se dico: vi è un’importante esigenza e cioè l’educazione dell’Alpinismo. Bisogna educare i principianti a frenare il loro amor proprio ai limiti delle loro capacità, a tenersi elevati nella loro morale come nella loro tecnica, non più alti e non più bassi. Nel sapersi trattenere e frenare si rivela il maestro! L’autorizzazione morale per difficili ascensioni non risiede in attitudini fisiche o in virtuosismi di tecnica quanto nella educazione delle basi spirituali e morali e nel corso dei pensieri dell’alpinista. «La bella epoca del vecchio Alpinismo può risorgere se regolando le ascensioni coll’educare lo spirito e la mente degli alpinisti si respingerà di nuovo nei suoi confini il «decadimento mentale i sportivo » (sportversimpelung), come lo ha chiamato Planck, la «manualità dei mestieranti » (handwerkméssige Betrieb), come la chiamerei io. «Ora i monti sono odiati, combattuti con ogni mezzo; ma si imparerà a temerli e ad amarli! ». Preuss certo antivedeva dove si sarebbe andati a finire con l’ammettere l’uso indiscriminato dei chiodi. Chi avrebbe più potuto fissare un limite? La parola «impossibile » sarebbe un po’ alla volta scomparsa. Dall’alpinismo si sarebbe passati all’acrobatismo; dalle vittorie sulla montagna libera e pura, alle gare sportive sulla montagna addomesticata. Si sarebbe anche arrivati alle « strade ferrate » fino alle cime… (col biglietto d’ingresso?).

E ci siamo arrivati. Se si continua sempre di più con questo… progresso di piantamento di chiodi (siamo giunti ai 60 e più per una sola via), non occorrerà neppure farle costruire da apposite imprese industriali, queste «strade ferrate», perchè vedremo divenuta realtà la predizione di Irving nel suo famoso «The romance of Mountaineering », il romanzo dell’Alpinismo: «Verrà giorno in cui la via segnata da corde e da chiodi che un arrampicatore costruirà per vincere una sua parete non sarà più possibile distinguerla da una funivia… ».

Foto: Preuss all’attacco della sua parete al Campanil Basso (28 Luglio 1911), Preuss sul DonnelKogel, Copertina libro.

Storia Alpinistica della Carnia

Storia Alpinistica della Carnia

«Forni Avoltri, ultimo contrafforte della Carnia, ride al sole tra piccoli terrazzi prativi in mezzo al più smagliante verde di tutta la Carnia». Tra gli scaffali della mia libreria è riapparso un vecchio libro: “Forni Avoltri” di Tomaso Pellicciari, edito nel 1973 per commemorare il Centenario della Chiesa di San Lorenzo. Una pubblicazione di 460 pagine che illustra il territorio di Forni Avoltri nei suoi aspetti ambientali, culturali e storici. L’autore, Tomaso Pelliciari, è nato il 5 settembre del 1926 a Treviso. Diplomato come perito minerario è figlio di una famiglia di artisti e letterati, coniugando quindi competenze tecnico scientifiche ad una notevole sensibilità umanistica. Quando giunge a Forni Avoltri se ne innamora e tale sentimento traspare evidente nei suoi scritti.

Tra le pagine del suo libro vi è un intero capitolo dedicato a “Scalatori e Scalate” in cui riporta due aspetti per me interessanti: il primo è la storia alpinistica della Carnia fino al primo dopoguerra, il secondo è un censimento delle principali ascensioni (un centinaio) ordinato per montagna e per grado nella scala Welzenbach. 

Dalla cronistoria alpinistica emerge una figura di indubbio fascino: Pietro Samassa da Collina, noto anche come Pìori di Tòch.  Cercando ulteriori informazioni mi sono imbatutto nel sito web “Alto Gorto in movimento -Tra Ottocento e Novecento“, un portale dedicato alla storiografia delle località aggregate nei comuni di Rigolato e Forni Avoltri. Qui ho trovato la fotografia che trovate in apertura: Creta della Chianevate, 1921. Lungo il sentiero di guerra, via normale alla cima.

[Tomaso Pellicciari]. Non si hanno notizie sicure prima del secolo diciannovesimo e pare che la prima vetta ad essere toccata sia stata proprio quella del monte più alto della zona: il monte Peralba. Attorno al 1800 dei cacciatori locali abbandonarono l’infruttuosa caccia della giornata per salire alla cima del Peralba che si stagliava meravigliosamente baciata dal sole nello sfondo dell’azzurro cielo. Soltanto il ricordo della gente del posto riporta questa prima conquista dell’alpinismo locale. Così pure nel 1840 un cacciatore italiano, solo, salì fino al Becco del Monte Creta Forata di Volaia, altrimenti chiamato Capolago. Ma soltanto dall’ultima metà del secolo scorso si hanno notizie sicure, fedelmente riportate. Nel 1353 avvenne la prima salita sicura del Peralba da parte del tedesco Schӧnhuber che vi risalì nel 1854 per triangolazioni geodetiche. Il 30 settembre 1865 il giovane viennese Paul Grohamann, che già aveva compiuto ascensioni nelle Dolomiti preparando a Cortina vari valligiani alla nobile arte di guida alpina e che più tardi si meriterà da Cortina la cittadinanza onoraria ed il titolo di «padre delle Dolomiti», assieme alle guide Nicolò Sottocorona e Hofer conquista per primo la vetta della più alta montagna della catena Carnica il Coglians a m. 2.780: l’itinerario è il medesimo di quello tutt’ora seguito dal sentiero della via comune (riportato da «Die Erschliessung der Ostalpen» da «Zeitschrift des Deutschen und Oesterreichischen Alpen-Vereins» del 1869/70, da «Mitteilungen des Deutschen un Oesterreichischen Alpen-Vereins» nonchè dal «Bollettino del Club Alpino Italiano» e da «In Alto»). Però già tre anni prima, il 22 settembre 1862, il fabbro di Mauthen Adam Ridoler salì con il geologo E. von Mojsisovics ed il valligiano A. Valdan alla vetta della Creta delle Chianevate, alla vetta della Creta di Collina e per altre vie saliva il 20 luglio 1870 Paul Grohmann con la guida Nicolò Samassa (al ghiacciaio delle Chianevate già nel 1860 erano soliti i cacciatori austriaci T. Bucher e F. Stramitzer). Il 15 luglio 1868 lo stesso Paul Grohmann sale alla Cima Ovest delle Chianevate per parete Nord assieme alle guide J. Moser e P. Salcher. Intanto inizia la sua grande opera di esplorazione il primo vero grande pioniere dell’alpinismo di questi monti. Pietro Samassa, cacciatore e guida alpina. Nel 1888 egli salì alla vetta del Sasso Nero e poi negli anni seguenti molte altre volte a caccia, nonchè nel 1891 vi accompagnò un geometra italiano per rilievi topografici ed infine l’11 ottobre 1898 vi guidò i primi alpinisti H. Wédl e A. Siebenaicher. Nello stesso periodo Pietro Samassa sale alla Cresta del Sasso Nero; nel 1890 Pietro Samassa compie la prima ascensione al Monte Canale dove nel 1891 porterà anche là il geometra topografo e dove il 9 settembre 1898 salirà con H. Klaus e V. Tatzel ed infine tornerà con H. Wédl il 12-9-1898. Sempre Pietro Samassa, nell’agosto del 1892, sale alla cima del Monte Capolago o Creta Forata di Volaia, dove tornerà il 16. settembre 1896 con G. Baldermann e A. Jaroschek, nel 1898 con H. Wéodl ed ancora il 12 settembre 1902 sempre con H. Wédl alla Cresta Ovest. Ancora P. Samassa, infaticabile nelle sue peregrinazioni di vetta in vetta, sale nel 1895 assieme a P. Kratter, E. Pico e L. Spezzotti alla cima dell’Avanza. Nel 1890 sul monte Coglians Pietro Samassa aveva aperto da solo il sentiero, che poi ripetuto nella quasi totalità prendeva il nome attuale di sentiero Spinotti. Negli stessi anni saliva al Pic Chiadenis con G. Baldermann (già toccato in 1° ascensione da H. Prunner il 17 settembre 1896), nel 1899 portava assieme alla guida A. Komac uno dei più famosi alpinisti, scrittori e poeti delle Alpi, il grande Giulio Kugy con G. Bolaffio alla vetta del Coglians. Il 19 agosto 1804 sale alla Cima Lastrons del Lago assieme all’altra guida U. Sottocorona.

Oltre a queste di Pietro Samassa citerò le escursioni, in ordine cronologico:

  • 1880 – 23 settembre – 1° assoluta del Monte Siera del Sud da M. Holzmann e S. Siorpaes.
  • 1895 – H. Kofler da solo – ascensione per versante Nord al Monte Coglians.
  • 1898 – 28 giugno – H. Wédl, G. Baldermann e C. B. Schmid compiono la prima ascensione al Monte Volaia che salirono per la Cresta Sud e discesero per la Cresta Nord.
  • 1898 – 30 giugno – guida H. Staebler con L. Darmstadter in 1° ascensione alla Creta di Collinetta.
  • 1899 – 12 settembre – guida S. Obernosterre con E. T. Compton traversata dal Monte Capolago al Monte Canale per la Cresta.
  • 1900 – 8 settembre – L. Patera apre la via da Ovest per il Monte Avanza.
  • 1900 – 13 settembre – L. Patera compie la prima ascensione alla Creta Verde ed al Fleons Orientale o Edigon.
  • 1900 – 14 settembre – L. Patera alla cima del Monte Volaia in variante.
  • 1904 – 22 dicembre – L. Patera e H. Kofler in 1° invernale alla cima del Peralba.
  • 1905 – 18 agosto – M. Ortwein, von Molitor e A. Matievic 1° per parete Nord-Ovest alla cima del Sasso Nero.
  • 1906 – 9 settembre – A. Schultzer in 1° ascensione per la spalla Ovest alla vetta della Cima Lastrons del Lago.
  • 1907 – 6 settembre – L. Patera e Stabentheiner in 1° ascensione al M. Volaia per la parete Est.
  • 1912 – 10 agosto – O. Steinmann e S. Ulmann aprono la via per lo spigolo Nord-Est al Monte Canale.

Molte altre ascensioni potrebbero continuare questo inventario, ma mi fermo anche per timore di non tralasciarne più d’una nelle mie citazioni, specie per gli ultimi anni dei quali mi mancano quasi completamente notizie. Ma penso che aver nominato gli antesignani dello sport alpinistico nella nostra zona, sia sufficiente, anche perchè l’esempio di loro larga messe di proseliti raccolse nel dopoguerra del 15/18 e fino ai nostri giorni. Si potrà obiettare che nomi grandissimi lasciarono le loro orme sulle rocce dei nostri monti, ma chi ha culto dei ricordi non abbisogna anche della mia spinta per mantenere vive quelle notizie.

[..] Nel corso di quasi un secolo, come in una gara di supremo ardimento, gli scalatori si sono spinti sempre più innanzi verso l’estremo limite delle possibilità umane: quasi che la montagna li chiamasse a dare sempre e più il meglio di sè. Ma poichè le braccia non sono ancora ali, questa progressione si conclude praticamente con i nostri giorni. Così è stato possibile suddividere tutte le scalate con sufficiente sicurezza in sei categorie e gradi di difficoltà. La classica scala delle difficoltà, quella di Welzenbach quella generalmente adottata (ed accettata anche nell’ultimo Congresso Internazionale di Chamonix) con le notissime aggettivazioni dice:

  • 1° grado = facile
  • 2° grado = mediocremente difficile
  • 3° grado = difficile
  • 4° grado = molto difficile
  • 5° grado = straordinariamente difficile
  • 6° grado = estremamente difficile

Alcuni relatori di ascensioni hanno aggiunto al grado le note differenziazioni di « superiore » ed « inferiore ».

Noi, per rendere più chiara l’esposizione, diamo le seguenti delucidazioni di Domenico Rudatis. Il «primo grado» è quello in cui il turista comincia a diventare arrampicatore essendo costretto a servirsi delle mani. Il « sesto grado » rappresenta le massime audacie realizzate dai migliori arrampicatori del mondo, cioè effettivamente il limite assoluto del possibile in materia d’arrampicamento. Ed essendo questo sport una purissima affermazione di valori atletici e morali, va da sè che la graduazione risulta stabile. Le eventuali future conquiste ottenute con una moltiplicazione di mezzi artificiali non potranno certamente costituire dei gradi superiori. Diamo qui appresso un breve elenco delle più note possibilità di arrampicata nelle montagne di Forni Avoltri, trascurando i sentieri perchè, per quanto disagiati, fanno parte dei percorsi dei normali turisti:


NDR: il testo originale riportava 109 salite suddivise per grado e raggruppate per montagna. Io, per semplicità di presentazione, ho incorporato l’elenco in una tabella rendendo possibile effettuare ordinamenti e ricerche in modo dinamico. L’elenco originale è riportato in fono all’articolo. 

DifficoltàMontagnaSalita
1° GradoMonte Peralbada Sud-Est ore 2 (con attacco di 2° grado)
1° GradoMonte Peralbaper la cresta Ovest, ore 3.30
1° GradoPic Chiadenisvia comune (da Sud), ore 0.45 4
1° GradoFleons Occidentaleper la cresta Nord, ore 1
1° GradoFleons Orientaleper la cresta Nord, ore 1
1° GradoCreta Verdedall’Est, ore 1
1° GradoCampanile Letterper il versante Nord-Est, ore 0.45
1° GradoCreta di Bordagliaversante Ovest, ore 0.45 (dal passo Val Inferno)
1° GradoCreta di Bordagliaversante Est, ore 0.45 (dal passo Niedergail)
1° GradoMonte Volaiaper la cresta Sud, ore 0.30
1° GradoMonte Volaiada Sud-Ovest, ore 1.30
1° GradoSasso Nerodal Sud (via comune), ore 3.30
1° GradoMonte Canaledal Sud (via comune), ore 3
1° GradoMonte Capolagoper la cresta Sud (via comune), ore 2.30
1° GradoMonte Cogliansper la cresta Sud o Costone di Stella, ore 1.30
1° GradoMonte Cogliansper la cresta Ovest, ore 1
1° GradoMonte Cogliansdal Nord (via ferrata), ore 1.30/2
1° GradoMonte Cogliansper la cresta Est alla Cima di Mezzo e vetta, ore 3
1° GradoCreta di Collinaper la cresta Est, ore 2
1° GradoMonte Sieradal Sud (via Comune), ore 2.30
1° GradoPiccolo Sieraper la cresta Ovest, ore 1
1° GradoPiccolo Sieradal Sud, ore 2
1° GradoCreta di Tugliadal Sud, ore 1
1° GradoCreta della Fuinadal Sud (via comune), ore 2.45
1° GradoMonte Plerosdal Nord, ore 2.30
2° GradoMonte Peralba canalone da Sud-Ovest – lunga arrampicata
2° GradoPic Chiadenisper la parete Est, ore l
2° GradoPic Chiadenisalla 3° torre per parete Ovest, ore 1
2° GradoMonte Avanza per la cresta Ovest alla Creta dei Cacciatori, ore. 2
2° GradoMonte Avanza dal Nord alla Cima della Miniera, ore 2.30′
2° GradoCreta Verde per la cresta Ovest, ore 2
2° GradoCreta Verde per la cresta Nord-Est, ore 1.30
2° GradoMonte Volaia per la cresta Nord, lungo itinerario
2° GradoMonte Volaia dall’Est per la parete, ore 2
2° GradoSasso Nero per la cresta Sud, ore 2
2° GradoSasso Nero per la parete Ovest, ore 2.30
2° GradoSasso Nero per la cresta Nord-Ovest, ore 1
2° GradoCreta di Chianaletta traversata per cresta (via comune) dal Monte Canale, ore 1
2° GradoMonte Canale per la cresta Sud-Sud-Est, ore 4 (con 3° grado)
2° GradoMonte Canale per la parete Sud, ore 4, passaggio di 4° grado
2° GradoMonte Capolago dal Nord per la Forcella del Buso, ore 4
2° GradoMonte Capolago per la parete Est, ore 3
2° GradoLastrons del Lago dall’Ovest, ore 2.30
2° GradoMonte Coglians per la parete Ovest, ore 3
2° GradoMonte Coglians per la parete Nord (via diretta), ore 2.30
2° GradoCreta delle Chianevate dal Sud, ore 4.30
2° GradoCreta di Collina dal Nord, ore 2
2° GradoCreta di Collina per la « via di guerra » al ghiacciaio delle Chianevate, ore 3
2° GradoCreta di Collina per la cresta Nord-Est, ore 1.30
2° GradoMonte Siera per il canalone Sud-Ovest, ore 2.30
2° GradoMonte Siera per il canalone Ovest, ore 3.45 (2° grado inferiore)
2° GradoMonte Siera per la cresta Ovest, ore 4
2° GradoPiccolo Siera  da Nord-Est, ore 4.30, m. 300 di salita
2° GradoCima Dieci per la parete Ovest, ore 2, passaggio di 3° grado
2° GradoCrete Forataper la cresta Ovest, ore 3.45
2° GradoCrete Forataper lo spigolo Nord, ore 2.30
2° GradoCrete Forataper lo spigolo Nord dell’Anticima Nord-Est, ore 3
2° GradoMonte Cimon per lo spigolo Nord, ore 4.30 .
2° GradoMonte Geu per la cresta Est, ore 2
2° GradoMonte Geu per la parete Ovest, ore 1
2° GradoCreta della Fuina dal Nord-Ovest, ore 1.30
2° GradoCreta della Fuina dall’Est, ore 1.30
3° GradoMonte Peralba per la parete Sud-Ovest, ore 7, circa metri 750
3° GradoPic Chiadenisper la parete Nord, ore 1
3° GradoPic Chiadenisalla punta Sud per la parete Nord-Ovest, ore 3
3° GradoCreta di Chianaletta per la cresta Nord alla 2° Torre, ore 4, circa m. 400 (con 4° grado)
3° GradoCreta di Chianaletta per la parete Nord alla 3* Torre, ore 3
3° GradoMonte Capolago per la cresta Nord-Est, ore 2
3° GradoMonte Coglians per il pilastro Nord-Nord-Est, ore 3
3° GradoMonte Coglians per la parete Nord-Est, ore 4
3° GradoCreta di Collina per la parete Ovest, ore 4, passaggi di 4° grado
3° GradoCreta di Collina per la parete Nord-Ovest, ore 5
3° GradoMonte Siera per la parete Nord-Est, ore 5.30, circa m. 450 (anche 4° grado)
3° GradoPiccolo Siera per la cresta Nord, ore 11.30 (dal 2° grado al 4° ed un passaggio del 6°)
3° GradoCima Dieci per la parete Nord, ore 4.15
3° GradoCreta Forata per la parete Nord-Ovest, ore 6
3° GradoCreta Forata per la parete Nord-Ovest dell’Anticima, ore 5
3° GradoMonte Geu per la parete Nord-Ovest, ore 3
3° GradoCreta della Fuina per la parete Nord, ore 3
4° GradoMonte Peralbaper la parete Sud-Est, ore 3
4° GradoMonte Volaiaper la parete Est (via diretta), ore 4, metri 500 circa
4° GradoSasso Nero dal Nord, ore 5.30
4° GradoCreta di Chianaletta  per la parete Nord alla 4° Torre, ore 5
4° GradoCreta di Chianaletta  per la parete Nord alla 5° Torre, ore 5
4° GradoMonte Canale per lo spigolo Nord-Est, ore 4
4° GradoMonte Capolago per la parete Nord, ore 5, m. 450, 4° grado superiore
4° GradoMonte Capolago per i camini Nord-Est, ore 4, m. 450, passaggi di 5° grado
4° GradoLastrons del Lago per le placche Nord-Ovest, ore 4
4° GradoLastrons del Lago per la parete Nord, ore 3.30
4° GradoCreta di Collina per la parete Sud, ore 4.30
4° GradoCreta di Collina per la parete Nord, ore 6, m. 470 circa
4° GradoCreta di Collina diretta Sud, ore 4, 4° grado superiore
4° GradoMonte Cimon per la parete Nord-Est, ore 6.30, m. 400 circa
4° GradoMonte Cimon per la parete Nord, ore 6, anche 5° grado e due passaggi di 6°
4° GradoCreta di Tuglia per lo spigolo Nord, ore 4
4° GradoMonte Pleros per la parete Nord, ore 8, m. 600 circa
5° GradoMonte Peralba per lo spigolo Sud, ore 10/12, m. 350 circa, 5° grado superiore
5° GradoMonte Peralba per la parete Nord, ore 6/8, m. 700 circa
5° GradoPic Chiadenisalla Punta Sud, ore 8, m. 500 circa, passaggi di 6° grado
5° GradoCresta di Volaiaal Biegenkopf Nord per la parete Est, ore 7, è considerata una delle più belle arrampicate del gruppo su una parete di circa m. 300, 5° superiore
5° GradoCresta di Volaiaal Biegenkopf Sud per la parete Est, ore 4, m. 300 circa
5° GradoMonte Canale per la parete Nord, ore 6
5° GradoMonte Canale per la parete Nord-Est, ore 5, m. 500 circa
5° GradoLastrons del Lago per i camini Nord-Est, ore 4
5° GradoMonte Coglians per la parete Nord-Est, ore 7, m. 700 circa
5° GradoMonte Coglians per la parete Nord-Est della Cima di Mezzo, ore 5, m. 650 circa
5° GradoCreta di Collina per la parete Nord della Torre della Chianevate, ore 8, m. 600 circa di arrampicata quasi verticale con passaggi di 5° grado superiore, è forse l’itinerario più difficile nel gruppo del Coglians
5° GradoMonte Cimon per la parete Nord-Est dello Zoccolo Nord, ore 5, con due passaggi di 6° grado
6° GradoCreta di Collina diretta Nord della Torre della Chianevate, ore 13, m. 100 circa, aperta da Toni Egger e Heini Heinricher il 6-8-1950

Ho dato i tempi per ogni scalata come quelli medi che può impiegare nei singoli percorsi un alpinista allenato, ed inoltre questi tempi si riferiscono al percorso in arrampicata soltanto e quindi riferito alla partenza dalle pendici rocciose del monte e fino alla vetta. Non ho voluto fornire una descrizione per ogni percorso in nota, sia per non sconfinare dai propositi modesti di questa monografia, sia perchè tali notizie si trovano in chiara esposizione dei manuali alpinistici del Touring-C.A.I. relativi alle zone interessate.


1° Grado:

Monte Peralba 

  • da Sud-Est ore 2 (con attacco di 2° grado)
  • per la cresta Ovest, ore 3.30

Pic Chiadenis 

  • via comune (da Sud), ore 0.45 4

Fleons Occidentale 

  • per la cresta Nord, ore 1

Fleons Orientale 

  • per la cresta Nord, ore 1

Creta Verde 

  • dall’Est, ore 1

Campanile Letter 

  • per il versante Nord-Est, ore 0.45
  • traversata alla Creta Verde, ore 0.30

Creta di Bordaglia

  • versante Ovest, ore 0.45 (dal passo Val Inferno)
  • versante Est, ore 0.45 (dal passo Niedergail)

Monte Volaia 

  • per la cresta Sud, ore 0.30
  • da Sud-Ovest, ore 1.30

Sasso Nero 

  • dal Sud (via comune), ore 3.30

Monte Canale 

  • dal Sud (via comune), ore 3

Monte Capolago 

  • per la cresta Sud (via comune), ore 2.30

Monte Coglians 

  • per la cresta Sud o Costone di Stella, ore 1.30
  • per la cresta Ovest, ore 1
  • dal Nord (via ferrata), ore 1.30/2
  • per la cresta Est alla Cima di Mezzo e vetta, ore 3

Creta di Collina 

  • per la cresta Est, ore 2

Monte Siera 

  • dal Sud (via Comune), ore 2.30

Piccolo Siera 

  • per la cresta Ovest, ore 1
  • dal Sud, ore 2

Creta di Tuglia 

  •  dal Sud, ore 1

Creta della Fuina 

  •  dal Sud (via comune), ore 2.45

Monte Pleros 

  •  dal Nord, ore 2.30

2° Grado:

Monte Peralba 

  • canalone da Sud-Ovest – lunga arrampicata

Pic Chiadenis

  • per la parete Est, ore l
  • alla 3° torre per parete Ovest, ore 1

Monte Avanza 

  • per la cresta Ovest alla Creta dei Cacciatori, ore. 2
  • dal Nord alla Cima della Miniera, ore 2.30′

Creta Verde 

  • per la cresta Ovest, ore 2
  • per la cresta Nord-Est, ore 1.30

Monte Volaia 

  • per la cresta Nord, lungo itinerario
  • dall’Est per la parete, ore 2

Sasso Nero 

  • per la cresta Sud, ore 2
  • per la parete Ovest, ore 2.30
  • per la cresta Nord-Ovest, ore 1

Creta di Chianaletta 

  • traversata per cresta (via comune) dal Monte Canale, ore 1

Monte Canale 

  • per la cresta Sud-Sud-Est, ore 4 (con 3° grado)
  • per la parete Sud, ore 4, passaggio di 4° grado

Monte Capolago 

  • dal Nord per la Forcella del Buso, ore 4
  • per la parete Est, ore 3

Lastrons del Lago 

  • dall’Ovest, ore 2.30

Monte Coglians 

  • per la parete Ovest, ore 3
  • per la parete Nord (via diretta), ore 2.30

Creta delle Chianevate 

  • dal Sud, ore 4.30

Creta di Collina 

  • dal Nord, ore 2
  • per la « via di guerra » al ghiacciaio delle Chianevate, ore 3
  • per la cresta Nord-Est, ore 1.30

Monte Siera 

  • per il canalone Sud-Ovest, ore 2.30
  • per il canalone Ovest, ore 3.45 (2° grado inferiore)
  • per la cresta Ovest, ore 4

Piccolo Siera 

  •  da Nord-Est, ore 4.30, m. 300 di salita

Cima Dieci 

  • per la parete Ovest, ore 2, passaggio di 3° grado

Crete Forata

  • per la cresta Ovest, ore 3.45
  • per lo spigolo Nord, ore 2.30
  • per lo spigolo Nord dell’Anticima Nord-Est, ore 3

Monte Cimon 

  • per lo spigolo Nord, ore 4.30 .

Monte Geu 

  • per la cresta Est, ore 2
  • per la parete Ovest, ore 1

Creta della Fuina 

  • dal Nord-Ovest, ore 1.30
  • dall’Est, ore 1.30

3° Grado:

Monte Peralba 

  • per la parete Sud-Ovest, ore 7, circa metri 750

Pic Chiadenis

  • per la parete Nord, ore 1
  • alla punta Sud per la parete Nord-Ovest, ore 3

Creta di Chianaletta 

  • per la cresta Nord alla 2° Torre, ore 4, circa m. 400 (con 4° grado)
  • per la parete Nord alla 3* Torre, ore 3

Monte Capolago 

  • per la cresta Nord-Est, ore 2

Monte Coglians 

  • per il pilastro Nord-Nord-Est, ore 3
  • per la parete Nord-Est, ore 4

Creta di Collina 

  • per la parete Ovest, ore 4, passaggi di 4° grado
  • per la parete Nord-Ovest, ore 5

Monte Siera 

  • per la parete Nord-Est, ore 5.30, circa m. 450 (anche 4° grado)

Piccolo Siera 

  • per la cresta Nord, ore 11.30 (dal 2° grado al 4° ed un passaggio del 6°)

Cima Dieci 

  • per la parete Nord, ore 4.15

Creta Forata 

  • per la parete Nord-Ovest, ore 6
  • per la parete Nord-Ovest dell’Anticima, ore 5

Monte Geu 

  • per la parete Nord-Ovest, ore 3

Creta della Fuina 

  • per la parete Nord, ore 3

4° Grado:

Monte Peralba

  • per la parete Sud-Est, ore 3

Monte Volaia

  • per la parete Est (via diretta), ore 4, metri 500 circa

Sasso Nero 

  • dal Nord, ore 5.30

Creta di Chianaletta  

  • per la parete Nord alla 4° Torre, ore 5
  • per la parete Nord alla 5° Torre, ore 5

Monte Canale 

  • per lo spigolo Nord-Est, ore 4

Monte Capolago 

  • per la parete Nord, ore 5, m. 450, 4° grado superiore
  • per i camini Nord-Est, ore 4, m. 450, passaggi di 5° grado

Lastrons del Lago 

  • per le placche Nord-Ovest, ore 4
  • per la parete Nord, ore 3.30

Creta di Collina 

  • per la parete Sud, ore 4.30
  • per la parete Nord, ore 6, m. 470 circa
  • diretta Sud, ore 4, 4° grado superiore

Monte Cimon 

  • per la parete Nord-Est, ore 6.30, m. 400 circa
  • per la parete Nord, ore 6, anche 5° grado e due passaggi di 6°

Creta di Tuglia 

  • per lo spigolo Nord, ore 4

Monte Pleros 

  • per la parete Nord, ore 8, m. 600 circa

5° Grado:

Monte Peralba 

  • per lo spigolo Sud, ore 10/12, m. 350 circa, 5° grado superiore
  • per la parete Nord, ore 6/8, m. 700 circa

Pic Chiadenis

  • alla Punta Sud, ore 8, m. 500 circa, passaggi di 6° grado

Cresta di Volaia

  • al Biegenkopf Nord per la parete Est, ore 7, è considerata una delle più belle     arrampicate del gruppo su una parete di circa m. 300, 5° superiore
  • al Biegenkopf Sud per la parete Est, ore 4, m. 300 circa

Monte Canale 

  • per la parete Nord, ore 6
  • per la parete Nord-Est, ore 5, m. 500 circa

Lastrons del Lago 

  • per i camini Nord-Est, ore 4

Coglians 

  • per la parete Nord-Est, ore 7, m. 700 circa
  • per la parete Nord-Est della Cima di Mezzo, ore 5, m. 650 circa

Creta di Collina 

  • per la parete Nord della Torre della Chianevate, ore 8, m. 600 circa di arrampicata quasi verticale con passaggi di 5° grado superiore, è forse l’itinerario più difficile nel gruppo del Coglians

Monte Cimon 

  • per la parete Nord-Est dello Zoccolo Nord, ore 5, con due passaggi di 6° grado

6° Grado:

Creta di Collina 

  • diretta Nord della Torre della Chianevate, ore 13, m. 100 circa, aperta da Toni Egger e Heini Heinricher il 6-8-1950
Grigne: Torri di Giardino

Grigne: Torri di Giardino

Alcuni anni fa, in uno dei tanti giri insieme a Josef (Grigne: tre Birrette ed un Prosecco), ci ritrovammo al Rifugio Rosalba ad osservare, con una birretta in mano, le alte torri che svettano sul versante opposto della Val Scarettone. In Grignetta, negli ultimi 100 anni, hanno piantato chiodi e tracciato vie più o meno ovunque, ero quindi sorpreso che quelle torri, così evidenti sebbene palesemente scomode, fossero per lo più ignorate e sconosciute. Avevo chiesto informazioni al giovane figlio dello storico gestore ma non aveva saputo darmi indicazioni. “So che una volta il Buch – Marco Anghileri ndr.- era andato a vedere fin laggiù: ma è una ravanata mai finita anche solo arrivarci”. Questo era tutto ciò sapeva in merito a quelle torri. Avevo consultato gran parte delle contemporanee guide alpinistiche sulle Grigne e sulle Prealpi Lombarde, ma senza grandi risultati. (Purtroppo queste pubblicazioni sono per lo più “PostalMarket di vie Note” anziche chiavi di lettura per i lucchetti dell’ignoto). Giorni fa, invece, si è aggiunta alla Biblioteca Canova una copia di Prealpi Lombarde: da rifugio a rifugio del 1957, a cura di Silvio Saglio ed edita dal Touring Club Italiano e dal Club Alpino Italiano: un libricino tascabile che ha l’autorevolezza di un tomo. Francamente cercavo informazioni sui Corni di Canzo quando, volando senza meta tra le pagine, mi sono imbattuto in questo:    

CRESTA DEL GIARDINO. DA Ovest a Est, ore 6;  difficile (3°). — Dal Rifugio Rosalba m 1730 si scende per il sentierino della Costa dei Pidocchi fino al roccione 1357, e di qui, piegando a destra per una traccia, si divalla in un valloncello boscoso fino al fondo della Val Scarettone. Sul lato opposto si rimonta la scarpata erbosa delle Torri del Giardino puntando allo spuntone occidentale, chiamato Torre Andreina. Si sale per cengette e roccia friabile fino ad una piccola selletta, poi si entra in un canalino di roccia friabile e lo sl risale per dieci metri fino a raggiungere una cavernetta. Di qui si continua per un canale ostruito verso la metà da tre massi, che si scavalcano con chiodi e passaggi di aderenza; si giunge così alla sella che divide la Torre Andreina dalla Seconda Torre. Dalla selletta si sale allo spuntone di destra, indi si prosegue per una crestina di rocce erbose verso la terza Torre. Dal terzo bifido torrione si scende su un masso a guisa di tetto, e si raggiunge una selletta con mughi. Dalla selletta si sale per una spaccatura alla Quarta Torre. Dalla torre si scende sul lato opposto per rocce erbose a una spalla e alla selletta che divide il gruppetto occidentale delle Torri del Giardino da quello centrale. Si attacca la Torre centrale, larga e massiccia, per una paretina, superata la quale si segue la cresta erbosa con abbondanti mughi e, per essa, ci si alza lungo una rampa, interrotta da terrazzini fino alla vetta. Dalla Torre centrale si cala verso oriente per una cresta di rocce erbose fino a una spalla, e di qui si prosegue verso uno spuntone che si discende a S per facili rocce con erba e mughi, onde raggiungere una larga terrazza. Dalla terrazza per una scarpata rocciosa si riesce a una specie di cengia erbosa, e si arriva alla depressione che separa dalla parte orientale della cresta. Dalla selletta si attacca la cresta orientale che si percorre sul versante meridionale, per evitare un tratto verticale. Ci si porta poi su uno spiazzo d’erba, donde è facile afferrare il crinale di roccia ed erba. Lo si risale fino al sommo di uno spuntone e da questo, per rocce facili, si scende a una selletta erbosa. Dalla selletta erbosa si sale ancora per roccette con mughi, poi per detriti ed erba e si guadagna un tratto pianeggiante, percorso da una traccia di sent. che corre lungo il displuvio. La traccia continua sul lato meridionale della cresta, a poca distanza dal filo, su cui ritorna dopo aver aggirato un grosso roccioso rialzo. Si continua poi per il crestone e, scavalcata la q. 1886, si attaccano le franose balze dello Zucco di Campione, si raggiunge la q. 2035 e si passa facilmente alla vetta, piegando a d. lungo il crinale.

TORRE ANDREINA. -— Da Sud. ore 7; molto difficile (4°). – Dal Rifugio Rosalba m 1730 si scende come all’it. prec. fino alla selletta che divide la Torre Andreina da un altro spuntone. Dall’intaglio per giungere alla vetta si supera una parete alta una trentina di metri, priva di appigli, affidanosi totalmente ai chiodi ed appoggiando leggermente a d. Solo gli ultimi metri sono facili.

Spesso è importante anche solo trovare una “traccia” per riuscire ad inseguire una “pista”. Cercando informazioni sulla Torre Andreina è infatti emerso un collegamento ad un altra publicazione di Saglio: La storia alpinistica della Grigna (“I Quaderni di MOdiSCA”). La Torre Andreina è stata infatti salita da Basili, Dones e Panigalli. Con questi ulteriori dettagli, i nomi dei salitori,  è stato possibile risalire ad un altra publicazione: “LoZaino” (Pubblicazione CNSASA).

La costiera rocciosa che divide la Valle Mala dalla Val Scarettone presenta  però una cresta, denominata Cresta del Giardino, con vari torrioni, pare di roccia cattiva e comunque di scarsa rilevanza alpinistica. I più importanti sono la Torre Enrica, il Torrioncino Francesco, la Torre Andreina, la Torre Centrale, saliti tutti dalla Val Scarettone. Tra tutti i torrioni, la Torre Andreina è lo spuntone più occidentale della Cresta del Giardino e quello con la via di salita più difficile, ad opera di Benvenuto Basili, Erminio Dones e Andreina Panigalli (30 agosto 1933), con difficoltà di IV/A0 su roccia erbosa e friabile, ma le informazioni sono scarne. La Guida dei Monti d’Italia del CAI “Le Grigne” del1937, di Silvio Saglio, riguardo la Cresta del Giardino dice che “i fianchi sono prevalentemente coperti di erba verso la Val Scarettone, e di roccia cattiva verso la Val Mala”. La cresta, da Est a Ovest, è stata salita da Guido Rusconi, Gaetano Scotti e Giovanni Poletti, il 3 febbraio 1907, che la chiamarono Cresta Stazione Universitaria (200 m di roccia cattiva ed erbosa, difficoltà sino al IV+). L’attacco venne eseguito dalla Val Scarettone (Testo di Walter Polidori a compendio della relazione della via “Enjoy the Silence” nella Valle Mala – 2013).


TCI-1935: Forni Avoltri

TCI-1935: Forni Avoltri

FORNI AVOLTRI mm. 889. — Comune di ab. 1580 – Posta, telegr. e telef. – Negozi per i vari approvvigionamenti – Articoli fotografici – Autorimessa con noleggio. Il paese è posto in una piccola conca, alla confluenza del Rio Acqualena e del Rio di Fleons con il torrente Degano. Esso è diviso in due contrade, Forni e Avoltri, separate dal Degano e circondate da prati e da pinete. La carrozzabile attraversa Forni, collegata con Avoltri da una breve strada. L’abitato è semplice, di tipo alpino. La carrozzabile prosegue lungo la valletta del T. Acquabona e giunge ai Piani di Luzza (m. 950), appartenenti al comune di Forni Avoltri, vaghissima conca prativa, tutta circondata da alture rivestite di splendide pinete scendenti sin presso la carrozzabile: magnifica località alpina, che costituisce un luogo di soggiorno eccezionalmente pittoresco, riposante e tranquillo, con possibilità di attraenti passeggiate, gite ed escursioni alpinistiche.

ALBERGHI: Sotto Corona, cam. 25, letti 50, acq. corr. F. in 6 cam., bagno, autorim., pens. in luglio e agosto L. 16-20, negli altri mesi L. 14-17, nella parte alta del paese, in bella posizione aperta; Centrale, cam. 12, letti 20, bagno, telef. autorim., giardino, pens. L. 16; Al Sole, cam. 6, letti 9, bagno, pens. L. 12-18; Peralba, cam. 4, letti 7, pens. L. 15; Piani di Luzza, cam. 12, letti 20, acq. corr. c. f., bagni 2, autorim., pens. L. 16-22, ai Piani di Luzza, lungo la carrozzabile, in amenissima posizione; Monte Tuglia, cam. 13, letti 25, bagno, autorim., pens. in luglio e agosto L. 20, negli altri mesi L. 16, ai Piani di Luzza, lungo la carrozzabile. — Sports: Caccia – Pesca della trota – Bocce. — Informazioni: Municipio.

Questo è quello che si legge nella “GUIDA PRATICA AI LUOGHI DI SOGGIORNO E DI CURA D’ITALIA” Pubblicata dal Touring Club Italiano nell’edizione XIII del 1935.

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