Nella mia mente un pensiero fulmineo: “Birillo, è tempo di andare a vedere la Est del Rosa!”. Le parole escono quasi da sole: “Amore, che ne diresti di andare in gita a Macugnaga? Potremmo fare due passi fino ad un bel laghetto di montagna ai piedi del Monte Rosa. Sì, sì …quello che si vede dai Corni e si tinge di rosso al tramonto, soprattutto d’inverno!”. Da Valmadrera a Macugnaga con la mia vecchia Subaru ci sarebbe voluto un mutuo per pagare la benzina e non sarebbe stato da escludere un rientro con il carro attrezzi per la vecchia e gloriosa Impreza Awd. Con il Duster di Bruna, nuovo di pacca, le possibilità di andare e tornare erano invece piuttosto buone!
Sveglia alle cinque e mezza ci mettiamo in strada alle sei: Valmadrera-Giussano sulla SS36, poi fino a Cermenate per imboccare la temuta A36 fino a Gallarate, da qui con la SuperStrada Europea E62 dritto per dritto fino a PiedeMulera e quindi su per la tortuosa Valle Anzasca fino a Macugnaga. Due ore e mezzo di strada: un viaggio davvero insolito per uno stanziale dell’Isola Senza Nome cronicamente allergico alla guida!!!
La temuta Pedemontana è una strada quasi deserta, scorrevole e moderna. Il suo spaventoso pagamento on-line si è rivelato davvero poca cosa: vai sul sito, inserisci il numero di targa ed un email, aspetti qualche istante e via e-mail ti arriva un link dove pagare con la carta di credito. Si ha tempo 15 giorni per farlo ed il costo è stato di 4.8 euro. Anche la E62, che unisce Genova e la Francia passando dal Lago Maggiore e dalla Svizzera, è una buona strada moderna e a gallerie. Sia all’andata che al ritorno era scorrevole ed affollata il giusto. Pedaggio 5.50 euro.
Perchè tutti questi dati? Perchè il Monte Rosa è la montagna che rapisce la mia fantasia ogni volta che raggiungo una cima dell’Isola Senza Nome. In autunno mi siedo sui prati sommitali del Moregallo e mi fermo ad osservarla. Nelle mattino d’inverno, con la neve in cima ai Corni dopo aver risalito la cresta del passo della vacca, ti giri e la vedi brillare come un miraggio.
Ma a giusta ragione quell’immagine ci cattura: il versante del Monte Rosa che noi osserviamo è la Parete Est, l’unica parete Himalayana di tutto l’arco alpino, 2600 metri di dislivello per una larghezza complessiva di quasi 4 km. I Tassi del Moregallo, “non so come, non so quando, non so chi”, ma scriveranno un capitolo importante della loro storia sul quel miraggio all’orizzonte. Per questo vorrei che la nostra scombinata compagni riuscisse a conoscere e frequentare con assiduità quella valle così lontana e così vicina. Ecco spiegato il perchè dei miei “conti della serva”: servono per pianificare le nostre future spedizioni ad Occidente.
Compagna di questo mia primo incerto sopralluogo non poteva che essere Bruna: grazie Moglie! Arrivati a Macugnaga il tempo sembrava avverso, le nuvole erano basse e dense, la grande montagna era coperta. Poi il sole di Luglio ha iniziato a filtrare tra le nuvole e con fare imperioso ha liberato la valle mettendo a nudo la parete.
Solo allora i ricordi sono tornati alla memoria perchè, in effetti, a Macugnaga c’ero stato già altre tre volte in passato. La prima, fino al rifugio Zamboni, durante un raduno dell’alpinismo giovanile: avrò avuto 8 anni, ricordo solo un gran caldo e le seggiovie che ci passavano sopra la testa. La seconda, fino al lago di Locce, sempre con una gita dell’alpinismo giovanile: ma avrò avuto 12 anni e per la gran nebbia non credo di essermi nemmeno reso conto dell’infinita parete che avevo sopra le testa. Ricordo solo Laura Broglia che si lamentava proprio perchè non si vedeva nulla. La terza in prima liceo come gita scolastica alle vecchie miniere d’oro: ricordo solo il viaggio in pullman ed il gioco della bottiglia in cui ho vinto un bacio a stampo ad Eleonora. Ricordi della parete Est nemmeno l’ombra!
“Bru, sei mai stata su un ghiacciaio?” “No” “E su una morena glaciale?” “Neppure” “Okkey, allora vieni con me”. La fiumana di persone che da Pecetto era salita con la seggiovia ora era davanti a noi incolonnata sul sentiero che risale allo Zamboni. Così, per cavarci da quell’ingorgo umano, ho iniziato a seguire una flebile traccia che correva lungo il bordo della cresta morenica. “Mi raccomando, fai attenzione. Non dobbiamo mollare sassi sui turisti da un lato e dall’altro non dobbiamo franare giù sul ghiacciaio.” Nonostante le miei precauzioni quell’esile traccia, snobbata da tutti, era in realtà più solida e sicura di quanto io stesso sospettassi. La linea moriva in cima ad un promontorio da dove, per via delle frane e della morena, era impossibile proseguire. “Ti piace qui Bruna? Facciamo colazione”. Ci siamo sdraiati sopra un grosso sasso e, lontano da ogni sguardo, ci siamo accoccolati al sole godendoci un panorama eccezionale: quella traccia abbandonata ci aveva infatti condotto in un’isolato terrazzo davanti al cuore della Parete Est.
Placidamente sdraiati davanti alla parete Est che brillava al sole mentre le nuvole, quasi a celebrare la nostra visita, sembravano non riuscire a scavalcare il crinale da nord. Lontano dal vociare dei gitanti diretti allo Zamboni potevamo finalmente “ascoltare” la grande montagna. La Est ha da subito messo le cose in chiaro: il rumore di sassi e ghiaccio che frana a valle era costante e quasi senza interruzione. La grande frana sotto la Punta Tre Amici sembrava senza sosta e, nonostante la grande distanza, era possibile vedere ad occhio nudo le enormi rocce, probabilmente grandi come automobili, che rotolavano rimbalzando verso il ghiacciaio e la morena sottostante.
Nelle lenti del mio binocolo la magnificenza delle cornici e dei pensili era impressionante e sorprendente. “Incredibile, il papa è passato di là. Accidenti, devi avere un culo della Madonna per infilarti in quel casino!” Papa Achille Ratti, Pio XII, è infatti il famoso Papa Alpinista crescito ad Asso, sulle montagne dell’Isola Senza Nome e della Grigna. In gioventù risalì la Est del Rosa proprio per il temibile Canalone Marinelli raggiungendo la Punta Doufur. Con lui quella volta Giovanni Gandin, la celebre Guida della Grigna e dell’omonimo camino ai Corni. E lì accanto la via Brioschi, lungo la Punta Nordend, tracciata dallo stesso Luigi Brioschi a cui è dedicato il rifugio in cima alla Grigna. E poi la via dei Francesi, le vie di Zapparoli, le solitarie di Hermann Buhl, di Gonga. Quel mondo imponente, terribile e meraviglioso si dischiude e per un attimo mi inghiotte rubandomi il respiro.
Per un istante è di nuovo un pomeriggio d’inverno, un cupo, gelido e solitario momento ai piedi della Parete Fasana del Corno Centrale. Un’istante in cui il cuore inizia a pulsare più forte e la paura si trasforma in uno strano coraggio fatto solo di insensata determinazione: “Prima o poi salirò di qui”.
Bruna dorme accoccolata sul mio fianco, godendosi quello strano contrasto tra la roccia fredda ed il sole caldo. Le accarezzo il viso senza distogliere lo sguardo dalla grande parete. “Un giorno, il giorno giusto. Non so come, non so quando, non so chi: ma verremo. A piccoli passi, ma saremo qui. Grande parete imparerai a conoscerci, con pazienza e dedizione ci faremo accettare. Ascolteremo i tuoi segreti, i tuoi umori, la tua rabbia e la tua gioia. Forse sarò io, forse la mia gente, forse la progenie dell’Isola, ma te lo prometto: balleremo insieme e la tua storia diverrà la nostra.”
Davide “Birillo” Valsecchi
L’alpinismo è un’attività sfiancante. Uno sale, sale, sale sempre più in alto, e non raggiunge mai la destinazione. Forse è questo l’aspetto più affascinante. Si è costantemente alla ricerca di qualcosa che non sarà mai raggiunto (Hermann Buhl).