ProletariaMente

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Questa faccenda della nascita è decisamente curiosa. La piccola Andrea, venendo al mondo in anticipo sulla tabella di marcia, è riuscita a scombussolare non poco i piani di tutti. Fortunatamente, nonostante il trambusto, non è successo niente di particolarmente grave o pericoloso. Anzi, l’esperienza che ne è derivata sembra essere decisamente importante e formativa nella vita di questo nuovo “trio”. Io non mi sentivo così “trascinato dalla corrente” da quella volta in cui, con Enzo, sono stato inghiottito dalla presa della diga di Sant’Anna: allo stesso modo tengo la testa fuori dall’acqua, tengo d’occhio i miei compagni d’avventura, scalcio e spingo la mia povera canoa, come sempre ribaltata, cercando di guadagnare la riva prima che ci inghiottiscano le turbine. Una sensazione strana: sono perennemente “acceso”, presente, efficiente come solo in rare e straordinarie occasioni è avvenuto. Solo ora, dopo più di 20 giorni, inizio a perdere colpi (…o forse non mi rendo conto di essere già fuori giri mangiando il metallo). Credo che qualcosa di simile possa valere anche per Bruna, ma non posso esserne certo: nell’ultimo mese abbiamo “corso e spinto”, abbiamo vissuto separati cercando di rubare gli attimi, senza poter mai discutere con calma di ciò che stava accadendo. Non abbiamo ancora avuto un vero prezioso momento di quiete. Ma infondo è sempre stato così: come coppia non ho idea quale sia il nostro valore, ma come squadra siamo “pericoloso materiale bellico”. A dire il vero anche la nanerottola sembra essersi ben inserita nel team: brucia le tappe, ignora le previsioni, sorride birbante mostrando un’indole dolce ma interessantemente determinata. Guardo indietro: la nostra storia ha avuto inizio nel Reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Manzoni di Lecco. Bruna era in una stanza, inchiodata ad un letto, con la pancia aperta e ricucita. Io, invece, davanti ad una porta attendendo per più di un’ora che si aprisse. Poi mi hanno fatto entrare, mi hanno mostrato la procedura, rigorosamente con il cronometro, per lavare le mani fino al gomito. Poi una seconda porta si aperta e mi sono trovato dentro… Lo scenario è disorientante, perchè i bambini sono avvolti in sarcofagi di cristallo e nella stanza vibrano suoni e rumori di macchine. “I bambini non nascono, vengono coltivati” recitava la famosa scena di Matrix. Medici ed infermieri ti guidano, ti portano da lei, aprono due piccoli sportelli sul lato del sarcofago e finalmente puoi infilare la mano tra i tubi ed i cavetti che la avvolgono. Finalmente puoi raggiungerla. E poi, quando la raggiungi, quando la tocchi per la prima volta, accade qualcosa di davvero strano: lei ti afferra con le sue piccole dita …ed il mondo esplode, tutto intorno, in un lampo verde di cui siete l’epicentro. Lei diviene tua figlia e tu suo padre. La mia magia, in quell’istante, è andata assolutamente fuori controllo. Qualcosa di simile è successo solo un’altra volta nel mio passato. Accadde quando mio fratello aveva 7 o 8 anni, ed io ne avevo quasi 20. Era precipitato dalle scale per oltre quattro metri. Io cercavo di trattenerlo a terra cercando di comprendere l’entità dei danni, di comprendere lo stato della sua colonna vertebrale. Anni in ambulanza, cercavo di attuare al meglio tutti i protocolli da soccorritore provando ad immobilizzarlo. Lui però, piangendo terrorizzato, riuscì a divincolarsi e mi abbracciò. Io, completamente impotente, mi arresi a quell’abbraccio e per un istante diventammo una cosa sola. Anche quella volta percepii un lampo, ma era bianco, non si dilatava ma sembrava contrarre ogni cosa in quel momento, in quello spazio. L’istante successivo la “bestia” era libera e pianificava inesorabile l’evacuazione verso l’ospedale. All’epoca ero giovane e fortunatamente mio fratello se la cavò in qualche settimana senza che ci fosse bisogno di operarlo d’urgenza alla testa. Ma forse la vità è così: si fa strana con gli strani. Non so dirvi cosa siano questi “lampi”, sono qualcosa che i miei sensi hanno percepito senza riuscire a contenere, qualcosa che è al di fuori della loro portata e che quindi viene tradotto, rielaborato, astratto attraverso similitudini accettabili. Tuttavia sono reali. Reali ed importanti se riescono a trascendere i limiti sensoriali raggiungendo la consapevolezza con tanta forza. Ma di certo quel momento è stato complesso, rapido ed intenso mentre il tempo scorreva congelato e scandito dai “bip” dei monitor. Per lo sciamano dell’Isola ritrovarsi con una bimba in quel mondo di macchine è stato davvero disorientante: ero un animale con gli occhi aperti e la mente in corsa, un primitivo rapito all’interno di un’astronave aliena. La Terapia Intensiva è un luogo concettualmente spaventoso, ma paradossalmente un luogo di una bellezza ed un’intensità straordinaria. Attorno a me, nella penombra di quel limbo intriso e governato dalla quiete, c’erano soprattutto donne. Alcune giovani, altre veterane: tutte “scienziate”, animate da una sorprendente competenza ed umanità. Le osservavo attorno a mia figlia: la piccola era una femmina, allevata ed accudita da vestali della conoscenza, ancelle e sacerdotesse di un mondo futuro. La mia magia, la magia dell’uomo, si fondeva con la loro, il sapere femminile, ed insieme davano la possibilità alla piccola di esistere, di vivere in un mondo in cui aveva scelto di lanciarsi prima del tempo. Senza di loro io non sarei stato abbastanza. Poi Bruna, sua madre, è riuscita a raggiungerci: con sforzo e determinazione ha preso il suo posto accanto alla piccola, stringendo con lei un legame “fisico”, totalmente diverso dal mio. I giorni hanno iniziato a trascorrere, tutto si è attenuato senza perdere di intensità. La TIN è davvero un posto strano, capace di attivare dinamiche per me sorprendenti. I genitori, spesso precipitati nel momento, vengono accolti, “addestrati”, resi operativi e “schierati”. Chi più, chi meno, tutti si attivano e stringono tra loro una specie di innata ed empatica collaborazione: non può essere amicizia, ma nel momento di comune difficoltà si forma un legame, una solidarietà che abbaglia in un mondo spesso fatto di egoismi. La piccola stanzetta, messa a disposizione dei genitori e dotata di cucina, diviene uno spazio vivo: il focolare di una famiglia allargata dove non esistono nomi se non “mamma di” o “papà di”. Nella TIN regna il sorriso, comunque, nonostante tutto, sempre: è affascinante. Comprendi lo straordinario valore di quel “limbo” e di chi lo presidia quando lo lasci, quando finalmente ne esci e precipiti come tutti al “Nido”: nel luogo dove normalmente arrivano i bambini appena nati. Il Nido è il pandemonio, il caos …la vita. Marmocchi che urlano, biberon che girano, gente che strilla, patelli sporchi che vengono lanciati nel secchio. Sei nel mondo reale, circondato da quei petulanti e fastidiosi genitori (e dai loro parenti) che hai cercato di evitare per tutta la vita. All’improvviso riappaiono le classi sociali, le etnie, le competizioni, le rivalità, i confronti, le piccole sleatà. Le madri si trascinano, esauste e spocchiose, come se dopo il parto avessero vinto le olimpiadi: la maggior parte di loro schiavizza scortese il marito. “Osti Bruna… tu non prendere quei vizi: non ti azzardare a dirmi una cosa del genere con quel tono…” Ma io e la bergamasca abbiamo ballato tra le incertezze per venti giorni, difficile ora cadere in certi errori: in modo curioso ciò che ci è successo ci ha formato e messo alla prova come genitori. Se la nostra storia fosse andata diversamente oggi saremmo persone diverse. Ora Andrea sta per fare il suo primo viaggio verso casa. Una bimba nata prematura che fa il suo ingresso in una casa quasi abbandonata a sè stessa da un mese: niente era pronto, noi non eravamo pronti, ma questo mi ha mostrato ciò che davvero serve, ciò che davvero è indispensabile. Osservo il passato con occhio attento cercando di leggere i segni del futuro. Credo che ora, finalmente, dormirò: ventiquattro, forse quarantotto ore. Non so. Finalmente dormirò, e poco importa se sarà a blocchi di tre ore. Truppa, zaini in spalla: andiamo a casa!

Davide “Birillo” Valsecchi

La nanerottola è davvero bellina. Io non me ne intendo ma chi ne capisce, vedendola, l’ha definita una “bambolina sorridente”. Le abbiamo fatto molte belle foto, ma non credo le pubblicherò qui: c’è una piccola trasformazione in atto nella mia mente, per ora dovrete fidarvi del mio giudizio. Sì, sono decisamente stanco al momento, ma avevo voglia di scrivere, di provare a fare ordine tra i pensieri =P

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