Alla fine del 2017 avevo bisogno di un “contenitore fisico” per trasportare un messaggio, una “forma tangibile” in cui infondere un’idea. Nella mia mente avevo l’immagine di Muntazar al-Zaydi, il giornalista iracheno che nel 2005 lanciò le proprie scarpe contro Bush in un estremo gesto di protesta contro l’invasione militare americana. Sì, anche io volevo qualcosa da “tirare”. Così, sfruttando i moderni mezzi di “print-on-demand”, ho creato un libro, stampabile ed acquistabile via Intranet: “Senzatrapano – Eroici Alpinismi Inutili”.
Il soggetto del libro era ovviamente l’annosa ed irrisolta diatriba sull’uso del trapano nell’arrampicata. Tuttavia, visto che non è nelle mia indole salire in cattedra, non è un libro “idiologico”, che pretende di contenere ed indicare qualche verità. No, è una raccolta di racconti, una serie di esperienze condivise da cui ognuno può trarne ciò che ritiene più opportuno. Perchè, in fondo, a me serviva solo qualcosa da “lanciare”, qualcosa per dimostrare che niente e nessuno può ringhiarmi contro e sperare di tapparmi la bocca.
Non mi interessava fosse acquistato da tante persone, che avesse successo o quant’altro, mi interessava principalmente che la sua esistenza fosse nota. Per questo ho fatto un minimo di pubblicità su alcuni forum o siti dedicati all’arrampicata. Ovviamente ero consapevole che questo mi avrebbe procurato principalmente “bordate” e critiche. Come disse qualcuno “non conviene mai disturbare l’acqua”, tuttavia lanciando un sasso nello stagno si può imparare molto osservando i cerchi allargarsi sulla superficie.
Le principali critiche provenivano da persone che, apertamente, non erano interessate ad acquistare o leggere il libro. Non veniva criticato il contenuto, a loro sconosciuto, ma l’esistenza stessa di un libro “senzatrapano”. La discussione era ridotta al titolo. In particolare le critiche si focalizzavano sull’aggettivo “Eroici”. La cosa mi incuriosiva molto perchè, anche visivamente, “eroici” ed “inutili” avvolgono “alpinismi” creando un’equilibrio non privo di una certa ironia.
Sul trapano si potevano avere margini di discussione, ma “eroici” era un assoluto tabù. Era soprattutto il rimando all’alpinismo eroico a raccogliere le più aspre critiche. La parole “eroe” ed “eroismo” sembravano quasi offensive, indicative di un’ideologia superata, contestata ed archiviata come negativa: “Gli eroi sono altri…”, “Quel tipo di alpinismo fortunatamente è concluso!”. La faccenda mi incuriosiva perchè “eroismo” per me è sinonimo di coraggio, indica qualcosa di positivo, qualcosa di trasversalmente prezioso.
Così ho cercato di comprendere cosa significhi “eroico” in senso più ampio. Inevitabilmente la mia ricerca “linguistica” mi ha condotto fino alle origini del “mito dell’eroe”, uno dei pochi temi che appare pressoché identico in tutte le differenti culture del pianeta e che risale alle origini del pensiero e della conoscenza umana. Un “idea” innata nell’uomo che si è evoluta, che è spesso è stata certamente strumentalizzata, ma capace di catturare ed ispirare tanto i maggiori pensatori quanto le persone più semplici.
Oggi consideriamo eroe colui che compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il consapevole sacrificio di se stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune (wikipedia). Questo soprattutto perchè “piangere” una simile tipologia di eroe è assolutamente funzionale agli scopi utilitaristici di una qualsiasi ideologia gerarchica. Ai funerali degli eroi tutti si commuovono annuendo con il capo chino ai discorsi di chi, solo apparentemente a malincuore, in realtà li ha consapevolmente mandati a morire: gli opportunisti e gli esperti di marketing hanno talmente “marciato” sull’idea di eroe al punto da distorcerla e farla apparire come qualcosa di negativo.
Ma cosa è, nella definizione classica, un eroe? Un eroe è un individuo chiamato ad affrontare un viaggio nell’ignoto, in un territorio sconosciuto, affrontando una grande sfida e grandi rischi. In questo viaggio l’eroe è sottoposto ad una trasformazione, qualcosa di lui muore, va perduto, mentre qualcosa di nuovo emerge affinchè possa essere all’altezza della sfida che sta affrontando. La persona che fa ritorno dal viaggio eroico non è la stessa che ha intrapreso il viaggio.
L’arrampicata o sull’alpinismo sono, in quest’ottica, un viaggio eroico per definizione: un’esperienza intensa, quasi brutale, capace di trasformare colui che la compie. A qualsiasi livello. Se ci riflettete un istante, nel vostro profondo, sentirete che ciò di cui vi sto parlando è proprio quella sensazione appagante di cui siete alla ricerca, ciò che vi spinge nei territori selvaggi e vi restituisce “migliori” al ritorno. Non è per questo che inseguite il Drago? Non è questo il tesoro che cercate? La saggezza di fondersi con il Drago anziché ucciderlo non è lo scopo finale del viaggio?
Ma le domande si susseguono addentrandosi in un territorio inesplorato della mente: cosa inquina il vostro personalissimo viaggio eroico rendendolo non autentico? State raccogliendo punti fragola o state trasformando e migliorando ciò che siete? Vivere è un atto eroico, qual’è il vostro viaggio?
Fatemi sapere.
Davide “Birillo” Valsecchi