Tronc Feuillu

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«Sette anni in Tibet» è un film del 1997 diretto da Jean-Jacques Annaud, ispirato ad un libro autobiografico scritto da Heinrich Harrer e pubblicato nel 1953. Il film dura circa due ore e tre quarti, ma più o meno dopo un’ora e venti c’è quello che mi è sempre parso il passaggio principale di tutta la faccenda. In quella sequenza Brad Pit, nei panni di Harrer, fornisce una dimostrazione pratica di come si scende in corda doppia e mostra, giggioneggiando compiaciuto con la compagna tibetana del suo amico, i ritagli di giornale in cui compare per la sua salita alla Nord Dell’Eiger e per la medaglia olimpica. La ragazza, contrariamente alle aspettative, guarda Brad Pit più come un’idiota da aiutare anzichè come un incontrastato sex-symbol hollywoodiano. Il nostro beneamato Tyler Durden in versione alpinistica riceve quindi un romboante “due di picche” accompagnato da una “fatality” senza scampo: “Questa è un’altra grande differenza tra la nostra civiltà e la tua. Ammiri l’uomo che si fa strada verso l’alto in ogni ambito della vita. Mentre noi ammiriamo l’uomo che abbandona il suo ego. Un tibetano non penserebbe di mettersi in mostra in questo modo”.

Non so se questo passaggio compaia nel libro di Harrer, per cui provo una trasversale antipatia, o se rispecchi davvero il pensiero tibetano. Non credo neppure che i tibetani abbiano una superiorità culturale o spirituale, sebbene il loro mondo, fatto in passato di grandi privazioni e ristrettezze, sia stato certamente un indiscutibile grande maestro. Detto questo, quel passaggio del film, quella frase, ha vibrato nella mia mente fin da quando l’ho sentita la prima volta ed è andato in risonanza con le parole di Funakoshi tramandate attraverso Matsumura: “La vanità è solo ostacolo alla vita. La materia è vuota”. Una vibrazione che ha il suo apice in quell’enigmatico passaggio di Bernard Amy pubblicato poi da Gianni Mandelli sull’Isola Senza Nome: «Scarpe? Roccia? Finché si ha bisogno di scarpe e di roccia per salire, non si conosce nulla di quest’arte. Il vero arrampicatore non ha bisogno di artifici, nemmeno di roccia.»

Dall’alto delle montagne questo “vuoto” si fa ancora più evidente: chissà, forse finalmente inzio ad intravvedere davvero il senso delle cose. Sarebbe anche ora, forse…

Davide Birillo Valsecchi

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