Oriente ed Occidente

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Giunsi tardi al rifugio; anche colà si ragionava delle Torri di Vajolet fra i bicchieri colmi attorno ad una buona cena; v’erano Ugo e Tita ed altre guide che facevano corte d’onore al maestro e l’ascoltavano deferenti e andavano a gara a rendergli tutti i piccoli servizi della tavola. Piaz volle conoscere il mio pensiero: cercai di spiegargli lo stupore che m’era rimasto da questa prima salita, più forte di ogni altro senso e del tutto nuovo ne’ miei ricordi di vita alpina: cinque, sei ore di ginnastica disperata, tre vette in un sol giorno, e se ne esce fresco, non sazio, con addosso la voluttà di un sano piacere fisico, un’allegria irragionevole come di chi abbia bevuto del vino inebriante; piccole salite che raccolgono la somma di sforzi e di accorgimenti richiesti da un’impresa dieci volte maggiore; sintesi breve di un’altissima scalata dalla quale siano eliminate, elementi superflui e dannosi, le insidie del tempo, le lunghe camminate d’approccio e le interminabili discese nelle valli profonde. Si giunge freschi ai piedi delle difficoltà, s’affrontano i pericoli a mente serena ed appena se n’è usciti si trova il riposo; così che da una salita nasce il desiderio di un’altra. Io non provavo quella sera il senso di scampo che m’aveva colto dopo talune giornate dell’Alpi altissime; lo dicevo al Piaz che non conosce le mie montagne. Egli mi ascoltava incredulo; per lui non esistono altri monti all’infuori di questi suoi, ai quali egli ha dato tutto il suo cuore di figlio e la forza superba del suo corpo di atleta e che a lui hanno dato la fama; e non sapeva perdonare che io avessi lasciato trascorrere l’età migliore senza conoscerli. Ma che avete fatto della vita fino ad oggi? — sembrava dicesse dagli occhi sdegnosi.

Ma Ugo ed io parlammo de’ nostri monti, ne vantammo l’altezza ed i rischi, ignoti alle vette dolomitiche, il tradimento dei crepacci e delle cornici di ghiaccio, il crollare dei seracchi, il grandinar dei sassi, i geli e le tormente, e, sopratutto, la distanza immensa che lassù separa l’uomo dalla salvezza, le ansie della lunga fuga nelle nubi, la gioia indicibile di ritrovare una piccola capanna sperduta o la rassegnazione tragica di un bivacco senza cibo nè tetto, le membra e lo spirito costretti in un languore quasi mortale, in attese che ritorni il sole.

E gli narrammo le nostre storie più belle, i nostri errori, quelli che solo si confidano nell’ora dei segreti agli amici sicuri.

Guido Rey – Alpinismo Acrobatico (1914)

Nota: La foto in bianco e nero è di Vittorio Sella, nipote di Quintino Sella. Il padre di Guido Rey era figlio della sorella di Quintino Sella. I due, oltre ad essere parenti sono anche contemporanei. Vittorio Sella è anche uno tra i più importanti fotografi di montagna di tutti i tempi. Cercando immagini di Guido Rey, anch’egli valente fotografo, mi sono imbattuto nella Fondazione Sella e nel suo strepitoso archivio fotografico.

Davide “Birillo” Valsecchi

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