L’Isola dei Bambini Tre

CIMA-ASSO.it > racconti nel mazzo > L’Isola dei Bambini Tre

Quale padre, al giorno d’oggi, non regala alla propria figliuola un cranio di faina? Il piano era portare la nana a fare un giretto dietro casa. Dopo Preguda e la Forcellina volevo “inanellare” un altro sentiero circolare che, scarrocciando verso occidente, si mantenesse sotto la “linea” che collega a mezzamontagna Preguda al “Tagliasassi” e Civate. Ricamare piccoli anelli, adiacenti tra loro, che ripercorrano i sentieri meno noti nella parte bassa del Moregallo e dei Corni. Da solo la mia autonomia, ma anche la pazienza della nana, è al più di un paio d’ore e questi piccoli itinerari mi sembrano ideali. Nel primo anello avevo raggiunto Preguda dal sentiero del lago. Nel secondo avevo raggiunto la Forcellina da Piazza Rossè. Nel terzo confidavo di partire da Piazza Rossè scarrocciando verso occidente raggiungendo la mulattiera in cemento che risale da Gianvacca per i “Ranch” di Valmadrera, da qui, passando sotto la teleferica con le palle “bianche e rosse” (che è stata abbattuta credo lo scorso anno) ricollegarsi al “Paolo ed Eliana”, deviando poi per la “casotta sotto la roccia” verso sambrosera attraverso le “mura” sopra la “placca dell’idiota”. Mi riproponevo di “revisionare” la toponomastica con i nomi corretti (quelli sopra sono per lo più nomignoli da me inventati), tuttavia non ce n’è stato bisogno perchè, semplicemente, ho sbagliato strada. O Meglio, ho deciso di perdermi. Appena sopra Piazza Rossè ho imboccato il primo bivio puntando verso l’alto. A un certo punto avrei dovuto piegare a sinistra, verso un passaggio – che ricordo a gradoni esposti su uno stretto canale – con cui emergere dagli orti verso la strada in cemento. Purtroppo, o per fortuna, non avevo voglia di deviare ed ho semplicemente continuato verso destra, verso un sentiero che non avevo ancora mai percorso. La nana rideva, la traccia era evidente, così abbiamo semplicemente continuato. Il sentiero “serve” due piccole baite: la prima ben tenuta è dotata di una gran vista e di una grande Barbecue; la seconda è invece in buono stato ma decisamente più abbandonata. Il sentiero, in quel punto, terminava. Probabilmente, attraversando la valle orizzontalmente, si poteva raggiungere “la casa di Batman”. Una baita che avevo raggiunto tempo fa da basso inseguendo una piccola parete visibile dal mio terrazzo. Le ho dato questo nome perchè, appeso ad una parete esterna della baita, c’è un pupazzetto in gomma del “Difensore di Gotham”. Quella baita è raggiungibile da oriente, arrivando alla fine della strada cementata che dalla prima sbarra a Piazza Rossè fa il giro tra le fattorie. Ora però, io e la nana, eravamo lì, ai bordi un ignoto selvaggio al centro di una ragnatela di linee note. Tempo fa, la mia mente non saprebbe dirvi quando, avevo puntato da solo dritto per dritto alla sommità della Forcellina trovando vecchi sentieri e passaggi nascosti tra i piccoli, ma significativi, salti di roccia che il bosco nasconde. Queste paretine non sono mai più alte di 3 o 5 metri, ma il problema resta sempre lo stesso: o ci arrampichi sopra o devi trovare il modo di aggirarle. E’ un mondo “sempre più piccolo”, ma le regole rimangono sempre le stesse, soprattutto con i tredici chili della nanerottola sulla spalle. “Facciamo due passi nelle terre selvagge nanerottola?”. Christopher McCandless perse la vita “a due passi” dalla civiltà ma probabilmente sono pochi, tra coloro che hanno letto il libro o sbavato per la cine-pagliacciata di Sean Pean, ad aver capito il vero senso di quella storia. La natura è un “serial killer”, il migliore in circolazione, e le basta anche una piccola “zona d’ombra” perchè vi travolga con la sua forza. Sento il rumore della civiltà alle mie spalle, una città di 12mila abitanti come Valmadrera e poco oltre una di 50mila come Lecco. Eppure basterebbe un piede in fallo o un infarto fulminante: la nanerottola si ritroverebbe sola, dispersa nell’ignoto che attende ad una decina di metri al di là dell’ultimo “capillare umano” ai piedi della montagna. Per ritrovarla, ancorata al mio cadavere, servirebbero decine di volontari del soccorso alpino, cani molecolari, elicotteri, triangolazioni GSM. Forse non basterebbe neppure quello. Eppure ci siamo addentrati solo pochi passi nelle terre selvagge, ed è stata una mia scelta. “You have stolen my dreams and my childhood with your empty words”. Disse “Greta” qualche giorni fa nel suo celebre discorso alle nazioni unite. Un discorso che non può rimanere inascoltato perchè è lo specchio di questa distopica epoca. In realtà l’unica risposta apprezzabile è stata quella di Putin, il mio patriarcale dittatore preferito: ”Potrei deludervi, ma non condivido gli entusiasmi di tutti riguardo al discorso di Greta Thunberg. Sai, il fatto che i giovani, gli adolescenti, prestino attenzione ai problemi acuti della epoca moderata, compresa l’ecologia, è giusto e molto buono. Dobbiamo supportarli. Ma quando qualcuno usa bambini e adolescenti nel proprio interesse, merita solo di essere condannato. Nessuno ha spiegato a Greta che il mondo moderno è complicato e complesso, cambia velocemente. Le persone in Africa e in molti paesi asiatici vogliono vivere in modo sano come in Svezia. Vogliono vivere come in Svezia e nulla può fermarli. Ma queste tecnologie rinnovabili non sono per loro economicamente accessibili. Vai e spiega loro che invece devono vivere in povertà. Bisogna essere realisti” (link). Lo spauracchio della mia infanzia, fino al crollo del muro, era l’olocausto atomico, l’escalation della guerra fredda. Lo spauracchio dell’infanzia dei miei figli sarà il riscaldamento globale, il GlobalWarmUp. Come adulto, come “ammaccato” sopravvissuto all’era atomica, sono più preoccupato per le cinque estinzioni di massa che, per cinque volte, hanno annientato il 99,9% della vita sul pianeta nel corso della sua lunghissima esistenza. Le stelle, la visione cosmica della cose, hanno questa straordinaria capacità di rendere insignificante ogni problema che, nella quotidianità, appare enorme. La realtà è che, nonostante tutto (ed è davvero tanto!!) quello che l’uomo combina al pianeta, questo ha un’influenza solo del 5% (che non comunque poco) sul cambiamento climatico. Gli esseri umani, la civiltà umana, “galleggia” sopra incredibili equilibri straordinariamente complessi. Galleggia in modo precario creando a propria volta “micro-equilibri” interni fondamentali ma assolutamente fragili. Questi equilibri sono l’economia, i rapporti tra gli stati, la società, la cultura, la moda del momento. La realtà è che nel terzo mondo ogni giorno muoiono migliaia di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, o di dissenteria perchè privi di impianti di fognatura. Allo stesso tempo se nel primo mondo, in un giorno d’inverno, saltasse la corrente per più di 48 ore in un’area sufficientemente grande (chessò, tutta l’Interland Milanese) avremo un numero significativo di problemi, vittime e ripercussioni. Siamo fragili, una civiltà fragile in un modo cosmicamente violento. Ricordo che mia madre faceva l’orto, e mio padre tagliava la legna ogni stramaledetto sabato mattina: “l’alba del giorno dopo” non è mai arrivata – oggi è persino proibito avere un camino – ma la cronaca dimostra che basta un piccolo terremoto o una pioggia anomala perchè ogni certezza diventi una disperata dipendenza. La piccola Andrea è nata in TIN, nella terapia intensiva neonatale, grazie ad piccolo miracolo che questi “micro-equilibri” hanno reso possibile. Ora è qui, in uno zaino sulle mie spalle, mentre evita i rami dandomi manate sulla testa, divertita e contrariata, perchè abbiamo lasciato il sentiero spingendosi oltre la sua fine. I miei pensieri sul futuro, a tratti incerti, scorrono liberi mentre la mia mente è focalizzata su ogni passo, saldo, mentre cerco un passaggio attraverso le pareti di roccia verso l’alto. Sua madre, uscendo, non mi ha chiesto dove andassi. Si è fidata di me. Anche alla nanerottola non interessa dove stiamo andando, si fida di me. Già, ed io sono qui, in un mondo ostile, in modi infiniti, cercando una linea possibile attraverso le difficoltà. Si fidano di me perchè non conosco tutte le risposte, ma perchè ho la capacità di individuare, per tempo, tutte le domande. Sono chiamato a farlo nonostante tutto quello che mi circonda, nonostante il pensiero comune spesso pericolosamente unico. Non sono il genitore uno o due, io sono il Padre: sono la membrana che circonda la cellula, l’ultima difesa. Mentre scansiono il mondo che mi circonda, passo dopo passo, trovo una piccolo cranio di faina: tempo fa ne regalai uno simile a mio nipote “Stewy”. Sua madre, mia sorella, era piuttosto inorridita dal mio regalo di compleanno. La cosa mi stupì, soprattutto perchè è una biologa, ma mio nipote conserva ancora gelosamente quel regalo. La morte, di ogni essere vivente, è parte integrante della vita di ogni creatura sulla terra. Si muore perchè è più efficiente creare qualcosa di “nuovo” anzichè ripare in eterno qualcosa di “vecchio”. Si muore nella speranza che ciò che verrà sia migliore. Ma la morte, nella nostra società, è diventata un tabù: comprendere la morte significa accogliere la responsabilità di uccidere. Questo però spezzerebbe uno degli equilibri fondanti della nostra contemporaneità: solo chi non possiede niente, o chi possiede tutto, ha il diritto di uccidere. “Greta col coltello”, quello sarebbe un discorso interessante. Ma la nanerottola gioca con i resti del piccolo animale mentre io riguadagno l’uscita verso un sentiero più in alto, verso il flusso delle cose note. Come genitore, come essere umano, come membro della mia specie, credo di avere il dovere di mostrare alla mia progenie l’ampia gamma di equilibri che ci circondano: mostrarglieli e sperare che sappiano usare la nostra conoscenza per evolverne la comprensione. Non ho altri poteri nel tempo che non mi appartiene. Sul sentiero, in discesa, ci si para davanti uno scoiattolo rosso: la sua coda è lunga ed elegante, ci osserva, colto alla sprovvista dal nostro silenzio. Prendo il cellulare per scattare una foto, ma alle mie spalle sento i passi di un escursionista. Il suo incedere, per quanto sia da solo, è un frastuono. Lo scoiattolo guarda oltre, ci ignora osservando quanto accade alle nostre spalle. Provo ad allungare una mano, a comunicare allo sconosciuto che si avvicina di non fare rumore, di acquietarsi. Ma ogni mio sforzo sembra inutile. “Scoiattolo, sul muretto” sussurro disperato. “Scoiattolo?! Bello! Dov’è?” Mi risponde urlando lo sconosciuto. Provo ad indicargli il muretto ma la bestiola si è già dileguata. “No! Non l’ho visto! Accidenti che sfortuna!”. Già, sfortuna… Lo sconosciuto non è nè buono nè cattivo, è solo uno sconosciuto che percorreva il proprio cammino. Ho provato a comunicare con lui, per tempo, per il reciproco beneficio, ma non è stato possibile ottenere nulla. Non c’era malevolenza, solo un dato di fatto: un’occasione era andata sprecata. Lo sconosciuto, vedendo uno stramboide con una bambina sulle spalle, attacca bottone e comincia a raccontarmi tutta la sua escursione. Non c’era malevolenza, solo un dato di fatto: non avevo interesse nella sua storia. Così indicando una scorciatoia poco battuta, l’ho salutato cambiando strada tra i rovi. Io e la nana eravamo nuovamente soli, responsabili del nostro destino. Forse pensando a questo ero distratto e così, solo all’ultimo, ho visto la bella viperetta che prendeva il sole sui sassi. Il mio corpo, in ottemperanza ad un istinto atavico, ha reagito in modo violento: mentre il piccolo serpentello si dava alla fuga ogni mio muscolo si contraeva spasmodicamente in una frenata d’emergenza aggravata dal peso della nana. Per un istante, prima che utilizzassi le ginocchia come ABS, tutti i muscoli del mio polpaccio hanno iniziato a “scricchiolare” troncando e soffocando il passo. Il serpente era in fuga, ma per proseguire ho dovuto fermarmi e massaggiare la gamba: un morso sarebbe stato forse meno doloroso! “Hai visto nanerottola? Il tuo papà ha paura dei serpenti!!”. Ridendo mi ha dato una manata sulla testa e siamo tornati a casa.

Davide “Birillo” Valsecchi

«Dopo che siete nati voi, tua mamma mi ha detto una cosa che non avevo mai capito. Mi ha detto “Ora siamo qui solo come ricordi per i nostri figli”. Credo di aver capito che cosa voleva dire. Quando diventi genitore sei il fantasma del futuro dei tuoi figli.» – Interstellar

Theme: Overlay by Kaira
%d bloggers like this: