Bottiglie nel Bosco

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Lo status di semi-libertà che ci concede la “zona gialla” mi ha permesso di lasciare l’Isola Senza Nome per riabbracciare, dopo quasi dieci anni di assenza, una delle montagne che ha sempre saputo affascinarmi: il Castel di Leves. Una montagna misteriosa, labirintica. Non è particolarmente alta, ma con i suoi modesti 970 metri di quota si innalza per 700 metri, quasi verticale,  sopra l’abitato di Onno e lo specchio del lago. Per molti aspetti è simile al Moregallo, che infatti si trova poco più a sud lungo la Dorsale Orientale del Triangolo Lariano. Tuttavia, a differenza del Moregallo, il Castel di Leves riesce ad essere incredibilmente ostile sul versante Est quanto docile sul versante Ovest: è infatti possibile quasi raggiungerne la cima e le pendici occidentali in macchina, salendo da Lasnigo, da Barni o da Magreglio. Forse è questa particolarità che ha dato vita ad un inconsueto “incontro”. Tutto il territorio lariano è fortemente antropizzato, sono pochi i luoghi in cui non è visibile l’operato, presente o passato, dell’uomo. Spesso i luoghi più reconditi e meno frequentati, laddove la morfologia del territorio lo permette, diventano teatro dell’agire umano più nocivo: l’abbandono dei rifiuti. Gettare oggi rifiuti in un bosco, sul ciglio della strada o nel lago è un crimine, non solo per la legge ma anche per il buon senso. Chiunque oggi, nostro contemporaneo, abbandoni impropriamente dei rifiuti, di qualsiasi tipo, è un idiota. Punto.  Come tale va perseguito e perseguitato! Questo per il presente, tuttavia ho imparato che con il passato, per avere un futuro, è necessario fare pace. Per tanto non sono così sprezzante verso ciò che è stato fatto prima che il problema dei rifiuti diventasse evidente. Anzi, per certi versi questi “lasciti” del passato stuzzicano il mio lato archeologico tanto da avermi reso “esperto” nella datazione di alcune tipologie di rifiuti. Detto questo, però, ammetto che una cosa simile non mi era mai capitata: questa è la più grande discarica di bottiglie vecchie in cui mi sia mai imbattuto! Ma andiamo con ordine. Stavo rientrando verso la cima del Castel di Leves per  il sentiero che corre da Magreglio lungo il crinale  quando, appena sotto la traccia, ho notato quello che sembrava (e che probabilmente è) un paraurti cromato di una vecchia 500. Quelle macchinette, piccoline e leggere, un tempo erano utilizzate come veri e propri fuori strada. Anche io da bambino, classe 1976, ho fatto in tempo a sperimentarle – come passeggero – sullo sterrato. Così, incuriosito, sono sceso a dare un occhiata e quello che mi sono trovato davanti ha superato ogni mia aspettativa: mai visto così tante bottiglie!! Ovviamente ce ne era uno sterminio in pezzi ma anche moltissime ancora integre. Così mi sono messo a studiarle radunando insieme i vari “modelli” che riuscivo ad individuare: ce ne sono infatti di ogni tipo, grandi, piccole, esotiche o comuni. C’è il classico calice ribaltato del “Campari”, solo che questo porta in rilievo la scritta “Davide Campari” e sembra un modello degli anni ‘50/’60. Anche la classica bottiglia “Fanta” marroncina con l’impugnatura ondulata. Bottiglie tonde o  quadrate di sciroppo. Bottiglie d’amaro, triangolari, di Burbon con la zigrinatura a rombi. Una “Fazi Battaglia” con la sua iconica forma quasi immutata dal 1949. Bottiglioni, fiaschi: molte riportano, in modo quasi ironico, la dicitura in rilievo “Senza Cauzione”. Un inferno di vetri che si allunga verso il basso (dove è totalmente sconsigliato cadere o scivolare!) ma allo stesso tempo una specie di museo a cielo aperto. Ero allibito ma anche confuso: cosa fare di tutta quella roba? Per ripulire quella zona servono, ad occhio e croce, almeno un paio di giornate di 5 o 6 persone e quasi sicuramente uno o due viaggi di un Bonetti. Oltretutto, al di là degli sforzi e dei mezzi necessari, probabilmente serve anche qualche permesso: un tempo forse si arrivava in quel punto passando per prati quasi pianeggianti, ora serve quasi certamente aprirsi un passaggio nel bosco o quanto meno trovare una linea per far passare un piccolo Quad. Tuttavia mi stuzzica pensare che qualche vecchia bottiglia d’epoca – ed il giusto collezionista – possano contribuire a risolvere il problema nella sua interezza. Francamente non riesco a darmi spiegazione del perchè in passato fosse prassi comune – o forse esigenza – quella di buttare il vetro giù dai dirupi. Mi è capitato spesso di imbattermi in simili “depositi”, ma mai così grandi e “vecchi”. Confesso che bottiglie vecchie di oltre settant’anni mi disturbano molto meno di un frigorifero, una lavatrice o del gettonatissimo lavandino in ceramica. Tuttavia quella zona, dove probabilmente correva un vecchissimo sentiero persino antecedente alle bottiglie, è quasi un campo minato per qualsiasi animale abbia la sventura di avventurarvisi, domestico o selvatico che sia. Non mi è chiaro cosa volessi – o sperassi – di ottenere rovistando tra quei vetri solo per mettere in posa qualche bottiglia sana. Non lo so. Non so nemmeno cosa sperare di ottenere scrivendo questo articolo. Rovistare tra i rifiuti vecchi più della nonna di chi legge non credo garantisca il celebre quarto d’ora di celebrità alla Andy Warhol. Anzi, rischia solo di indispettire i tanti volontari che – meritevolmente – si sono spesi per mantenere in buono stato il sentiero che passa lì vicino. Però davanti ad una tale quantità di bottiglie forse è impossibile non testimoniare il proprio stupore. Quindi, per ora, mi limiterò a mostrarvi alcune foto condividendone le coordinate geografiche (45.919439 N /9.277364 W). Vediamo che succede…

Davide “Birillo” Valsecchi     

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