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Giocarsi il Jolly

Giocarsi il Jolly

Il 26 Dicembre del passato 2020 il Soccorso Alpino è intervenuto per un soccorso al Monte Rai: due ragazzi di Valmadrera, 22 e 18 anni, erano rimasti “incrodati” in un canale nella zona del Malascarpa. In quei giorni non aveva ancora nevicato e fortunatamente i due sono stati “recuperati” incolumi durante la notte. Il 20 Dicembre invece è stato effettuato un altro intervento in Grignetta, molto impegnativo, in cui erano stati recuperati sempre nella notte due escursionisti bloccati da una slavina sul traverso dei Magnaghi. Io credo che ormai anche i bagnini di Riccione sappiano che “tagliare” il pratone innevato dalla Cermenati per andare verso il Porta sia un’idea stupida (e pericolosa!). I due della Grignetta non godono quindi della mia empatia, la storia dei due giovani “della Valle” invece mi appariva più interessante e meno chiara. Gli articoli di giornale pubblicati sul web parlavano di due giovani escursionisti – quindi senza equipaggiamento per arrampicata – che partiti da San Tomaso, avevano risalito un canale e, presa una deviazione, si erano “arenati” sulla Cresta del Referendum (che però non è sul Monte Rai ma sul Monte Prasanto – spesso confusi tra loro). Visto che l’intervento era durato diverse ore i social network si erano subito affollati con i soliti commenti inutili, resi ancora più salaci dalle restrizioni Anti-Covid. In di quegli articoli era scritto “non riuscivano più nè a scendere nè a salire”: un passaggio inclemente che ricordava molto la celebre gag di “Aldo, Giovanni e Giacomo”. La gente però non ha idea di come sia la “vertebra di moffetta” e così, incuriosito, sono andato adare un’occhiata. La somma dell’età dei due ragazzi non raggiunge la mia, sono “un vecchio” ed ora, per di più, tutta la zona è coperta di neve dopo le nevicate di fine anno: “Birillo, dovranno recuperare anche te?” “Scopriamolo!”.

Fino a San Tomaso la neve è ormai scomparsa mentre nella valle a monte del Tajasass lo scenario è ancora incantevolmente incrostato di bianco. La valle principale accoglie il fiume “Inferno”, lo stesso che poi scorre lungo il celebre “sentiero delle Vasche”: è una valle particolare che, incassata alle spalle della Cima del Bevesco, sembra nascondersi alle spalle del Corno Birone. La valle è il punto di separazione tra il Monte Rai ed il Monte Prasanto che, dal lato Valmadrerese, appare quasi nascosto alle spalle del Corno Rat. Una zona che mi piace molto perchè molto selvaggia, solo parzialmente esplorata, poco frequentata e caratterizzata da affascinanti strutture “geologiche”. Sulla sinistra orografica della valle gli strati calcarei sono letteralmente “impazziti” ed hanno iniziato a torcersi, ripiegarsi ed impennarsi. Il Malascarpa, con i suoi fossili facilmente visibili, è solo una di queste strutture più conosciute. Poi ci sono i “Campi Solcati” (bellissimi sia “sopra” che “sotto”!) nonchè la “Cresta del Referendum” (così chiamata per la via d’arrampicata che la percorre, aperta da Giorgio Tessari e Claudio Adamoli nel 1974) e la “Guglia del Peder”. Inseguendo i ragazzi sono risalito fino alla “Fontana del Tufo”, un fontanella dove confluiscono ben due sorgenti d’acqua a ridosso di una grotta, appunto, in una struttura di tufo. Il tufo è principalmente conosciuto come roccia magmatica, figlia diretta dei vulcani o del cuore della terra, tuttavia nella nostra zona il tufo è ovviamente di origine sedimentaria, figlio del mare come tutte le nostre montagne.

Poco oltre la fontana il primo curioso indizio! Una palina segnaletica, nuova di zecca, indica infatti il bivio per i due sentieri che portano da quel punto alla cima del Monte Rai. Il primo, sulla sinistra salendo, risale fino alla “Cà Rotta” e quindi alla Bocchetta di San Miro ed è indicato come “facile”. Il secondo, indicato come “sentiero impegnativo”, risale invece il canale incuneato tra i “Campi Solcati” (a sinistra) e la “Cresta del Referendum” (sulla destra). La cosa curiosa è che qualcuno, probabilmente molto giovane, ha “integrato” la palina con recensioni a pennarello. Il sentiero di sinistra è diventato “facile ma noioso!” mentre quello di destra “Poco impegnativo ma bellissimo! Vai!”. La faccenda mi ha rubato un sorriso: questo infatti spiega in parte perchè due ragazzi, senza equipaggiamento, si siano infilati in una “zona ravano” come quella! Probabilmente il “Sentiero Geologico Alto” è diventato una specie di avventura gettonata tra i giovani (salvo i pittogrammi sul cartello io non ci vedo nulla di male!). Da quel punto in poi la neve copriva ogni cosa e solo una vecchia tpedonata – qualcuno da solo i primi giorni di neve – mi accompagnava lungo la salita. Per orientarmi dovevo fare affidamento al vago ricordo di quel sentiero (percorso quasi sempre in discesa) ed ai numerosi bolli sugli alberi: nonostante fosse “nascosto dalla bianca” il sentiero appariva ben curato sebbene attraversi uno scenario decisamente selvatico.

La prima “meraviglia” di questo itinerario è la “Guglia del Peder”: immaginatevi il fondo del mare, compatto per 40 metri e spesso poco meno di un metro, che all’improvviso si impenna verso il cielo creando una guglia di straordinaria bellezza. Nel 1980, Marco Tentori e Renzo Magni, hanno tracciato una lunghezza – a chiodi tradizionali – di V+, A1(VIII). La Guglia del Peder è la parte inferiore della Cresta del Referendum, da quel punto la cresta rocciosa si innalza e risale verso l’alto formando, sulla sommità, il Sasso Malascarpa. In realtà la faccenda è però più complessa: le creste, parallele tra loro, sono in realtà tre. I diversi piani sedimentari si sono “ribaltati” ma nel tempo si sono “consumati” in modo differente e dando vita a cresta e corridoi erbosi.

Difficilmente i ragazzi si sono “incrodati” sulla Guglia del Peder: il riferimento sarebbe stato troppo evidente per non comparire nei giornali. Inoltre in un posto del genere “ti fai male” (anche tanto), ma non ti incrodi slegato. Sul lato destro della guglia, osservando dal basso, c’è un canale che risale ma dubito sia questo che hanno imboccato i ragazzi: è un canale ghiaioso dove, alla peggio, puoi piegare nel bosco accanto o comunque ritornare sui tuoi passi. Con cognizione di causa quella zona suggeriva alla mia fantasia un sacco di “devianti opzioni” per mettersi nei guai. Opzioni che possono nascere naturali in chi parte per una “ravanata”, ma ero sempre più convinto che i ragazzi non fossero in cerca di rogne, ma che volessero solo fare un’escursione, forse avventurosa, magari nota tra gli altri ragazzi, ma non fuori sentiero.

Cosa era successo quindi? Immerso nella neve ed in questi pensieri ecco la probabile soluzione! Il sentiero risale la valle tenendosi sul lato destro al fiume che, con alti sassi di roccia liscia e limacciosa, scorre verso il basso bucando il bianco della neve. Quando il sentiero si avvicina al fiume Istintivamente piego ancora verso destra  imboccantdo un tornante verso  un corridoio roccioso che risale obliquo e sembra il naturale proseguimento del sentiero… ma invece no!!  Il sentiero piega sul fiume, lo attraversa ed arretra sul versante opposto per poi guadagnare quota più a lato. In quella curva tutti i bolli sugli alberi sono lontanti e praticamente alle spalle di chi sale. Per un istante mi fermo a riflettere: forse con la neve è facile sbagliare, ma senza? In realtà non vedo la traccia ma, per tutto quello che c’è attorno, è quasi scontato che ci sia “passaggio” di animali in quel tratto: una falsa traccia? In pratica è la “porta” che permette di infilarsi tra le tre creste, probabilmente la via d’accesso per addentrarsi in quella zona. Quindi sì, io credo che possano aver sbagliato ed essersi infilati in quel corridoio.

Lo hanno fatto volontariamente? Non credo. Se ti infili in quei posti volontariamente o ne esci da solo o ne esci con le ossa rotte. Questo perchè la consapevolezza di fare una “puttanata” ti offre una “prospettiva” su quanto osare, le opzioni quindi sono solo tre: a) disingaggi per tempo b) riesci ad uscire c) fiondi giù e buonanotte. Certo quelli sul traverso dei Magnaghi si sentivano fighi finchè non sono trovati in merda, poi hanno chiamato aiuto perchè la montagna si era fatta inaspettatamente malvagia… Quello però è “alpinismo sociale”, la Grignetta è un posto figo gettonato dagli influencer: il “ravano” ha tutta un’altra implicita attitudine. No, per me erano due cose differenti: secondo me volevano solo percorrere il sentiero, hanno sbagliato a quella curva ed hanno insistito. Il guaio è che quei corridoi appaiono “percorribili” in salita ma in discesa diventano una trappola per tonni. Lo spigolo della Cresta del Referendum è VII in placca (sono ancora visibili i cordini appesi), quindi fuori portata, ma se riesci a raggiungere uno dei due canali tra le creste puoi risalire tra le piante. In qualche modo ce la puoi fare. Devi però aver scelto “volontariamente” di “punire te stesso” con una cosa simile. Diverso invece è se ci sei finito per sbaglio, magari invogliato da qualche recensione, “poco impegnativo ma bellissimo”. Se ti ritrovi “involontariamente” attaccato all’erba, a mastrufolare sopra salti verticali che superano i venti metri. Non hai mai neppure pensato di dover organizzare una “ritirata” ed ora guardarsi indietro è diventato inquietante, vai avanti incerto, sempre più spaventato, sperando di uscire. Ma alla fine ti blocchi e ti arrendi perché mentalmente non eri assolutamente pronto ad una cosa del genere. No, non ne vieni fuori da solo in quel caso e recuperarti è tutt’altro che facile: “attrezzare” di notte quella zona per evacuare due senza preparazione è davvero un lavoraccio!!

Il Sentiero Geologico Alto, oltre quel punto, prosegue impegnativo ma privo di particolari pericoli. Tanti bolli indicano la via e tronchi di traverso rinforzano i passaggi più cedevoli. Il sentiero permette di dare una piacevole sbirciata ai Campi Solcati prima di raggiungere i fossili a cuore del Malascarpa.

Le mie sono solo supposizioni, in buona parte “sensazioni” coperte dalla neve. Credo però che i ragazzi abbiano avuto sfortuna, che una disattenzione li abbia fregati proiettandoli in una situazione decisamente difficile e spaventosa che, fortunatamente grazie alla XIX Delegazione Lariana, si è conclusa nel modo migliore. Sono dispiaciuto per loro se questo è il caso. Poi vabbè, posso sbagliarmi, possono essere due scapestrati, incoscienti ed incapaci che si sono messi volontariamente nei guai senza avere la “stoffa” per venirne fuori. Può essere, in buona misura sarebbe un istinto innato – e storicamente comprovato! – nella genetica dei “Craponi della Valle”. Ma anche in questo caso non è mia intenzione criticarli come i vari leoni da tastiera hanno fatto. Anzi, ci vedrei un interessante attitudine mal sviluppata…

Posso dire solo questo: “Si vis pacem para bellum”. Bagai, il Jolly ormai ve lo siete speso, se questo è il gioco a cui volete giocare dovete ora per forza addestrarvi ed equipaggiarvi! Nessuno deve più venire a tirarvi fuori dai guai… e dai guai dovete uscirne!

Davide “Birillo” Valsecchi

  • Corni di Canzo

  • Resegone

  • San Primo

Il Moregallo Slavina. Sempre.

Il Moregallo Slavina. Sempre.

Quella nella foto è il Canale dell’Indiano. La parte alta, quella finale, di uno dei grandi canali che scendono dal Moregallo verso il lago. Non so se sia veramente il suo nome, il lato orientale del Moregallo è povero di toponimi certi, io lo chiamo in questo modo perchè è un tratto si trova alle spalle di quel contrafforte roccioso, visibile lungo la cresta Est che sale da Preguda, presentato in una vecchia cartolina come “la faccia dell’indiano”. Su quella parete, infatti vi è un una sporgenza, un marcato tetto, che rassomiglia ad un “naso” conferendo a tutta la struttura la fisionomia di un profilo dai lineamenti marcati. Il sentiero non si avvicina nè attraversa mai il canale, tuttavia è possibile osservarlo dall’alto – sporgendosi con attenzione oltre il bordo della cresta – prima di giungere alla “Selletta degli Orfani”, l’intaglio roccioso a “V” che permette di scollinare l’anticima del Moregallo a quota 1170m. Il sentiero infatti scavalca e si abbassa sull’altro lato fino alla “Bocchetta di Sambrosera”, per poi risalire nel bosco fino alla pianeggiante cima del Moregallo (1276m). Che io sappia c’è solo una traccia, che ovviamente non è da considerarsi sentiero, che attraversa quel tratto finale del Canale dell’Indiano: il collegamento dal “Passaggio Zeta” alla Cresta Est. Collegamento che avviene più o meno all’altezza della palina per il sentiero “Paolo e Eliana”. Il passaggio Zeta è il “trucco finale” per emergere dal Sentiero del Casotto, una vecchissima linea di salita che inizia mille metri più sotto, sulle sponde del lago. Quello del Casotto è però un sentiero solo di nome, di fatto è una salita “alpinistica” sul paglione quasi verticale attraverso un labirinto di pareti e scogliere. Io fino ad oggi l’ho percorso solo tre volte ed è una salita che non ripeterei nè da solo nè alla leggera. Nella foto che ho deciso di mostrarvi si vede però qualcosa di molto interessante e che mi ha colpito quando, giorni fa, sono salito al Moregallo dopo l’abbondante nevicata di fine anno. Si vede infatti come, a metà del pendio, la neve abbia iniziato a scivolare sul paglione fiondandosi verso il basso dentro l’inghiottitoio del canale. Si vede bene l’erba schiacciata ed incrostata di neve che durante la slavina è diventata il piano di scivolamento. Certo, può sembrare una banalità parlare di come neve, paglione, forte pendenza uniti a quota bassa possano causare di slavine. Indubbiamente. Quello che però è difficile da comprendere è la quantità di neve che viene coinvolta da un fenomeno apparentemente ridotto, comprendere come questa neve diventi una “massa” dotata di una “forza” straordinariamente considerevole. Non è la “grande valanga”, quella spettacolare e terribile che tutti abbiamo in mente grazie a mille filmati, ma un “mix” di neve bagnata e grumosa che diviene una spinta spaventosa e violenta quando infilata a forza dalla gravità dentro un corridoio verticale. Il Canale dell’Indiano, come si è detto, è fuori da qualsiasi itinerario “turistico/escursionistico” tuttavia qualcosa di simile accade su tutto il versante Sud del Moregallo. Il crinale sulla destra orografica della parte finale della Valle Due Pile, per intenderci il pratone che divide la Crestina Osa dal sentiero che sale alla Bocchetta di Sambrosera, è anch’esso completamente slavinato in questi giorni. Dal Basso, da Valmadrera, non si vede nulla di quello che è accaduto. Fa invece abbastanza impressione osservare la faccenda dall’alto, soprattutto sapendo che il sentiero che risale dal fontanino di Sambrosera compie un lunghissimo traverso proprio sotto. Il versante, fortunatamente, è però molto ampio ed il movimento della slavina si disperde e si arresta sulle piante a monte del sentiero. Come per ogni diga resta comunque un gioco di equilibri. Ancora: fino a qualche giorno fa il sentiero della cresta Est era pressoché vergine. Quel sentiero è una salita lunga, con sviluppo e dislivello, “battersela” tutta è decisamente faticoso. Il sentiero della Cresta Ovest appariva invece ben visibile e battuto. Tipicamente è la salita più gettonata perchè sfruttata sia da chi proviene dalla SEV sia da chi risale il sentiero del bosco fino alla “Bocchetta di Moregge” (1108m). Si può seguire il filo di cresta – che in alcuni tratti è vertiginoso sulla valle delle Moregge – oppure si può seguire il sentiero che, a mezza costa, attraversa il grande imbuto ribaltato che è l’erboso tratto finale del Canalone Belasa e dei canali minori che lo circondano. L’altro giorno, appoggiato alla croce di vetta, solo in mezzo alla neve probabilmente in tutta la montagna, ho osservato dall’alto quella traccia e, senza gloria o troppi dubbi, ho deciso di scendere lungo il sentiero da cui ero salito, nuovamente verso Preguda. Certo, era intrigante l’idea di attraversare fino a Pianezzo e magari scendere dalla Forcellina dei Corni. Sarebbe stato sicuramente un bel giro ad anello, neppure troppo impegnativo. Tuttavia c’è un esperienza, che ovviamente intendo raccontarvi, che ha suggerito diversamente. Prima però una considerazione: nei 7 anni che ho trascorso a Valmadrera, sul versante Sud del Moregallo, questa è la prima volta che vedo così tanta neve, soprattutto in questo periodo. Normalmente, negli anni passati, si trascorreva Dicembre e Gennaio arrampicando sulla roccia: certo la mattina all’ombra faceva un freddo cane ma poi, quando nelle belle giornate usciva il sole, la situazione era assolutamente gestibile se non addirittura godibile. La neve, tipicamente, arrivava verso fine febbraio, marzo, inizi di Aprile: nevicava due giorni, a volte uno solo, e giusto una leggera spruzzata per dare un imbiancata, mai oltre i quindici/venti centimetri (una spanna). Spesso iniziava a nevicare la notte, finiva al mattino ed entro mezzogiorno era già tutto scomparso. Il versante sud è così. Quello nord invece è molto diverso, fa più freddo, c’è meno esposizione e la neve resiste più a lungo. Ricordo fantastiche e polverose giornate risalendo dalla Val Cerrina, a volte anche con gli sci. Sul versante Sud invece devi cogliere l’attimo effimero: in molti casi è sufficientemente bello, in altri è decisamente strano, a volte però persino inquietante! Quindi andiamo con la confessione: credo fosse il febbraio dello scorso anno, un venerdì sera inizia a nevicare e così, insieme a Ruggero, decido di mettere in piedi una “scampagnata” nella neve. Aveva nevicato davvero poco ma al mattino non c’era stata la consueta schiarita e la giornata era rimasta cupa ed umida. In cima al Moregallo forse ci saranno stati una decina di centimetri di neve, non di più, fino al fontanino di Sambrosera era però tutto sconsolatamente pulito. Così, visto che la “magia bianca” sembrava sfumata, ho pensato fosse più divertente risalire per il frizzante Canalone Belasa anzichè farsi la noiosa sfacchinata fino alla bocchetta: francamente una delle decisioni più stupide mi sia capitato di prendere! Per chi non lo sapesse il Belasa è un canalone roccioso, con alcuni salti anche importanti ma protetti da catene, che da Sambrosera risale verso la vetta fin quasi ad incrociare la Cretina OSA prima dei due tratti finali e del ponte di roccia. Ci si può sbizzarrire arrampicando qua e là ed in passato, durante le estati in cui ero decisamente meno pigro, lo percorrevo tutto prima di cena come dopo-lavoro. Il canale è però, fondamentalmente, un grosso intaglio tra due creste di roccia ed erba con una pendenza tra i 50 e 70 gradi di inclinazione. Sia chiaro, un pendio innevato, la cui inclinazione è superiore ai 30 gradi, è potenzialmente pericoloso, tuttavia quella mattina, nonostante avesse nevicato e la cima del Moregallo apparisse imbiancata, di neve ancora non ne avevamo vista… Solo giunto alla base di Pilastri si è mostrata, ma era sui cinque centimetri, dieci al massimo. L’unico impiccio che sembrava causare era quello di dover pulire le prese giocando sulle rocce del canale: nessun pericolo percepito o percepibile. Dopo aver superato i Pilastri la faccenda è però decisamente cambiata: forse non aveva nevicato molto, ma tutta la neve che era caduta sembrava intenzionata a scendere nel canale! La neve, che era diventata fradicia e pesante, era anche notevolmente aumentata ammassandosi: quando ti serviva una presa dovevi iniziare a scavare. I salti più alti non erano un problema, erano praticamente puliti, erano tutti gli altri passaggi “minori” ad essere diventati complicati. Oltre a questo il vero e concreto problema erano le slavine! Le più grosse erano fortunatamente già scese, partite da altezza impensabili sopra il canale erano piombate verso il basso tirandosi dietro una quantità di neve spropositata per la nevicata che era stata. Dei piccoli mostri che rendevano impossibile non percepire l’instabilità diffusa del momento: era come se una pioggerellina avesse creato un alluvione raccogliendo acqua in ogni dove. Intendiamoci, la mia ansia non era certo quello di finire sepolto dalla neve, il problema è che se una di quelle cose ti centra ti butta di sotto e rischi di farti seriamente male anche senza passar giù dai salti più grossi. Lì per lì avrei dovuto girare i tacchi e tornarmene indietro (e sarebbero stati zero problemi), tuttavia l’istinto è stato quello di portarsi a monte del problema (ma è stata una puttanata). Così abbiamo continuato: la neve è diventata sempre peggio, siamo diventati sempre più lenti, traversare in alto per tirarsi fuori passando sopra i canali è stato piuttosto agghiacciante. Quindi sì: neve, paglione, forte pendenza, quota bassa, esposizione a sud ed influsso del lago sono un mix decisamente sconsigliato, anche con quantità apparentemente ridicole di neve! La cosa ancora più ironica è che solo 24 ore più tardi la neve era completamente sparita: noi eravamo proverbialmente nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Quindi no, e lo scrivo più per me che per voi, i canali del Moregallo non sono fattibili in inverno con la neve. Hanno tutti un imbuto erboso sulla sommità e caratteristiche climatiche che rendono impossibile – più che effimere – le giuste condizioni. Sul versante Nord-Ovest ci sono per lo meno tre canali con salite alpinistiche (Masciadri, Mandelli, Ricci), ma tutta quella zona è decisamente un altro capitolo, non meno agghiacciante e con caratteristiche ben specifiche. L’altro giorno mi sarebbe piaciuto avere con me il picozzino che avevo preparato ma poi pigramente lasciato a casa. Oggi, ripensandoci, è stato meglio così: perchè se te lo tiri dietro finisci per usarlo e la lezione di fondo, almeno per me, è che le picche al Moregallo è meglio usarle sull’Erba che sulla neve! Per quanto mi riguarda – e per l’esperienza fatta – “inseguire la bianca” da quelle parti è una pessima pensata. Se c’è neve sul Moregallo salgo dalla Cresta Ovest (se ho abbastanza benzina e voglia per batterla tutta!). Oppure posso fare la cresta Est, evitando il sentiero e scendendo poi verso Preguda (bel giro ad anello fatto più volte a fine inverno). Se però dopo la nevicata c’è stata una bella schiarita e vento da Nord devo fare attenzione al ghiaccio nei passaggi più esposti sul limite della cresta. Se il limite della neve è sopra la parete Nord allora posso anche salire dal sentiero del 25° OSA: è una bella sgambata ma piacevole se non ci si perde. Purtroppo non ho mai visto la neve più in basso e, nei traversi sopra la cava, non ho idea cosa possa cambiare. Diversamente, per evitare guai, conviene andare ai Corni dove la neve ha un suo ciclo vitale indubbiamente breve ma comprensibile. Conviene tornare al Moregallo solo quando la neve se ne è andata e questo, contrariamente a quanto avviene adesso, normalmente richiede di pazientare giusto 12/24 ore…

Davide “Birillo” Valsecchi

“… i vecchi iniziano a dare buoni consigli quando non possono più dare il cattivo esempio” (Cit.)

  • Canalone Belasa Febbraio 2019

  • Dalla Cima del Moregallo 2021

  • Canali Orientali Moregallo

Duemila e Ventuno

Duemila e Ventuno

C’era una volta un uomo ridotto in estrema miseria. Era un devoto del patriarca taoista Lu Dong-pin e lo pregava con grande fervore; così il santo scese sulla terra per aiutarlo. Arrivato a casa sua e visto che era senza alcuna risorsa decise di aiutarlo. Il santo puntò il dito su una pietra che era nel cortile e quella si trasformò subito in oro splendente. «Vuoi quell’oro?» chiese il santo al povero. L’uomo fece un profondo inchino e rispose: «No, non lo voglio». Il santo taoista era tutto contento e disse: «Se tu sei così sono pronto a insegnarti la grande dottrina del Dao». L’uomo disse: «No, quello che voglio davvero è il tuo dito».

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