Bruna ed io finiamo di fare la spesa. Siamo arrivati ieri dopo dieci ore di macchina ed il piano era di starsene quieti. “Hey Bru, hai visto che sole? Ti va di andare a vedere le frazioni e magari dare una sbirciata al Coglians?” Le annuisce contenta, così aggiungo: ”Magari metti gli scarponi, non si sa mai: magari ci viene voglia di fare due passi…”.
Il mio piano, man mano saliamo di quota, si trasforma e si evolve: una passeggiata per Collina, un panino da Canobbio, una birra al rifugio Tolazzi, due passi fino a Morareto. Bruna, ormai sconsolata, aveva già intuito come sarebbe poi davvero andata a finire: destinazione Rifugio Giovanni e Olinto Marinelli, quota 2.120m
“Sei un imbroglione!” Continuava a ripetermi ma, visto che il panorama le piaceva, non era intenzionata a protestare troppo duramente. Lungo la salita le mostro un paio di marmotte che corrono sulla neve. Sono le prime che abbia mai visto e ride come una bambina mentre le fotografo con lo zoom.
La faccio scarpinare un paio d’ore sotto il sole pomeridiano e finalmente raggiungiamo il rifugio. Il Marinelli è gestito dalla Famiglia Tamussin fin da quando io ricordi. Quando ero bambino il rifugio era più piccolo, bianco ed azzurro aveva il tetto con un solo spiovente, ora invece è molto più grande, ha 50 posti letto ed è uno dei più belli in cui pernottare.
Il Marinelli era ancora formalmente chiuso e solo da pochi giorni la strada era stata liberata dalle neve. Oltre la soglia troviamo però la mitica Caterina indaffarata con le pulizie stagionali per l’imminente apertura: “Sei ancora qui a rompere le balle!?” mi accoglie ridendo in dialetto carnico.
Insieme beviamo un paio di birre e facciamo fuori un tagliere di prosciutto affettato: è un’occasione rara e preziosa poter chiacchierare un po’ con lei prima che inizi il trambusto della stagione turistica! Mentre ci godiamo il sole mio padre chiama al telefono ed io le passo direttamente Caterina: “Hey Comasco! Guarda che io gestisco un rifugio alpino, non un ricovero per ubriaconi! Quel rimbambito di tuo figlio e della sua morosa son qui già sverzi!! Cosa faccio: li butto giù verso Timau o verso Collina?” Mio padre e Caterina si conoscono da anni e si prendono in giro da sempre, nonostante le distanze scherziamo allegramente tutti insieme.
Dopo aver fatto un po’ di “sagra” Caterina e Marco tornano alle pulizie, Bruna si sdraia al sole ed io salgo in cima ad un promontorio per fare un po’ di foto. Davanti a me lo spettacolo del Coglians (2780) e della Chianevate (2769), un meraviglioso trionfo di roccia che cattura le fantasie più ardite!!!
Dieci ore filate guidando attraverso le Alpi dal Lago di Como alla Carnia: favoriti da un magnifico sole ce la siamo davvero spassata!! Allo Stelvio, 2750 metri, la neve la faceva da padrona ma un’invasione di tedeschi ed austriaci in moto confermava, ormai come le rondini, l’arrivo della bella stagione.
Stilando il mio piano di viaggio non mi ero reso conto che, superato lo Stelvio, avevo tracciato la rotta attraverso un altro passo importante: il Giovio, 2094 metri.
Una volta giunti a Vipiteno abbiamo iniziato a costeggiare le dolomiti fino a San Candido e Sesto. Le Dolomiti di Sesto sono strepitose, soprattutto le meno note: al ritorno vi mostrerò le foto fatte e cercheremo di conoscerle meglio!
Superato il passo di Monte Croce Comelico, 1636metri, siamo entrati in Cadore e finalmente sulle conosciute strade della Carnia.
Sole, neve e cielo azzurro in un anticipo d’estate: la Spedizione Carnia2014 non poteva cominciare meglio!
(Pensare che Bruna la chiama “vacanza”!)
Bruna è convinta la porti in vacanza, tuttavia la quantità di materiale tecnico ammassato nella “stanza del pericolo” e pronto per essere imbarcato sul Subaru avrebbe dovuto metterla in allerta: la destinazione ancora una volta è la Carnia ed il massiccio del Coglians, la grande frontiera.
Quando eravamo piccoli per arrivare a Forni Avoltri impiegavamo quasi dodici ore: i miei genitori attaccavano alla Fiat127 bianca il carello da traino e trasformavano il retro dell’auto in una specie di “nido” dove noi bambini potessimo dormire o giocare durante il lungo viaggio.
Oggi, grazie alle autostrade, in poco meno di cinque ore si può comodamente arrivare a destinazione. Tuttavia vorreste privare la giovane bergamasca di una nostalgica avventura attraverso tre quarti dell’arco alpino più famoso del mondo? Quindi apriamo la cartina e facciamo la rotta!
StepOne: Lecco. Questa è la città dove sono “fisicamente” nato e di cui, grazie anche al lavoro, ne sto scoprendo la grande bellezza. Lago, montagne, storia ed alpinismo: direi che è un ottimo punto di partenza!
Quindi una “promenade” lungo le sponde orientali del lago e poi un’incursione attraverso tutta la Valtellina. «Amore quella è la nord del Legnone, mentre a destra abbiamo le Orobie del tuo amico Agazzi, a sinistra il Badile ed il Bernina». Morbegno, Sondrio, Sondalo e Bormio.
«Paperella, ti danno fastidio le curve?» Gomme da neve e 4×4 permanente per affrontare la strada che sale dal versante di Bormio e si snoda su 34 tornanti lungo i 22 km che portano in vetta al Passo dello Stelvio attraversando l’imponente Valle del Braulio. Il passo è aperto ma la webcam ricorda quanto la quota di 2758m (più delle Grigne e del Coglians) non sia ancora da sottovalutare!
Lasciatosi alle spalle Il Gran Zebrù, l’Ortles, ed il parco nazionale dello Stevio ci si avventura in Trentino Alto Adige in viaggio nei territori quasi ignoti (per me) di Merano, Vipiteno, Bressanone e Brunico. «Hey Bru, guardati in giro che qui conosco poco e nulla!»
Le poche volte che ho fatto questa strada era di notte ed il paesaggio era un oceano scuro costellato di mele (che si coglievano allungano la mano dal finestrino!!). Una volta, nel cuore del buio, all’improvviso mi sono ritrovato davanti ai fari della Jeep un’enorme cervo maschio: credo di non aver mai più fatto in vita mia una stridente frenata di traverso a ruote bloccate come quella fatta quella notte! (porca vacca!!)
Poi Dolomiti, Dolomiti, Dolomiti! Dobiaco, San Candido e Santo Stefano di Cadore. «Tesoro mi porti a Cortina?» Manco per sogno! Cortina è un aberrazione pagana nel cuore di uno dei tempio dell’alpinismo prostituito al denaro: solo il fuoco o la peste potrebbero purificare quella landa infestata da “bauscia”, tette rifatte e SUV! Le tre cime di Lavaredo noi che le guardiamo da dietro!
E finalmente Sappada, “plan de strios” e quindi Forni Avoltri. Questo è il piano! (Si accettano suggerimenti!)
Nella mia rapida sortita in Friuli l’obbiettivo principale era la ferrata del Coglians, tuttavia è stata una sorpresa scoprire come un’escursione, fatta per riempiere l’ultimo giorno prima della partenza, si sia rivelata forse la più affascinante!
In uno sperduto angolo al confine tra tre comuni vi è una valle verde circondata da un anfiteatro di montagne dolomitiche. In mezzo a questo catino verde i ruderi di una vecchia casera e tutto intorno roccia, grotte, e spazi da scoprire!
Ero stato in GEU da bambino ma tornarci ora ha aperto davvero nuove prospettive. La prima cosa che mi è venuta in mente guardandomi intorno è stata: “CAMPO!”.
L’avvicinamento è infatti molto lungo, non proibitivo ma abbastanza impegnativo da regalare un piacevolissimo isolamento (dalle 4 alle 5 ore in salita). Al contempo è possibile raggiungere, in un oretta a piedi, alcune malghe ancora attive qualora fosse necessario qualche tipo di “rifornimento” (le malghe sono raggiungibili anche con un fuoristrada). Mentre, a due ore (in discesa e leggeri), c’è Forni Avoltri e mille agganci.
Ma una volta fatto campo lassù? Bhe, tutto intorno è strapieno di roba da fare! Dal semplice escursionismo esplorativo all’arrampicata passando per qualche “sbirciata” speleo nelle mille grotte visibili.
Il Monte Cimone (un universo di roccia tutta da esplorare!!), il Monte Geu, il Creta Forata e più in là il Monte Dieci ed il Monte Sierra. A compendio un’infinità di pareti, creste e guglie in buona parte ancora completamente vergini.
Fantasticando su quello che si potrebbe combinare con una settimana di bel tempo vi lascio dare un’occhiata a questo filmato. Vediamo cosa si riuscirà a mettere in piedi la prossima primavera: chi viene?!
Dopo 72 ore con i nipotini ho capito che Adamo ed Eva non sono stati cacciati dal Paradiso: Dio ha semplicemente dato loro dei figli! Se nello specifico teniamo conto che si chiamavano Caino ed Abele la teoria acquisisce una certa consistenza. Alla luce di questa scoperta ho fatto ciò che ogni zio coscienzioso dovrebbe fare: mi sono dato alla macchia! All’alba, prima che le “creature” e la relativa mamma (nonché mia sorella) si svegliassero, ho infilato la zaino e sono sgattaiolato fuori.
La mia destinazione, dopo un ottimo caffè al bar, è stata Monte Tuglia, un piccolo omaggio a mio padre che a quella montagna è davvero affezionato. Salgo per la mulattiera di Toops alla ricerca di un vecchio sentiero che percorrevo all’alba proprio con mio padre ma, purtroppo, non trovo altro che vecchi colori, giallo e rosso, dipinti sugli alberi: la traccia è ormai inghiottita dal bosco.
Inizio a vagare tra i rami caduti e le foglie secce cercando comunque di trovare la mia via, ben presto mi ritrovo a navigare a vista nell’ignoto del bosco. Risalgo una ripida valle e finalmente ritrovo i segnali lungo un ripido crinale. Non è di certo il sentiero di mio padre ma, ormai, inizio a seguirlo mentre si fa sempre più ripido e scosceso: oltre ai segni sugli alberi nulla indica questa vecchia traccia ormai abbandonata, il bosco ha inghiottito ogni cosa.
Correndo lungo il crinale il sentiero spara dai 900 metri di Toops ai 1600 del promontorio che sovrasta la piana della casera di Tuglia: è una salita avvincente, il fondo è di terra morbida ed aghi di pino e sembra di camminare nella neve tanto si affonda su quell’affilata cresta. Spesso il crinale si impenna anche oltre i 70 gradi costringendomi ad arrampicare sul muschio e tra le radici. Sono “perso”, perso nel profondo del bosco. La linea del crinale e la sola che posso seguire, deviare è impossibile: mi piace!
E’ difficile spiegare cosa sia il “bosco” a chi non ne abbia avuto esperienza, è un luogo particolare, oscuro e luminoso, protettivo e pericoloso allo stesso tempo. Anche fotografarlo è difficile, la luce è particolare ed i soggetti si sciolgono in un susseguirsi di piani e quinte. In quell’altrove l’unica testimonianza umana in cui mi imbatto è un cimelio del passato: una sbiadita lattina a strappo, un retaggio in disuso da almeno vent’anni!
Quando riemergo dal bosco sono a ridosso della Casera di Tuglia, ai piedi della ripida piramide che forma la cuspide della montagna. Desisto all’idea di salire sulla vetta: “Solo un giretto tranquillo oggi!!”. Mi godo il panorama ed inizio a risalire verso il Passo di Geu. Alla mia sinistra il Monte Cimon (2422m) su cui sono salito lo scorso anno per la cresta orientale dal passo Entralais. Sempre a sinistra la Creta della Fuina (2350m) e di fronte l’aguzza punta del Monte Geu (2109m). Alle spalle, in fondo all’orizzonte, svetta il Monte Sierra(2443m) ed il Monte Dieci (2151m).
Quando raggiungo finalmente il passo si apre davanti a me il magnifico anfiteatro di montagne dominato dall’altezzosa e fiera Creta Forata (2467m). Appena sotto la valle sembra sprofondare all’improvviso dando vita ad una piccola pianura al centro della quale sorgono i resti della Casera Geu.
Il mio “giretto” si estende sulla carta da 1 a 25.000 ormai ben oltre una spanna piena ma davanti a me c’è davvero ancora tanta strada da fare. Studiando la carta e le montagne mi guardo intorno sognante: “Il prossimo anno mi tocca tornarci portandomi la tenda ed il mio socio siciliano!” Davvero un’ambiente strepitoso: c’è tantissimo da fare qui!
Dai 1800 metri del passo scendo dapprima alla casera e poi, attraverso uno scosceso sentiero attrezzato, fino ai 1200 metri della traccia che da Sappada risale verso la casera Tuglia. Il sentiero è particolare, dapprima segue il letto di un fiume (molto divertente) e successivamente si trasforma in quando di peggio si possa trovare. La traccia infatti scende ripida in una valle umida e coperta di vegetazione bassa, il fondo è fangoso e denso di rocce viscide che rendono insicuro e pericoloso ogni passo. Se a questo aggiungiamo che la valle termina in una scogliera di 40 metri il rischio di scivolare e faresi il tuffo diventa piuttosto concreto: forse conviene evitarlo, quantomeno in discesa (la scogliera finale la si supera seguendo un traverso attrezzato con un cavo metallico).
Lungo questa traccia mi imbatto però in un enorme anfratto e deviando risalgo nella valle fino a raggiungerne l’ingresso. Supero arrampicando alcuni inghiottitoi e vado a dare un’occhiata a ciò che si cela nelle tenebre. Tutta la zona è fortemente carsica e per questo volevo capire che tipo di grotte si possano osservare nella zona.
Quella in cui mi infilo è profonda una ventina di metri e alta una decina: osservandola dall’interno si vede bene come si trovi nel punto di contatto tra due fraglie di roccia e come si sia originata grazie alla corrosione dall’acqua che, dall’alto, filtra attraverso la fraglia. Questo spiega perché la grotta sembri tanto grande dall’esterno ed abbia, invece, un così limitato sviluppo interno. Visto che in grotte simili il tetto tende a venire a basso in grossi blocchi esco con la stessa rapidità con cui sono entrato!
Attraverso un bellissimo e lussureggiante bosco verde risalgo nuovamente alla casera chiudendo l’ampio cerchio con cui ho circumnavigato l’alta piramide del Monte Geu. Dalla casera di Tuglia mi lancio a rotta di collo verso la casera di Colle di Mezzo Dì alto e quindi verso la casera di Colle di Mezzo Dì Basso. Qui mi aspettano Simone, Lucia ed i miei nipotini: alla fine sono uno zio giudizioso! 😉
Davide “Birillo” Valsecchi
Ps: a conti fatti di tranquillo questo giretto ha ben poco!!
La sveglia suona alle sei e mezza ma nonostante tutti i suoi sforzi non riesce a tirarmi giù dal letto: la salita in ferrata del giorno prima mi inchioda tra le lenzuola. Finalmente alle otto mi tiro in piedi ed in compagnia dei miei nipotini mi abbuffo di caffè e biscotti. Simone è anche più incriccato di me ma si offre di darmi un passaggio in macchina fino al “Pian di Guerra” in modo io possa recuperare il tempo perduto in branda: a volte basta davvero aspettare perché i problemi si risolvano da soli!!
Obbiettivo di oggi è il Monte Navagiust (2129m) una montagna dalla forma curiosamente simile ai Corni di Canzo che svetta davanti alle mie finestre fin da quando ero bambino. Navagiust è una montagna verde, sulle cui pendici sud vi sono numerosi pascoli e casere. Sul lato Nord è invece un susseguirsi di strapiombanti pareti di roccia che lo rendono più simile al vicino e massiccio Monte Anvanza (2457m). Le due grandi scogliere rocciose formano la “Stretta di Fleons”, un profondo e suggestivo orrido attraverso cui scorre impetuosa tutta l’acqua raccolta nel bacino della valle Fleons: è proprio alla Stretta che viene incanalata l’acqua imbottigliata dalla famosa ”Goccia di Carnia” (che originariamente fu fondata proprio da un comasco).
Saluto Simone e mi metto in marcia. Lo zaino è leggero ed io sono carico, i passi iniziano a rincorrersi sempre più veloci mentre risalgo verso le casere. Dopo tanti giorni passati tra il ghiaccio e la roccia sono di nuovo nel familiare abbraccio del bosco, tra le luci e le ombre degli alberi. Solo incontrando un piccolo gruppo di escursionisti mi rendo conto di quanto stia “correndo” lungo quella facile mulattiera. In meno di un ora e mezza supero le due casere e raggiungo il famoso e bellissimo lago di Bordaglia.
Dalla casera di Bordaglia di Sopra, quota 1823m, inizia il mio vero viaggio. Risalgo al gioco che conduce al Passo Giramondo e che unisce la valle del Rio Bordaglia alla valle Sissanis iniziando il mio vagare per la cresta. Non ci sono più sentieri tracciati, solo segni del passato tutti da interpretare: mi allontano dagli uomini per addentrarmi nel passato.
Sulla cresta del Navagiust si è combattuto a lungo durante la prima guerra mondiale. In un vecchio libro di mio padre, “La Guerra Bianca in Val Degano”, sono numerosi gli eventi riportati di quelle battaglie. Lassù il fronte è cambiato molte volte e spesso grazie ad atti di grande eroismo ed alpinismo. Una squadra di alpini riuscì infatti a vincere una parete all’epoca ritenuta impossibile da scalare ottenendo così la possibilità di osservare le linee nemiche e rendere possibile un successivo attacco mirato. Ciò che è incredibile è che questi uomini riuscirono, con gli scarsissimi mezzi alpinistici dell’epoca (parliamo del 1915 e di scarponi chiodati!!), a superare un’impegnativa parete di quinto grado sulla cui cima era posta una fortificazione austriaca: salirono di notte, in totale silenzio (quindi niente chiodi, cunei, ecc) e rimasero lassù, nascosti, un giorno intero prima di scendere la notte successiva. Impressionante e terrificante!!!
Con pensieri come questo risalgo la cresta scivolando tra le rocce e le vestigia delle vecchie fortificazioni. Il filo spinato ancora avvolge i passaggi più esposti mentre ciò che rimane dei vecchi avamposti crolla lentamente sotto il peso del tempo. La roccia si fa friabile e gli strapiombi sul versante nord sempre più impressionanti: è in momenti come questi che la parola ”solo” si fa pesante, a volte persino opprimente.
Esploro le prime fortificazioni addentrandomi all’interno quando possibile. Tutto ormai è in rovina, abbandonato da quasi 100 anni. Ogni cosa qui è pericolante ma testimonia ancora il terribile passato di una guerra vissuta a duemila metri di quota a ridosso di una cresta rocciosa. Trovo due gallerie gemelle che, insieme, formano un anello nel cuore della roccia. Nella parte più profonda un ulteriore ramo, ora invaso dai detriti, sembra puntare ancora più in profondità. Nelle gallerie è ormai tutto marcio ed i vecchi puntelli sono ormai crollati, non ci si può addentrare oltre nei segreti della montagna.
Con cautela salgo verso la cima superando tratti di prato e sfasciumi. Qui trovo ancora una postazione in cemento rivolta verso l’Austria. Sulla sommità un croce in metallo adornata con motivi floreali: colpita probabilmente da un fulmine è ormai irrimediabilmente spezzata. Le nuvole all’orizzonte si stanno addensando minacciose e per un istante, solo e lontano da ogni cosa, rimango colpito da quella strana immagine intrisa di passato e presente.
Mi aggiro ancora un poco tra le macerie della guerra, ancora scosso da una certa inquietudine. Poi il vento cambia e l’agitazione scompare. Resto un secondo ad ammirare le montagne ed il mio cuore torna leggero. Ormai è tempo che io faccia ritorno e lasci questi luoghi di un passato lontano. Non posso proseguire oltre verso ovest, la montagna precipita verso il basso in una serie di strapiombi e boschetti pensili: devo tornare sui miei passi ripercorrendo la cresta fino al passo. La discesa si fa leggera e la montagna sembra voler premiare il mio ritorno: tagliando oltre la cresta finisco sopra un piccolo declino coperto da cespugli di mirtilli maturi!!
Mi abbuffo di quei dolci frutti di montagna e raggiungo l’evidente sentiero che risale la valle di Sissanis. Qui piccoli gruppi di escursionisti austriaci risalgono sbuffando mentre io, finalmente, mi concedo un tozzo di pane ed una tazza di te: sono di nuovo tra i vivi!
Davanti a me troneggia l’Avanza e la sua roccia bianca: scendo veloce lungo il sentiero proseguendo leggero fino alla cava di marmo e quindi verso Forni Avoltri. Quando alle due entro in casa sono fradicio di sudore, appoggio lo zaino ed avanzo in punta di piedi per non svegliare i nipotini che dormono. Mi appoggio alla ringhiera ed osservo ancora una volta i due ”corni” del Navagiust: non posso dimenticare che lassù in cima c’è una croce spezzata, forse il simbolo più adatto a ricordare quanto possa essere crudele una guerra.
Il Coglians è il re delle Alpi Carniche, un gigante di calcare bianco le cui potenzialità alpinistiche (e speleo) sono in buona parte ancora da scoprire: la cima simbolo di un territorio tra i più affascinanti e selvaggi in cui ci si possa avventurare. La magnifica arcata di montagne che corre del Monte Avanza al Coglians segna il confine tra Austria ed Italia, confine che ancora oggi mostra i segni della prima grande guerra e delle terribili difficoltà a cui dovettero far fronte i soldati di entrambi gli schieramenti.
Ho affrontato una giornata intera di treno e pullman per poter raggiungere Forni Avoltri e compiere questa salita insieme a Simone. Alle sette meno venti della mattina eravamo al rifugio Tolazzi (1350m) iniziando la nostra marcia verso il Passo Volaia (1970m). Conosco questa valle fin da bambino ma la salita lungo la possente parete Nord del Coglians ancora mi mancava.
Veloci abbiamo raggiunto il passo in meno di un ora e mezza: un caffè ed un saluto al Rifugio Lambertenghi ed abbiamo scollinato in Austria. Oltre il passo da mostra di sé il magnifico laghetto alpino ai piedi del rifugio austriaco. Noi abbiamo proseguito addentrandoci nella valle ai piedi del Coglians e risalendo gli ambi ghiaioni fino all’attacco della ferrata.
La Ferrata parte da 2250metri e spara verso la vetta a quota 2780: una ferrata lunga ed in ambiente che si dimostra da subito appagante ed intensa. Il primo tratto, che parte da un piccolo nevaio, è verticale ed con alcuni passaggi in placca, una salita atletica e molto godibile. Alcuni tratti erano bagnati ma in buona parte era arrampicabile con soddisfazione: c’è un lungo traverso su di una placca inclinata sotto un piccolo tetto davvero spettacoloso!
Superata la prima parte, la più impegnativa, la ferrata prosegue con lunghi traversi e passaggi verticali che, lentamente, la portano a raggiungere la cresta. Una volta sul crinale si inizia a “volare” in equilibrio su abissi di roccia bianca, valli e canali: da entrambi i lati precipizi che superano i cinquecento metri di quota e si aprono su spazi oceanici. Ovunque si guardi è orizzonte e meraviglia!!
Superata la cresta si giunge finalmente alla vetta ed alla caratteristica Campana di cima. Simone ed io, ancora una volta, abbiamo immortalato il gagliardetto della nostra Sezione CAI: che salita gente!
Scendendo dalla via normale (che lo scorso anno avevo percorso ad Ottobre magnificamente innevata) abbiamo raggiunto il Rifugio Marinelli dove ci siamo concessi un paio di birre ed un panino chiacchierando con la mitica Caterina (che gestisce il rifugio) ed alcuni amici del Soccorso Alpino locale.
Valeva la pena? Valeva la pena scendere dal Bernina ed imbarcarsi su un treno per 500km solo per questa salita? Bhe gente, qui è davvero strepitoso! Vale eccome!! Qui con la squadra giusta e tempo a sufficienza c’è davvero l’UNIVERSO da vedere e da fare! (forza bagài, altro che Tibet: io è anni che ve la meno!!)
«Chesta rôba è vecja come ‘na strîa, ma se a s’impîa Il fûc al mostra ce banda cjatâ la via Come la Epifania, Paisàn: la mê strada a è segnada da la magia». Sono sorpreso dalla facilità con cui riesco a comprendere il significato di queste parole figlie di una lingua tanto antica e lontana. Sembra una reminiscenza, qualcosa pronto a riemergere come nativo sebbene non lo sia, o quantomeno non lo sembri. Ma la colpa è di mio fratello: lui è più Carnico di me sebbene nessuno dei due lo sia veramente.
«Quando raccontavi delle tue ultime salite in Carnia si capiva che stavi letteralmente sbavando» Questo è quello che, incontrandomi per strada, mi disse Bruno qualche mese fa . Io ho riso, aveva perfettamente ragione: la mia vera “frontiera” è lassù.
Le Dolomiti Carniche: le montagne della mia infanzia, le montagne che probabilmente metteranno alla prova la mia maturità. Ma non è solo il richiamo dello scintillio di quella roccia o del verde di quei boschi, è qualcosa di più profondo. Dicono che il linguaggio formi il pensiero ed è curioso come io comprenda alla perfezione due dialetti, tra loro incredibilmente distanti, senza riuscire però a parlarne nessuno dei due. Nella mia mente le parole e la forma delle frasi si mischiano dando vita ad una lingua che non esiste ed è solo mia. Birillo è sempre stato un po’ come Balto: sa soltanto quello che non è.
«E quando ho visto che il sole ogni sera si nascondeva volevo solo inseguirlo e vedere lì cosa c’era: il dilemma della provincia finisce dove comincia. La gente che più critichi è quella che ti assomiglia.»
Brucio di desiderio ma ancora non è il tempo: tanto deve essere ancora fatto prima di cominciare quell’avventura. Porta pazienza, Paisan.
Dicono che chi impari ad arrampicare sui Corni faccia scintille quando arriva sulle Dolomiti. Staremo a vedere se è vero 😉
Davide “Birillo” Valsecchi
«Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?» (Dino Buzzati, Ma le Dolomiti cosa sono?)