Il mercato del ferro
Orbene, io ed Enzo dobbiamo costruire un grande cancello in ferro adornandolo poi con disegni e sculture sempre in metallo. Per questo motivo, in compagnia di un’interprete, siamo andati a Stone Town infilandoci nell’affollato e caotico mercato dei Fundi, gli artigiani locali, per comprare il materiale necessario.
La via è sempre trafficata da piccoli carretti, camion e da gente che trasporta sulla testa ogni genere di oggetto. Su entrambi i lati della stradina si affacciano bazar che offrono la più disperata mercanzia: dal edilizia alla carpenteria, dalla ceramica di piastrelle e sanitari fino a tubi in plastica metallo ed ogni sorta di improbabile attrezzo arrivato qui dalla cina.
Da piccolo mi divertivo ad entrare nella ferramenta del “Colombino” per scoprire oggetti ed attrezzi nuovi, qui ho a disposizione un’intera affollatissima via per sbizzarrimi.
Il mercante del ferro era in una bottega molto più piccola di quanto mi sarei aspettato: saliti tre gradini si contrattava su grosse piastre metalliche accatastate mentre nell’interno erano impilati tubi e tubolari da sei metri di lunghezza senza un ordine preciso. Appese alle pareti penzolavano matasse arrugginite di filo di ferro imballate in guaine di canapa: la ruggine e la salsedine iniziavano ad aggredire il metallo appena sbarcato dalla nave e non avevano un gran bell’aspetto. Il confine tra ferramenta e rigattiere era piuttosto labile.
Il primo vero scoglio da affrontare erano le parole: dovevamo cercare di tradurre termini italiani come “putrella”, “verga”, “barra” e “tubolare” prima in inglese e poi in Swahili per poter fare il nostro ordine. Così, per un oretta buona, ci siamo arrampicarci tra le scaffalature gesticolando con il metro e mimando forme e dimensioni. A complicare ulteriormente il tutto ci si sono messe anche le unità di misura: qui usano i pollici e non i centimetri!!
Alla fine l’impervia missione sembrava compiuta ed il nostro elenco ultimato. Dopo i soliti convenevoli abbiamo lasciato il negozio con la promessa di ricevere entro sera il preventivo per tutto il materiale ed il suo trasporto. Era stata dura ma sembrava ce l’avessimo fatta.
Prima di sera riceviamo la telefonata: sette milioni di scellini, più o meno tremila euro. Molto del materiale doveva arrivare da Dar Es Salaam via mare ma, sebbene il cancello sia oltre sei metri di lunghezza, il prezzo sembrava esoso anche per gli standar africani e per tutte le “stecche” che via via si erano certamente accumulate in ogni passaggio della trattativa. Per non saper nè leggere nè scrivere (in Swahili!!) abbiamo preso tempo lasciando in sospeso l’ordine.
Seduti in mezzo al nulla, su una sgangherata panchina di un fatiscente chiosco gestito da un rasta locale, stavamo bevendo birra riflettendo sul da farsi protetti dal sole sotto un’ombrellone di macuti scartato da chissà quale villaggio turistico. Un bambinetto mezzo nudo di tre o quattro anni, il figlio del rasta, ci stava mostrando il suo “missile spaziale” costruito con un pezzetto di carta colorata e qualche legno: il piccolo, nonostante l’età, parlava un’inglese invidiabile dalla maggior parte degli italiani e questo mi fece pensare al nostro povero paese in declino.
Così, in questa scenetta da tardo pomeriggio africano, ci è venuto in mente cosa fare: “Chiediamo al Fundi Mussa!!”.
Mussa era uno dei fundi con cui avevamo collaborato lo scorso anno realizzando sculture in metallo. Era uno dei più capaci e tra i più amichevoli e non sarebbe stato difficile ricontattarlo via telefono:“Hello mussa, here it’s David and Enzo! Can you help us?”.
Gli italiani, nonostante le figuracce nel mondo che ci fanno fare certi vecchi debosciati con l’hobby della politica, sono simpatici a tutti e così Mussa, convenendo che il prezzo era una fregatura, si è offerto di aiutarci nel recuperare il materiale.
Il giorno seguente ci siamo ritrovati a Stone Town con Mussa. Qui è successa però una cosa stranissima: Mussa infatti è entrato esattamente nello stesso negozio del giorno precedente e quando gli ho fatto presente la cosa non si è assolutamente preoccupato: “No Problem David!”
Così abbiamo ordinato esattamente le stesse cose parlando con le stesse persone: tutta la scena si è ripetuta esattamente come il giorno precedente ma l’esito è stato completamente diverso. “Quanto viene tutto?” ho chiesto al Fundi Mussa. Lui mi ha guardato rispondendomi: “due milioni e cento scellini”.
Come il padrone del negozio riuscisse a sorridere sereno dopo aver tentato di “solarci” con tre volte il prezzo ancora mi sfugge, probabilmente è un mistero africano. Pensare che dicono siano gli italiani ad imbrogliare gli stranieri!!
Davide “Birillo” Valsecchi