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In viaggio verso un posto chiamato Casa

In viaggio verso un posto chiamato Casa

Dar Es Salam Airport
Dar Es Salaam Airport

“Tafadali one Cheeseburger and one safari beer. And  Sir, please, take care of my luggage while I’m in wash room. ‘saante…”

Tradotto dall’Inglese/Swahili suona più o meno come “per piacere un panino, una birra safari e, per favore, dia un occhio alla mia roba mentre sono al bagno. Grazie”.

Pisciare in fretta sperando di ritrovare il proprio equipaggiamento uscendo dal bagno del lodge dell’aeroporto: questo è il primo dei piccoli inconvenienti del viaggiare in solitaria.

Già, perché questa volta rientro alla base da solo e, dopo tanto tempo, mi ritrovo a “pascolare” per un aeroporto senza il mio buon vecchio socio.

Enzo “Santos” Santambrogio si è infatti fermato a Zanzibar ben oltre la data di rientro, probabilmente  fino alla fine del mese.

L’ultima sera che abbiamo trascorso insieme era ubriaco di vino bianco, una specie di miraggio per i 40 giorni precedenti, e si era tuffato nudo nella piscina di uno dei più ricchi investitori dell’isola che ci aveva gentilmente invitato nella sua lussuosa villa per festeggiare un compleanno.

La cosa divertente è che quando mi sono avvicinato (più che altro per sincerarmi che non cominciasse a galleggiare a pancia sotto) era persino  riuscito a convincere la donna di un altro italiano, uno dall’aspetto vagamente furioso, a tuffarsi così come mamma l’aveva fatta nella piscina con lui.

Enzo ha ancora le foto di quando mi riportò in camera, trascinandomi per un piede in condizioni penose, alla fine di una festa alla Fenice di Venezia: direi che ora siamo pari…

Ma in fondo va bene: si è dato un gran da fare in queste settimane ed ora si trova tra persone amiche che hanno la mia piena fiducia e che si prenderanno cura di lui ( …non che non se la sappia cavare ma mi piace pensare di non averlo lasciato solo). Dopo tre anni di guai è giusto che si goda un po’ di quiete!

Enzo si ferma sulle sponde dell’oceano per svolgere altri piccoli lavori in ferro e per gettare, forse, le basi per una collaborazione che lo avvicinerà sempre di più all’Africa: non ha bisogno di me e così sono andato a farmi un “giroingiro” come ai vecchi tempi.

Davide “Birillo” Valsecchi

Alba Tropicale

Alba Tropicale

Alba Africana sull'oceano
Alba Africana sull'oceano

Ieri sera sono sprofondato nel mio letto subito dopo cena. Cotto dal caldo e dalla fatica, avevo la schiena a pezzi e mi sono addormentato dopo aver appoggiato la testa e chiuso gli occhi. Quando li ho riaperti erano le tre di notte e tutto era ancora buio: visto che ero sveglio ho puntato la sveglia.

Quando il mio cellulare ha cominciato a vibrare erano le sei del mattino e dalle finestre cominciava a filtrare la prima luce. Ho infilato i calzoni e sono uscito.

Tutto è quieto all’alba, tutto sembra immobile ma in realtà tutto comincia a muoversi sempre più velocemente. Ogni volta che vedo il sole sorgere in Africa rimango sorpreso da come le nuovole comincino a muoversi in fretta, quasi scappano, all’arrivo dei primi raggi di luce. “E’ per via dell’effetto termico” mormora la mia irritante e saccente vocina interiore mentre, distratto, ascolto gli uccelli che si chiamano tra loro in mezzo ai cespugli del giardino.

Cammino lungo le tavole di legno del pontile di Babu Albert e sono di nuovo in mezzo al mare. Le imbarcazioni dei pescatori sono già in viaggio, spinti dal vento del mattino stanno superando la bariera per pescare nell’oceano.

Mi siedo ed aspetto. Sono le sei e ventitrè quando il primo incandescente filamento di luce rossa appare all’orizzonte. Provo a fargli una fotografia con la mia piccola ed ammaccata fotocamera digitale ma, sebbene sia stata con me a seimilametri in Ladakh, non ce la fa a sostenere lo sguardo del nascente sole africano. Tutte le foto si riempiono di luce abbagliante: fogli bianchi pronti a raccogliere la storia di un giorno ancora tutto da scrivere.

Prima o poi avrò una macchina migliore, intanto lascio che siano i miei occhi a godersi lo spettacolo. Poi il cielo forse si accorge di come mi fossi alzato apposta per immortalarlo e, quasi per aiutarmi, spinge un po’ di nuvole là davanti, a coprire un po’ l’irruenza del sole. Tolgo gli occhiali e con le lenti copro il piccolo obbiettivo Zeiss cercando di aiutarlo a reggere la sfida quanto basta.

Qualche scatto buono ci riesce: ti maltratto da tre anni, sei piena di graffi ed ammaccatture ma sei stata brava ancora una volta, mia piccola compagna di avventure.

Tutto avviene in meno di due minuti. Il sole, quando si sveglia, fa sempre in fretta a mostrarsi ed ora è là, già alto sull’orizzonte mentre si lascia guardare da un mondo accecato. Rinfilo gli occhiali, ripercorro il pontile e comincio a salutare le guardie che, stravolte, si risvegliano del turno di notte stiracchiandosi nel loro improvvisato giacilio.

Mi infilo in mensa, mentre Chefu è già all’opera e mi urla: “Karibu!! Madawa, fundi chuma?!” Che significa più o meno “Benvenuto!! Medicina per l’artigiano del ferro?”. Gli faccio segno con la testa mentre il collo mi fa ancora male: “Ndiyo Chefu, Kahawa!!”. Sì Chefu, caffè!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Tropical Dawn
Tropical Dawn
Un cancello di Blue Matisse

Un cancello di Blue Matisse

Questa fotografia è stata scattata da John Stead, un giovane fotografo inglese in viaggio a Zanzibar con cui ho fatto amicizia. Gli ho raccontato del nostro viaggio e del nostro cancello, poi gli ho chiesto: “Scatteresti una foto del cancello per i ragazzi della scuola del mio paese?”.

John è un fotografo professionista ma ha trovato la nostra storia interessante ed ha accettato volentieri di realizzare questa suggestiva immagine partecipando alla nostra avventura artistica in Africa.

Quello che vedete nella foto è il cancello che è stato completato, un’opera ideata da Vivide e realizzata da Enzo (con il paziente aiuto del sottoscritto) per l’ingresso principale del resort cinque stelle che accoglierà la prima Galleria d’Arte Internazionale dell’isola di Zanzibar.

Ecco svelato ciò su cui abbiamo lavorato per tutte queste settimane e per cui siamo stati invitati in Africa.

Davide “Birillo” Valsecchi

Thank you again, John!! Assante sana!!
John Stead WebSite

Il mistero svelato

Il mistero svelato

Quando il “Napoletano” mi ha mostrato questa foto ho capito che non avrei potuto astenermi dal pubblicarla e dallo svelare il suo nome.

Come sapete qui in Africa abbiamo fatto amicizia con un “soggetto” misterioso di cui abbiamo celato l’identità nonostante sia stato protagonista di molti dei nostri racconti. Lo abbiamo chiamato “Il Napoletano” in onore alla sua città natale sebbene da anni viva a Roma.

La donna nella foto è inconfondibile: èuna delle attrici italiane più famose nel mondo ed icona di un cinema che all’epoca faceva scuola a livello internazionale. Lei è di fatto la più grande diva vivente del nostro paese: Lei è Sophia Loren.

Lui invece è il “soggetto” con cui io ed Enzo andiamo a pescare tutti i giorni sul lungo pontile di legno sull’Oceano Indiano e con cui condividiamo buona parte dei quest’avventura africana. Vi avevo anticipato come avesse alle spalle un carriera nel cinema e nella televisione molto importante. Sapevo avesse lavorato con Fiorello in teatro ma non avrei mai pensato di vederlo in una foto simile: questo scatto è del 1989 sul set di Dino Risi dove ha recitato come attore nel remake televisivo de La Ciociara proprio con Sophia Loren: Lui è Fabrizio Rodano.

Sophia Loren difficilmente si concede a simili scatti ma quella volta fece un’eccezione complice, forse, il vino di scena:“Dov’è il ragazzo napoletano che recita nel cast, chiamatelo che voglio salutarlo”. Questo pare sia stata la molla che ha portato l’attenzione di Sophia sul nostro Fabrizio.

Comei ragazzi del corso di giornalismo della scuola media di Asso, che tanto si erano preoccupati per Fabrizio (aka “Il Napoletano”) quando si era arpionato un dito,  voglio fare anche io un’intervista di una sola domanda: com’era?

“Era una donna incredibile, alta e riservata. Avvolta nella sua pelliccia era quasi inavvicinabile e nessuno si azzardava a disturbarla. Aveva un’intera villa a disposizione dove si ritirava appena finile le riprese in cui era coinvolta. Quel giorno nella scena vi era un brindisi con del vino rosso e, ciack dopo ciack, le bottiglie hanno cominciato a svuotarsi. Allegra e sorridente quel giorno era di buon umore ed inaspettatamente mi fece chiamare. Io non mi lascia scappare l’occasione e cominciammo a parlare cordialmente: una donna realmente raffinata ed elegante. Sul set era presente anche  Angelo Frontoni (il fotografo della star più famoso dell’epoca ndr.), e fu Lei a chiedere  di scattare questa foto.”

Ora il segreto è svelato. Benvenuto in squadra Fabrizio!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Big Waves at Nungwi

Big Waves at Nungwi


Quando soffia il Kaskazi, il vento del nord, il mare comincia a scuotersi ed agitarsi. Il tonfo secco e violento delle onde che si rifrnagono sulla scogliera di corallo si sente anche laddove non si può scorgere il mare, testimonianza distratta ma viva della forza dell’oceano quando è solo annoiato.

Booom, Booom. Un suono che senti vibrare nel terreno mentre ti avvicini al pontile di Zalu. Booom, Booom. Mentre cammini sull’ardita costruzione in legno di “Babu Albert” ti domandi come possano i pali di legno scivolare tra la forza delle onde, come possano resistere indomiti ad un urto tanto violento che si schianta sulla roccia cento metri più avanti.

Eppure sei lì, sul pontile, in mezzo al mare che si scuote mentre guardi le onde da un punto di vista impossibile: quello dell’oceano.

Davide “Birillo” Valsecchi

Rudyard Kipling: Se saprai

Rudyard Kipling: Se saprai

Rudyard Kipling
Rudyard Kipling

Se saprai conservare la testa, quando intorno a te
tutti perderanno la loro e te ne incolperanno;
se crederai in te stesso, quando tutti dubiteranno,
ma saprai intendere il loro dubbio;

se saprai aspettare senza stancarti dell’attesa,
o essere calunniato senza calunniare,
o essere odiato, senza dar sfogo all’odio,
e non apparir troppo bello, né parlar troppo saggio.

Se saprai sognare e non rendere i tuoi sogni padroni;
se saprai pensare e non fare dei pensieri il tuo fine,
e trattare questi due impostori nello stesso modo;

se saprai sopportare di sentire quello che hai detto di giusto
falsato da ribaldi per farne trappole ai creduli,
o vedere le cose per cui hai dato la vita, spezzate
e curvarti e ricostruirle con utensili logorati.

Se saprai fare un mucchio di tutte le tue vincite
e rischiarle in un giro di testa e croce,
e perdere, e ricominciare da capo
e non fiatar verbo sulle tue perdite;

se saprai forzare il tuo cuore e i nervi e i tendini
per aiutare il tuo volere, anche quando sono consumati,
e così resistere quando non c’è più nulla in te
tranne che la Volontà che dice “reggete!”.

Se saprai parlare con le folle e mantenere le tue virtù,
o passeggiare coi Re e non perdere la semplicità;
se né nemici, né prediletti amici avranno il potere di offenderti,
se tutti gli uomini conteranno, ma nessuno conterà troppo;

se saprai riempire il minuto che non perdona
coprendo una distanza che valga i sessanta secondi,
tuo sarà il mondo e tutto ciò che contiene,
e – ciò che conta – sarai un uomo, o figlio!

Rudyard Kipling

Questa è la seconda volta che cito Kipling. La prima ero in India. Questa poesia è strana, alle volte la guardi, spesso stampata su improponibili piastrelle da appendere, e ti sembra la cosa più stupida e banale del mondo. Altre volte, leggendola, ti commuove quasi alle lacrime giungendo come pioggia nella stagione arida.

Mi piaceva riportarla qui, mentre i piccoli giornalisti seguono le nostre avventure africane, perchè anche loro possano conoscerla, per donarla loro per la vita affinchè ne traggano ispirazione quando più ne avranno bisogno.

Davide “Birillo” Valsecchi

Asso chiama Zanzibar #06

Asso chiama Zanzibar #06

I ragazzi di BlogGiornalismo
I ragazzi di BlogGiornalismo

Asso incontra l’Africa – [In collaborazione con il laboratorio di giornalismo della Scuola Media di Asso coordinato dalla Professoressa Giulia  Caminada ecco i nostri racconti di viaggio dedicati ai giovani giornalisti]

I giovani giornalisti di Asso mi hanno inviato le domande per gli amici di “African Voices”, il portale dedicato all’Africa, a chi ci vive, a chi ci lavora e a chi l’ha nel cuore.

Con queste domande i giovani di Asso intendono capire ed esplorare il grande continente con l’aiuto e la collaborazione di quanti (…e parrebbero essere tanti!!) sapranno condividere con loro la propria conoscenza e le proprie esperienze.

Ora la palla passa a Marco Pugliese, colui che ha dato vita e che gestisce “African Voices”. Ora tocca a lui coordinare i suoi oltre dodicimila lettori cercando le risposte per questi giovani ansiosi di imaparare.

Ecco le domande:

1- Seguiamo in televisione i fatti che hanno coinvolto negli ultimi giorni il nord Africa. Sappiamo che in Africa si stanno combattendo molte guerre da più parti. Ci piacerebbe capire la situazione attraverso persone che vivono queste ore drammatiche.

2- L’Africa ha un’agricoltura povera, conosciamo il commercio equo-solidale e sappiamo che il sottosuolo è ricco di molti prodotti naturali che sono venduti dai capi degli stati africani alle multinazionali mentre la popolazione rimane in situazione di difficoltà di sussistenza. Perché gli abitanti non si ribellano a questa situazione?

3- Quando pensiamo all’Africa pensiamo alla fame e a bambini che non riescono a diventare grandi per la malnutrizione. Com’è la situazione reale legata alla mancanza di cibo e di acqua? Questa situazione è legata all’Africa nera o è generalizzata?

4 – Una grande piaga dell’Africa è l’aids. La popolazione ha paura di contrarre questa malattia? Ci sono dei piani dei governi per migliorare la situazione?

5 – Negli ultimi anni si è assistito ad un forte aumento del fenomeno dell’immigrazione clandestina. Molti immigrati giungono sulle nostre coste attraverso imbarcazioni gestite dalla criminalità organizzata, rischiando anche di morire durante il viaggio della speranza. Nel nostro mondo, molti vengono spesso sfruttati nel campo della prostituzione, dello spaccio di droga, furti o accattonaggio, lavoro nero, ecc. Chi emigra perché lo fa? Cosa spera di trovare?

6 – Sappiamo che in Africa non ci sono le città, o meglio, le città africane non sono come quelle europee che conosciamo. Come sono le città africane? In quale parte dell’Africa le popolazioni vivono ancora nelle tribù? Come si svolge la vita tribale?

7 – Crediamo che il Sud Africa sia un’area ricca per i diamanti e le ricchezze del sottosuolo. È vero? La ricchezza ricade sulla popolazione? Esiste ancora nel Sud Africa la segregazione razziale?

8 – Ci sono molti parchi nazionali? Se si, quali animali o vegetali vi sono? C’è il divieto di caccia? Com’è la situazione dei rinoceronti a lungo sterminati per prelevare a loro il corno? È vero che molte sono le persone che muoiono schiacciate dagli elefanti in corsa?

9 – C’è un genere che si chiama “musica africana” e “arte africana”? Che tipo di musica o di arte è?

10- Ci interessa conoscere monili, gioielli e oggetti ornamentali che indossano uomini o donne nelle diverse tribù e che fanno parte della loro tradizione culturale. Ci sono popolazioni che si decorano il corpo colorandolo in vario modo?

Extra – Diteci dell’Africa quello che volete dirci. Quest’ultima è una domanda aperta. Sarà una domanda che formuleremo alla fine, dopo aver letto quello che avrete voluto scriverci.

Le avventure di Babu Bla Bla

Le avventure di Babu Bla Bla

Babu Bla Bla
Babu Bla Bla

Ogni giorno il vecchio Babu Bla Bla arriva in cantiere con la sua scassatissima bicicletta. Sul porta pacchi ha sempre con sè qualche dorado o qualche tonno da cinque o sei chili che viene a vendere a Chefu, il cuoco.

Il rito del vecchio Babu Bla Bla è ormai una tradizione quasi giornaliera, immutabile giorno dopo giorno.

Babu Bla Bla entra dal cancello, quello che ora abbiamo fatto noi, spingendo la bicicletta e sorridendo con il suo capellino e con gli occhiali da sole alla Ray Charles. Si piazza al fianco di Enzo, che di solito a quell’ora traffica con la saldatrice, cominciando a raccontare di come abbia catturato i pesci che ha portato con sé.

In effetti i pesci sono abbastanza grossi, lunghi quasi un metro e caricati a cavalcioni sul portapacchi posteriore: è impossibile non essere incuriositi da Babu Bla Bla.

Il vecchio quindi comincia, giorno dopo giorno, a raccontare di quanto lunga fosse la sua canna e di quanto forte il pesce tirasse mentre lo catturava. Se gli chiedi dove l’abbia preso ti risponde puntando il dito verso il mare aperto descrivendo la piccola barca a vela con cui ogni giorno esce a pescare.

Babu Bla Bla racconta un po’ in inglese ed un po’ in swahili la sua grande avventura di pesca e raccoglie con gioia i complimenti che, giorno dopo giorno, gli facciamo in rispetto e stima di come nonostante l’età sia ancora un valente pescatore. Bubu Bla Bla ride e spesso si fa offrire qualcosa da bere, un bicchiere d’acqua o magari anche della soda.

Babu Bla Bla ha preso di mira Enzo, il fundi welding, perchè alla fine di ogni sua storia indica un punto della propria bicicletta e chiede ad Enzo di ripararglielo con una saldatura: ormai la bicicletta di Babu Bla Bla brilla al sole per l’enorme quantità di saldature e moltature con cui, giorno dopo giorno, Enzo l’ha riparata.

Quando Babu Bla Bla arriva in cantiere tutti i fundi, i ragazzi tra i venti e venticinque anni che lavorano con noi, accorrono per vedere come Babu Bla Bla descrive la sua battuta di pesca ai due “mzungo” che lavorano il ferro e costruiscono i cancelli con le figure strane.

Si fermano, ascoltano e ridono: le storie di Babu Bla Bla sono sempre divertenti ed affascinanti, sopratutto perchè Babu Bla Bla non è mai andato a pescare in vita sua e, giorno dopo giorno, fa la spola tra il porto e la nostra mensa spingendo la sua bicicletta su per la polverosa strada che conduce in cantiere.

Babu in swahili significa “nonno” e “Bla Bla” è inevitabilmente l’onomatopeico per “chiacchierone”. Babu non sa che noi sappiamo ed ormai abbiamo cominciato a volergli bene e, giorno dopo giorno, ascoltiamo le sue storie, ripariamo la sua bicicletta e lo immaginiamo mentre veleggia sulla sua grande barca a vela indossando i suoi occhialoni mentre combatte con i grandi pesci del mare.

Davide “Birillo” Valsecchi

«Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un’altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all’albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand’era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne.»

L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non può essere sconfitto.

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