Le vestigia dei vecchi castelli della valle spesso sono considerati ruderi di tempi andati, troppo spesso dimentichiamo che la Brianza finisce alla Cascata della Valategna, che non fummo fatti per essere mangia nebbia con il naso fisso sul libro dei conti, che il passato che ci precede è denso di storia e d’eroismo. Dimentichiamo che siamo una popolazione che ha saputo difendere nel tempo la propria terra, i monti che dominano la terrazza lagustre più famosa al mondo, il nostro Lario di cui la Valassina ne è il cuore.
E quando questo avviene conviene riaprire il libro per sfogliarne le pagine. Il libro è indubbiamente “Memorie storiche della Valassina” scritto nel 1796 da {it:Carlo Mazza} , prevosto della Pieve di Asso:
“Anno 1311 – In quest’anno, come rileviamo dal proclama di scomunica contro {it:Matteo_I_Visconti|Matteo Visconte} , la Valassina e tutte le altre terre furono, da Matteo, date in preda e dominio ai vari capitani e parenti, nonostanti le promesse che quell’ipocrita aveva giurate al predetto Arcivescovo Cassone Toriani, in faccia all’Imperatorie, di rispettare per sempre i di lui possessi.
L’invasore della Valassina fu {it:Facciolo della Pusterla}, Milanese, uomo guerriero e feroce che, dopo due anni restò prigioniero dei Torriani nella battaglai data presso il Tesinello. Costui con un corpo di truppe datagli da Matteo, si portò in Valassina per prendervi possesso; ma – trovandovi armati gli abitanti che gli fecero valida resistenza – mise a rubba ed incedio solo quelle nostre terre che non trovò ben presidiate.
Succedettero molte mischie sanguinose tra gli invasori ed i nostri armati, i quali – superchiati finalmente dal numero – dovettero ritirarsi nei nostri Castelli. Di là correvano addosso ai nemici, e ne tagliarono a pezzi un gran numero, finchè li costrinsero – dopo varie sconfitte – ad abbandonare il nostro Paese e a ritirarsi a Fologgio.
Scacciato il primo usurpatore, gliene successe un altro ancora peggiore, e fu certo Matteo Visconte – Sacerdote e Cimiliarca della nostra Metropolitana – uomo pieno di mal talento, e già scomunicato altre volte dall’Arcivescovo Francesco per violenze usate contro il suo Vicario Generale. Questi, coi soldati del Signore di Milano suo parente, aveva già invasi ed usurpati i possessi dell’Arcivescovado di Lecco, Bellano e Pusiano.
Volle però impadronirsi anche della Valassina, a cui fece molti danni: incendiò alcune terre e le saccheggiò. I nostri, bravi, non istettero con le mani alla cintola, ma in varie battaglie gli fecero costare molto sangue le sue rapine, e lo obbligarono finalmente a fuggire, perduta la voglia di più ritornarvi.
Io credo che debbansi riferire a quest’epoca le sanguinose mischie accadute sotto i due Castelli di Barni, allorchè i nostri armati piombarono addosso ai loro assediati e ne distesero morti sul campo 200, fugando gli altri, come porta la popolazione tradizionale.” ( {it:Carlo_mazza| C.Mazza} )
Forse il tempo in cui si usava “tagliare a pezzi un gran numero” è passato, ma l’orgoglio che ci deve legare al nostro territorio deve restare vivo ed appassioanto perchè non è nostro costume “stare con le mani alla cintola”.