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Corna di Medale: Via Cassin

Corna di Medale: Via Cassin

«Vista dai più alti sobborghi di Lecco, la Corna di Medale si presenta come un ciclopico muro. Per quattrocento metri a picco si erge sopra Malavedo e sembra un unico lastrone di calcare. Se la si guarda pare protendersi, sporgendo in alto e rientrando alla base, ma quando la luce radente ne svela i segreti, l’occhio che la percorre scrutandola nota i punti più facili ma anche i più difficili, che sono i tetti: ed a quei tempi per vincerli non conoscevamo né la manovra della doppia e tripla corda, né le staffe.» Riccardo Cassin

Rileggere il diario di Riccardo Cassin è certamente il modo migliore per avvicinarsi alla grande parete che sovrasta Lecco e che è stata lo scenario della prima importante via tracciata da questo gigante dell’Alpinismo Mondiale.

Nel suo diario troviamo il racconto dell’assalto in tre atti portato alla parete: il primo nel 1930, quando Cassin fece il suo primo “volo” restando ferito al volto da una roccia; il secondo, nel 1931, insieme al “Boga” in cui furono sorpresi dal temporale e costretti a bivaccare in parete accucciati in una piccola nicchia; il terzo, quello decisivo, portato la domenica successiva, in cui la parete fu finalmente vinta.

Trecento sessanta metri di parete e dodici tiri di corda: ecco quello che appare quando ci si trova alla base del Medale con il naso all’insù e l’imbrago alla vita. Nonostante il tempo, l’unto e gli stereotipi, affrontare la Cassin al Medale significa addentrarsi nella Storia alpinistica con la “esse” maiuscola.

Via Cassin – Corna di Medale

«… i particolari di questa salita sono talmente impressi nella mia memoria che nel rammentarli ho la sensazione di viverli nuovamente;… la soddisfazione provata nell’aver superato il caminetto del masso che mi volò addosso nel primo tentativo…; le luci familiari del nostro sobborgo…; un enorme masso a tetto, che sembra ostruire la via; la fenditura che permette il passaggio a destra, dove il masso si appoggia alla parete, lo spigolo che porta all’antecima e finalmente la vetta!». Riccardo Cassin

Molti passaggi sono resi sdrucciolevoli dall’unto che ormai ricopre la roccia e spesso si è costretti a riparare fuori via o ad azzerare (il traverso ormai è una pista da pattinaggio: si è costretti ad attaccare in verticale!). Buona norma è quindi considerare un grado in più rispetto alle difficoltà dichiarate.

Nonostante questo appare evidente in tutta la sua magnificenza come i “Grandi” siano davvero “Grandi”. Immaginare un giovanissimo Cassin che negli anni 30 arrampica a vista su una simile parete inviolata, un colossale muro che per ben due volte lo ha respinto in modo brutale, ci dà la misura della sua eccezionalità alpinistica.

Trovarsi accanto alla grotta in cui Lui ed il Boga bivaccarono sotto l’acqua è stato come visitare un santuario. Nonostante l’unto è stata una salita fantastica e spesso, concentrato sui movimenti, mi sono ritrovato a mormorare: «Signor Riccardo: accidenti che passaggio! Accidenti davvero!!»

Davide “Birillo” Valsecchi

Come sempre un ringraziamento a Mattia che ancora una volta si è dimostrato un eccellente capo-cordata. (Lui non ha avuto bisogno di azzerare nulla…)

Il tempo dello Zaire e la storia del Congo

Il tempo dello Zaire e la storia del Congo

Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga, letteralmente “Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo”. Mobutu è un singolarità storica quasi unica: divenne Presidente della Repubblica Democratica del Congo nel 1965 tramite un colpo di stato, una volta raggiunto il potere cambiò il nome della nazione in Zaire.

Andiamo però con ordine: il Congo aveva da pochi anni ottenuto l’indipendenza dal Belgio ed eravamo in piena Guerra Fredda. Patrice Lubumba, Primo Ministro democraticamente eletto dal popolo conolese, sfidò l’autorità belga che ancora controllava buona parte del paese. Il Belgio rispose inviando truppe nel territorio del Katanga, ricco di miniere estrattive, sobbilandone la ribellione.

Come ho detto era il tempo della Guerra Fredda e l’Africa era un teatro strategico. Mentre Ernesto Che Guevara esaltava la figura di Lubumba la CIA armava i suoi oppositori, tra i quali sopratutto Mobuto. Lubumba fu ucciso nel 1961, il mandante era Mobuto appoggiato da Francia e USA. Per anni in Congo corse la voce, probabilmente infondanta, che Mubutu avesse perfino commesso cannibalismo con il cadavere di Lumumba.

«Ma la filosofia della depredazione non solo non è cessata, anzi continua più forte che mai e, per questo, le stesse forze che si servirono del nome delle Nazioni Unite per perpetrare l’assassinio di Lumumba, assassinano oggi migliaia di congolesi in nome della difesa della razza bianca. Come è possibile dimenticare il modo in cui fu tradita la speranza che Patrice Lumumba pose nelle Nazioni Unite? Come potremmo dimenticare gli intrighi e le manovre che seguirono all’occupazione di quel paese da parte delle truppe delle Nazioni Unite, sotto i cui auspici agirono impunemente gli assassini del grande patriota africano?» Questo fu il commento di Che Guevara nel suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU l’11 dicembre 1964.

Mubuto nel 1965 prese il potere con un colpo di Stato e nel 1971 cambiò il nome del paese in Zaire. Cleptocrazia, dal greco: κλέπτω “kleptō” e κράτος “kratos”, ovvero governo del furto. Una forma di governo che rappresenta il culmine della corruzione politica e che rappresenta una forma estrema dell’uso del governo per la ricerca della rendita: lo Zaire e Mubuto sono annoverati tra i più infausti esempi di questo tipo.

Mubuto governò per anni arricchendosi smisuratamente e trascinando il paese sempre più a fondo nella crisi economica e sociale. Nonostante questo Mobuto si proponeva alla comunità internazionale come un esempio della decolonizzazione africana. Fu invitato a tenere un discorso alla Casa Bianca ed organizzò, a fini propagandistici, il celebre “Rumble in the Jungle”, il più famoso incontro di Boxe della storia tra Muhammad Ali e George Foreman.

Gli USA sostenevano attivamente Mobuto sia per la sua funzione anti-URSS, sia per controllare la stabilità dello sfruttamento delle risorse africane da parte delle multinazionali straniere. Per anni Mobuto fu considerato dai paesi Occidentali il più rispettabile politico africano. Oggi, che i tempi sono cambiati, tutti sono propensi nel definirlo un “corrotto dittatore cleptomaniaco”.

La caduta del muro di Berlino fu per Mobuto l’inizio della fine. Il suo “regno” terminò quando nel 1996 Laurent Kabila, alla guida dei Tutsi in guerra contro gli Hutu, diede inizio alla Prima Guerra del Congo contro Mubuto. Nel 1997 Kabila entrò a Kinshasa diventando il nuovo leader delle riproclamata Repubblica Democratica del Congo. Nel conflitto furono coinvolti anche Burundi, Uganda e Ruanda. Mubuto fuggì dal paese per rifugiarsi in Marocco e morire di cancro.

Laurent Kabila
Laurent Kabila

Kabila si dichiarava marxista ma la sua politica fu un misto fra capitalismo e collettivismo, molti lo accusarono di non differire dal suo predecessore in termini di repressione, autoritarismo e indifferenza verso i diritti civili.

Al nord intanto, sul confine con il Ruanda ed l’Uganda, le tensioni interne tra le entie Tutsi iniziarono ad avere il sopravvanto e le spinte seccessioniste ed indipendentiste diedero il via alla Seconda Guerra del Congo. «La gente deve prendere un machete, una lancia, una freccia, una zappa, vanghe, rastrelli, chiodi, bastoni, ferri da stiro, filo spinato, pietre e roba simile, per poter, cari ascoltatori, uccidere i tutsi rwandesi.» Questo era il messaggio che trasmetteva la radio congolese incitando alla resistenza contro l’invasione da parte del Ruanda. In molti dicono che furono i diamanti ed il petrolio di quei territori contesi il vero motivo per cui i dittatori riacceso con tanto furore l’odio etnico di quella gente.

Nello scontro rimsero coinvolti sempre più nazioni destabilizzando tutto il centro Africa: Namibia, Angola, Zimbabwe, Ciad, Libia e Sudan presero parte agli scontri tra Congo, Ruanda ed Uganda. Lo scenario del conflitto si allargò in modo preoccupante e nel 2000 l’ONU decise di inviare una forza di 5.537 soldati, la “Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo”, conosciuta con l’acronimo francese MONUC.

Nel 2001 Laurent Kabila venne ucciso da un membro della sua scorta. Il parlamento votò all’unanimità che il figlio, Joseph Kabila, divenisse il nuovo presidente del paese. Il giovane Kabila aveva studiato a Dar Er Salam e a Mbeya, in Tanzania, aveva preso parte alla Prima Guerra del Congo e, raggiunta la maggiore età, aveva studiato per anni all’Università Nazionale di Difesa di Pechino, in Cina. Qualcuno, anche in base alle scarse informazioni sulla sua età e sul suo passato, ha messo in dubbio che Joseph sia realmente il figlio di Laurent ma, essendo egli tutt’oggi in carica, è un argomento che difficilmente può essere trattato, specie se c’è la Cina di mezzo.

Nel 2002 vennero firmati il Trattato di Pretoria e la Pace di Luanda:  due trattati di pace che posero fine ai conflitti tra la repubblica democratica del Congo, Ruanda ed Uganda. Nel 2008 si stimò che la guerra avesse causato circa 5,4 milioni di morti, in gran parte dovute a malattia e fame: per questo motivo la seconda guerra del Congo è stata il conflitto più cruento svoltosi dopo la seconda guerra mondiale

Dal colpo di stato di Mubuto nel 1965 il Congo ha attraversato guerre, dittatori e scontri etnici, un paese conteso e stritolato da forze immani come gli USA, l’URSS ed oggi anche la Cina. Nessun paese al mondo avrebbe potuto prosperare in uno scenario tanto duro. Il futuro è ancora tutto da scrivere e le elezioni del 28 Novembre ce ne riveleranno una parte.

Davide Valsecchi

Sic transit gloria mundi

Sic transit gloria mundi

Non giriamoci intorno: a tutti tocca morire prima o poi. Spesso il modo in cui abbiamo vissuto determina gli ultimi attimi della nostra vita. C’è chi muore tra le braccia di chi lo ama e chi viene giustiziato dalle mani di chi lo odia. Quando non è per sorte avversa è il frutto delle proprie scelte.

La tecnologia moderna ci ha permesso di vedere un dittatore ferito e trasportato prigioniero sul cofano di un fuoristrada, ce lo ha mostrato sanguinante ed urlante poco prima dell’attimo finale. Non ho provato nè pena nè gioia, non c’è orrore nel vedere un vecchio di 69 anni raccogliere i frutti dell’operato di una vita intera.

Quegli infiniti attimi di terrore che i suoi carnefici gli hanno inflitto sono molto più di quanto egli abbia mai concesso alle sue innumerevoli vittime. Resta da sperare che supplicando per la propria vita abbia finalmente compreso l’assurdità delle sue passate gesta.

Quello che è certo è che con il dittatore muoiono i suoi segreti, gli orrori e gli inganni di oltre trent’anni di storia. Comunque sia non c’è giustizia in questo mondo.

Ciò che però ancora mi stupisce è l’ingordigia, la fame di potere e l’orgoglio di questi individui. Perchè non desistere? Perchè non fare un passo indietro? Possiedono oltre l’immaginabile ed ancora bramano. Perchè morire in una buca supplicando pietà quando avrebbe potuto semplicemente liberare il suo popolo e passare sereno gli ultimi anni della propia vita scappando con i soldi? Perchè non sono in grado di capire quando fermarsi? Quale folle idea inseguono?

“Come sono effimere le cose del mondo”, incredibile che simili parole provengano da chi ha fatto dell’effimero la propria religione. Inqualificabile come al solito.

Ma non voglio dire la mia in merito a questo o ai rapporti che avuto l’Italia con Gheddafi. Lascio che a pronunciarsi, a stracciarsi le vesti, sia qualcun’altro. Vi riporto qui solo un articolo pubblicato su Famiglia Cristiana, lettura per me un po’ inconsueta, scritto da Alberto Bobbio. Mi piace il suo uso del latino:

[Articolo Originale] Da uno che ha baciato l’anello al dittatore di Tripoli in vita non potevamo aspettarci che un glorificazione in morte: “Sic transit gloria mundi”. Silvio Berlusconi non ci ha nemmeno pensato un attimo e la sua frase ha fatto immediatamente il giro del mondo. Ma lui è abituato così. Parla “apertis verbis”, insomma chiaro e franco, come nella recente occasione del nome del suo nuovo partito. E lo fa “coram populo”, senza chiedersi “cui prodest?”, senza assolutamente riflettere, almeno una volta, “cum grano salis”.

Certo “de gustibus non disputandum est”. Eppure sarebbe meglio farlo: “Sapiens ut loquatur multo prius consideret” (un sapiente prima di parlare deve molto pensare). Ma non sembra la regola del nostro Presidente. Forse, dopo quel baciamano, era naturale associare gloria a Gheddafi: “Promissio boni viri est obligatio”. (Le promesse delle persone per bene sono un impegno che va mantenuto). Anche con una fulminea dichiarazione “post mortem”.

Il Cavaliere parla “pro domo sua”, “sic et sempliciter”, anzi “ridendo dicere verum”, “sine ira et studio”, neppure “una tantum”. E non lo fa “obtorto collo”, ma, “mirabile visu” (cosa incredibile a dirsi), insomma “more solito”, “ex abrupto” (all’improvviso) “ex abundantia cordis” (dal profondo del cuore).

Cosa c’è stato tra lui e Gheddafi? Forse un “do ut des”? Se fosse vero sarebbe stato meglio una “damnatio memoriae” piuttosto che esercitarsi nel “carpe diem”, nel cogliere l’attimo di una dichiarazione “ad hoc” sicuramente ed esageratamente “ad abundantiam”. Tutto questo “absit iniuria verbo”, sia detto senza offesa.

Il ticket della libertà

Il ticket della libertà

I fatti degli ultimi mesi sono colmi di scontri di piazza, di riottose manifestazioni di protesta contrastate dalle forze dell’ordine tra i chiarori dei flash. Confesso che adoro le foto che appaiono sui giornali o sul web: mi affascinano le luci, le fiamme, le ombre, le divise e la drammaticità. Per i fotografi nostrani è fantastico: un comodo “vietnam” domestico senza le seccature ed i moralismi di una guerra con morti veri. La mattina sul “campo di battaglia”, la sera nella comodità di casa propria: periodo magnifico per i reporter.

Però non esageriamo, il Vietnam è un altra cosa ed altrettanto sono le rivoluzioni che sconvolgono il Nord Africa. In Grecia cominciano a far sul serio ma, si sà, i greci sono un 50% ateniesi ed un 50% spartani: per questo sono precipitati nel Default e per questo si faranno massacrare nelle piazze.

In Italia invece si gioca a torello sulle spalle di qualche poveretto che ha parcheggiato facendo attenzione solo al lavaggio strade. Si fa cagnara lasciando che i bambini si rincorrano a “guardia e ladri” mentre gli adulti, resi impotenti e poco lungimiranti dalla scarsa qualità della politica nostrana, si fanno mestamente condurre come pecore in greggi. Il più delle volte vanno al macello cantando e sventolando bandiere mentre i lupi si nascondono nei loro festanti ranghi o li osservano sereni e compiaciuti dai palazzi.

Tuttavia, signori miei, in questi mesi eminenti senatori hanno prostituito il proprio ruolo sotto gli occhi di tutti. In parlamento si pone la fiducia al miglior offerente, nell’emiciclo non paiono esistere più ideali da seguire se non il personale tornaconto. Onestamente come si fa a non essere incazzati? Si aspettavano davvero che nessun “povero cristo” provasse ad entrare nel tempio per rovesciare tale abominevole mercato? Il teatrino si ripeterà forse all’infinito: gente che crede di essere abbastanza disperata o coraggiosa da farsi crocifiggere ce ne è in abbondanza e l’ingordigia dei politici sembra senza fine. No, questo è solo l’inizio.

Roberto Maroni è il ministro dell’interno, è bravo quando fa il tastierista nei Distretto 51 ma non saprei giudicarlo nell’attuale gestione dei tafferugli di piazza. Lui stesso, nel 1998, fu condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Pena che successivamente fu convertita in una multa da 5.320 euro. Forse è per questo che ora sventola questa curiosa idea della “copertura patrimoniale” per poter accedere ad una manifestazione: in pratica se hai i soldi da lasciare a caparra, un paio di migliaia di euro a testa, puoi comprarti il diritto a protestare, se i soldi non li hai conviene tu stia zitto e quieto. Lui i soldi pare li abbia avuti e, visto che ora è ministro, sembrerebbe che furono anche ben spesi.

Una democrazia a sbarramento economico: strana deriva berlusconiana del pensiero leghista che, non più di una decina di anni fa, predicava incredibilmente di attaccare Roma con le baionette:«La lega avanzerà baionetta in canna paese per paese, villaggio per villaggio. Andremo a snidare anche nel profondo sud la partitocrazia!» Parole al vento visto che oggi in parlamento, dopo vent’anni, non solo comandano ancora i partiti ma gli stessi partiti ora non sono più popolati dagli eletti dal popolo ma dai figli, dalle amanti e dai faccendieri dei grandi leader. Partitocrazia ereditaria per uso personale…

Strano paese il nostro. Tutti stanno a guardare i sintomi e nessuno presta alcuna attenzione alla malattia. Come possono trovare la cura? Il paese è ora una gigantesca pentola a pressione al cui interno l’acqua sta andando in ebollizione. Tutti si preoccupano di zittire il fischio della valvola quando dovrebbero invece tentare di spegnere il fuoco. La valvola sta fischiando ma non è ostruendola che si eviterà l’esplosione. Tuttavia, sinceramente, credo che quelli che ci stanno svuotando la dispensa questo lo sappiano benissimo: per questo si affrettano!

I leghisti hanno predicato per anni che avremmo dovuto essere pronti a ribellarci agli abusi ed alle ingiustizie di uno stato disonesto e corrotto, essere pronti a schierarci contro i politici conniventi e spregiudicati che tengono in ostaggio il nostro futuro. Forse non sapevano affatto di cosa stessero parlando ma credo che la gente, da nord a sud, abbia ora davvero iniziato a dargli retta.

Questa è l’Italia, un paese di poeti, cialtroni ed avventurieri. Staremo a vedere…

Davide Valsecchi

«Abbiamo il dovere morale di liberare il nostro popolo da questa Italia schiavista. Il potere colonialista imbecille non capisce che il popolo aspetta solo il momento per attaccare, e quel momento verrà.» U.Bossi 2007 – Ministro per le riforme istituzionali.

Il terremoto di Scarenna

Il terremoto di Scarenna

Qualche tempo fa, precisamente il 10 giugno 2011, è apparso su La Provincia di Como un articolo dal titolo “Asso: misteriose scosse e le case tremano”.  Durante quelle settimane, infatti, in molti avevano percepito vibrazioni o scosse che avevano fatto tremare la propriacasa nella piana di Scarenna.

All’epoca ero impegnato nel viaggio dei Flaghéé  e non avevo potuto occuparmene ma in questi giorni ho fatto qualche piccola ricerca, complice soprattutto la lieve scossa avvenuta a Lecco il 23 Giugno 2011.

Tempo fa scrissi un articolo intitolato “Terremoti in Italia e ad Asso” in merito ad una ricerca da me condotta sugli eventi sismici avvenuti nella storia di Asso. Spulciando tra gli archivi ho trovato quattro eventi nell’arco di 124 anni: 6 Aprile 2001, 24 Aprile 1918, 5 Marzo 1894 e 20 Maggio 1887.

La prima verifica che ho fatto in merito ai fatti di Giugno è stato visionare le registrazioni della Rete Sismica del Centro Geofisico Prealpino di Varese, il dipartimento dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia più vicino a noi: tra i dati non vi è nulla che rilevi attività sismica di rilievo.

Storicamente Asso non è mai stato l’epicentro di un sisma di alcun tipo ed è difficile pensare che vi sia stato un fenomeno sufficientemente intenso da essere avvertito ma allo stesso tempo tanto limitato nell’estensione. No, l’ipotesi terremoto non trova fondamento nei dati.

Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che possa essere colpa di crolli nella montagna ma anche in questo caso se fossero stati interni, grotte che cedono, sarebbero stati registrati dai sismografi mentre se fossero stati crolli esterni, massi che vengono a valle, sarebbero stati di dimensioni tali da non passare inosservati. Un esempio su tutti la frana del 14 Gennaio 2010.

Pensare che i para-sassi abbiano fermato qualcosa di abbastanza grande da scuotere le case è improbabile e facendo “due passi” sotto la roccia non ho trovato nulla di simile anche perché, se così fosse avvenuto, le protezione avrebbero avuto bisogno di riparazioni e messa in sicurezza.

No quindi, niente sassi e niente terremoti. La risposta me l’ha data forse un anziano di Scarenna: “Tanti anni fa, quanti non so dirteli, tutti i terreni di questa parte di Scarenna erano di proprietà della Curia e per questo il Lambro, che prima scorreva da questa parte, è stato deviato perché i campi potessero essere usati. Se scavi un metro e mezzo qui trovi l’acqua ed il terreno è tutta marna che drena l’acqua e si muove”.

Nel 1939, come riportato sulla Chiesetta di Scarenna, vi fu una grande esondazione che creò davvero grossi problemi alla gente della piana. L’idea che il fiume avesse un altro corso è abbastanza fondata, a conferma di ciò basterebbe osservare come Via per Caslino e Via de Gasperi siano “infossate” sotto la montagna rispetto al fiume e di come oggi l’acqua piovana che scende in ben visibili cascate dal fianco del monte Pizzallo non trovi sfogo in alcun tipo di corso.

Molti dei miei libri sono ancora imballati dall’ultimo trasloco e quindi ora non saprei dirvi il periodo strorico in cui è stato deviato il fiume né darvi conferma che ciò sia davvero avvenuto. Parliamo di fatti risalenti probabilmente a duecento o trecento anni fa se non adirittura al 1500. Quello che posso dirvi ora è che è molto probabile visto che Scarenna è sempre stata zona di marcite.

Ho quindi cambiato approccio e consultato l’archivio fotografico del Ministero dell’Ambiente dove sono conservate le ortofoto e le foto aeree storiche anche del nostro territorio. Ho trovato una foto del 1988 della piana, che vedete qui sopra in bianco e nero, ed ho potuto fare qualche osservazione.

Le “case rosa”, dove è stato avvertito più forte il fenomeno, sono le costruzioni moderne più vecchie e grandi  di una piana altresì composta da piccole casette e campi.  Guardando dall’alto ci si accorge come le case rosa sembrino proprio al centro di quello che potrebbe essere un ipotetico corso del fiume che raccolga le acque della montagna proseguendo poi verso la gola di Caslino.

Vista la natura del territorio è possibile quindi pensare che i tremori siano stati causati da scosse di assestamento di queste relativamente vecchie strutture. Quindi che si fa? Non ho idea, certo è che se il fiume non fosse stato deviato in tempi antichi il problema dell’acqua, dei sassi ed ora anche delle scosse non si sarebbe forse verificato a Scarenna.

Come dimostra la foto la “Cittadina di Scarenna” è piuttosto giovane ed è quindi difficile comprendere cosa possa succedere. Se il “clima” assese fosse diverso si sarebbe potuto coinvolgere qualche Università o qualche Centro Ricerca per fare qualche studio, più che altro per rassicurare quanti vivono nella piana.

Ora non possiamo fare altro che quello che fanno gli anziani: guardiamo qualche foto, ascoltiamo l’aria ed aspettiamo di vedere cosa succederà ancora.

Davide Valsecchi

Ps. Un tempo esisteva un “Centro Ricerche Vallassinese [CRV]” ma ho ben pochi contatti con loro e nonostante qualche ricerca sul web non ne conosco a pieno né l’attuale finalità né l’organigramma. Posseggo qualche vecchio libro pubblicato anni fa dal gruppo ma non ho idea di cosa si occupino oggi. Tocca a me, al solito, darmi da fare per capire =)

Flaghéé: Gioventù Ribelle

Flaghéé: Gioventù Ribelle

Gioventù Ribelle
Gioventù Ribelle

Sono come fili sottili, quasi invisibili, che attraverso il tempo e lo spazio uniscono le persone accomunandone le vite: io li chiamo legami.

Spesso ho la fortuna di riconoscerli e a volte persino di fare parte di quell’insieme di trama ed ordito che dà vita alla storia.

Un legame è un vincolo che collega due o più cose, il loro ruolo spazia dalla scienza ai sentimenti e, spesso, “creare un legame” è quanto di meglio possiamo tentare di fare.

Con quest’idea, “unire le cose”, vi racconto il legame che accomuna i ragazzi di una scuola, le medie del mio paese, alle cime delle montagne del Lario ed ancora con i giovani che durante il Risorgimento Italiano seppero distinguersi in un’ Italia che stava per nascere.

Sabato io e Lele partiremo per attraversare le montagne del Lago di Como mentre Venerdì ci saranno consegnate le bandiere che ci accompagneranno durante questo nuovo viaggio: le Flaghéé.

Quest’anno, per celebrare la Storia d’Italia nel suo 150° anniversario, le bandiere del Lario saranno diverse dal passato: sono state infatti realizzate a mano dei ragazzi della IIIa C di Asso ed ognuna di esse è dedicata ad una figura del passato di cui, tra colorati disegni, ne riporta una citazione.

Ogni bandiera sventolerà su una cima che attraverseremo ed  ognuna di esse diverrà un legame: un sottile filo che legherà un  giovane studente, una montagna del nostro territorio ed un giovane del passato che non ha avuto paura di credere nei propri ideali.

Quelle bandiere diventeranno sottili fili in grado di unire Giorgia, Samuele o Aurora, la Grigna, il Grona o il Legnone ed il pensiero di figure come Nino Bixio, Garibaldi o Adelaide Cairoli. Legami che starà a me e a Lele “intrecciare” in un unico viaggio che sappia abbracciare la nostra storia e il nostro terriotorio sostenendo e spronando i nostri giovani a conquistarsi un ruolo nel futuro di tutti noi.

Ecco le Flaghéé dell’Unità d’Italia, ecco le Bandiere di una Gioventù Ribelle.

Davide “Birillo” Valsecchi

Un ringraziamento alla Professoressa Giulia Caminada e a tuti i ragazzi della IIIaC della Scuola Media di Asso di BlogGiornalismo.scuoleasso.it.

 

Linea Cadorna ed il Monte Orsa

Linea Cadorna ed il Monte Orsa

Fortificazioni Monte Orsa
Fortificazioni Monte Orsa

Domenica l’alpinismo giovanile si è spinto nel varesotto per esplorare la Linea Difensiva Cadorna, una fortificazione militare costruita tra il 1911 ed il 1916 nota anche come Occupazione Avanzata Frontiera Nord (OAFN).

La fortificazione si estende dalla zona di Varese risalendo il confine con la Svizzera fino a Colico e alla Valtellina. Noi eravamo diretti alle postazioni per cannoni costruite sul monte Orsa a ridosso di Viggiù e del lago di Lugano.

Lungo la montagna sono ancora ben visibili le fortificazioni, i camminamenti e le postazioni dei cannoni ricavate da gallerie scavate nella roccia. La linea difensiva fu costruita per fronteggiare un’ eventuale aggressione dei tedeschi attraverso la neutrale Svizzera, per tanto si attestava come un serie di postazioni fortificate da cui dirigere i bombardamenti con l’artiglieria pesante contro eventuali invasori.

Attraverso le feritoie realizzate per i 149A, i grandi cannoni in dotazione all’esercito italiano durante la prima guerra mondiale, si può quindi godere di un panorama incredibile che si estente tanto sulla Svizzera quanto sulla Pianura Padana.

Per i ragazzi, e per i loro accompagnatori, questa semplice gita riserva un tuffo nella storia ed un’opportunità magnifica per ammirare il nostro territorio.

L’imponente struttura bellica, realizzata in gran parte grazie all’opera ed alla partecipazione dei civili, non fu mai teatro di scontri: i tedeschi si guardarono bene dall’invadere la Svizzera e quando sfondarono a Caporetto tutto il fronte italiano, uomini e mezzi compresi, si spostò ad occidente verso le Alpi Orientali ed il Piave.

Non fu mai sparato un colpo dalla Linea Cadorna.

Davide “Birillo” Valsecchi

Al Segantini la Storia di Asso

Al Segantini la Storia di Asso

Venerdì mi sono lanciato in un esperimento nuovo con i ragazzi della Scuola Media Segantini di Asso: una lezione di storia per immagini alla riscoperta del nostro paese.

Coadiuvato dal Preside Berardino e dalla Professoressa Caminada ci siamo avvalsi delle foto pubblicate nel libro “Asso Come Era” e della testimonianza diretta del Dottor Flaminio Pagani, storico Sindaco di Asso.

Alla lezione era presente anche il giornalista de La Provincia di Como Giovanni Cristiani che ha pubblicato questo articolo sul quotidiano di Sabato:

Lezione di storia locale per immagini. Ieri mattina nell’Istituto comprensivo Segantini tre classi delle medie hanno potuto ripercorrere la storia del loro paese attraverso vecchie fotografie. Così con la proiezione diretta da Davide Valsecchi, la supervisione del preside Mario Berardino e dell’insegnante Giulia Caminada e gli interventi storici dell’ex sindaco di Asso, Flaminio Pagani si sono svolte due ore di intensa ma divertente lezione. I ragazzi sono stati invogliati a partecipare attraverso i diversi quesiti legati alle foto, stimolati a scoprire la parte del paese ritratto. Davanti alla Vallategna gli alunni hanno collocato il salto d’acqua: «Vicino alla Esso». Mentre si è potuto apprendere piccole notizie sconosciute a molti, come la presenza di una chiesa sconsacrata diventata parecchi anni fa una struttura residenziale. La Valassina raccontata con gli occhi di due generazioni di fotografi della famiglia Paredi ha ammaliato i presenti, le immagini erano tratte dal libro “Asso come era”. Sulla mattinata i ragazzi imposteranno una ricerca.

Due ore trascorse facendo sfilare le immagini come diapositive proiettate sul muro e per ogni fotografia un indovinello: “okey, dov’è?”. Due ore a dare la caccia agli indizi e ai dettagli che “parlano” di un tempo che fu, due ore ad ascoltare storie e racconti della Vallassina e del suo cuore antico: Asso.

L’obbiettivo era dare vita ad un momento didattico interattivo con i ragazzi, un confronto che potesse incuriosirli  ed invogliarli ad una riscorperta del loro territorio e ad un approccio critico ed esplorativo della storia: missione riuscita e per due ore ci siamo davvero divertiti!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Acco un filmato realizzato come presentazione del libro qualche mese fa e che contiene un estratto delle foto presentate ai ragazzi (la musica è un po’ datata perchè contemporanea alle foto):

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