Ricorre quest’anno il 90° anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale proclamata dal celebre discorso del Generale Armando Vittorio Diaz, capo supremo dell’esercito Italiano. Il testo di quel discorso, chiamato Bollettino della Vittoria e fuso nel bronzo delle artiglierie catturate al nemico, è esposto in tutte le Caserme e i Municipi d’Italia.
Libri che raccontino questa storia ce ne sono centinaia mentre i testimoni di quell’epoca ormai non ci sono piu’. Ed allora voglio raccontarvi cosa mi ha mostrato un testimone silenzioso in grado di resistere anche al passare del tempo. Molte delle mie estati in gioventù le ho trascorse in Carnia, una regione del Friuli al confine con l’Austria, a due ore di cammino dal confine e a due passi dalle sorgenti del famoso Piave, il fiume su cui “fu fermato lo straniero“.
Le Alpi Carniche, maestose ed imponenti nei loro duemila metri di roccia, sono il testimone di quei tre lunghi anni in cui nemici si scontrarono Italiani ed Austriaci. Ancora oggi esplorando le valli ed i ghiaioni di confine si possono trovare le vecchie trincee, scavate a colpi di piccone della roccia viva, unico riparo dal freddo e dal nemico. Si trovano tra i sassi, dopo oltre 50 anni, cumuli di suole di scarpe e lattine di metallo, ammucchiate appena fuori un riparo. Stufe e pezzi di cucine da campo sparsi nella ghiaia, schegge di bombe e chilometri di filo spianto arrugginito.
Mi arrampicavo sulle pareti per infilarmi nelle bocche di lupo delle trincee più in alto per trovare in queste buie grotte artificiali i resti delle postazioni di artiglieria. Ed i cimeli che allora mi sembravano un piccolo tesoro ora sono un macabro monito.
Tra quelle gole, quando è periodo di caccia, l’eco di uno sparo rimbalza sulla roccia e continua a rimbalzare estendendosi sinistro all’orizzonte. Non oso immaginare quale fosse il rumore terribile di una battaglia, con spari, esplosioni e grida, che rieccheggiavano tra quelli valli e quale potesse essere, in quel caos infernale, il cuore di un giovane dentro la trincea, fermo ad aspettare il fischio dell’assalto. Alzarsi ed uscire, per offrire il “petto al nemico”.
Lassù combattevano con il Carcano Mod 91, una carabina con l’otturatore a mano, ricaricavano ad ogni colpo e si lanciavano all’assalto con l’arma bianca, la baionetta. I feriti venivano curati tra i sassi e portati a valle, vivi o morti, dai muli. E sulla montagna si vedono i segni della fame e del freddo. Segni che non scompaiono così in fretta come la memoria.
Io non sono un pacifista, non ne ho l’indole. Ma credo che coloro che si riempiono la bocca dovrebbero salire qualche volta lassù, portare il loro “culo grasso” sulle montagne e vedere dove la gioventù di allora sostenne per tre anni un guerra terribile, combattendo con coraggio uno scontro inutile tra i nobili d’Europa.
In ricordo e con gratitudine ai caduti e ai combattenti della Prima Terribile Guerra Mondiale.
Una canzone dei Dropkick Murphys in memoria dei caduti della Prima: The Green Fields Of France [qui trovate la traduzione di questa canzone scozzese].…And I see by your gravestone you were only 19 When you joined the glorious fallen in 1916, Well, I hope you died quick and I hope you died clean Or, Willie McBride, was it slow and obscene?