Lo Stok Kangri è una montagna di 6130 metri che domina la valle di Leh, è impossibile non vederla: uno sperone di roccia che regna sovrana incontrastata nell’orizzonte. E’ la montagna principale di queste valli e durante il nostro viaggio nella valle del Marka le abbiamo praticamente girato attorno. Mi ero documentato a lungo prima di partire, durante il periodo estivo è possibile salire verso la vetta lungo un ampio ghiaione sul lato Nord-Est completamente privo di neve. Una salita certamente dura, si tratta sempre di un 6000, ma che non richiede altra prerogativa se non una buona preparazione fisica. Per questo motivo il mio piano originale era riuscire a trascinare lassù anche Enzo.
Una volta giunti a Leh la situazione mi è apparsa decisamente diversa e lo Stok Kangri non si è rivelato il “montagnone stupido” che mi aspettavo. La situazione climatica qui è cambiata radicalmente negli ultimi anni e notostante sia Giugno sono quasi tre settimane che continua a nevicare sopra i 5000 metri e lo Stok Kangri, per via della grande quantità di neve e del pericolo slavine, offre un’ unica via di salita molto più impegnativa e complessa di quella estiva: un ripido canalone sul lato a Sud-Ovest.
Ormai mi ero messo in mente di portare l’ultima bandiera lassù e mi sono dato da fare per organizzare quest’imprevista spedizione. La prima difficoltà è stato trovare qualcuno che mi accompagnasse: le guide che possono acompagnarvi durante l’estate senza neve sono molte, quelle che hanno la capacità, le prerogative e la volontà per farlo con la neve sono invece molto poche. Io ho avuto la fortuna di incontrare Juma, un ragazzo di 28 anni grande come un armadio, con una bella faccia e due occhi gialli molto intensi. Juma è una delle guide “emergenti” di Leh, ha scaltato molte delle montagne del Ladakh mettendo in curriculum anche un 7000 nella valle del Nubra. Non aveva mai avuto la possibilità di salire lo Stok Kangri con la neve e quando ha saputo in paese che cercavo una guida mi si è presentato alla porta della guest house. Ci siamo visti, ci siamo studiati confrontando le relative esperienze ed abbiamo deciso di provarci.
Se il problema della guida era risolto dovevo fronteggiare quello dell’equipaggiamento: avevo quanto di meglio in commercio per il trekking ma per l’alta montagna e la neve non avevo praticamente nulla con me. Due giorni prima della partenza ho trascinato il povero socio per i bazar di Leh in cerca delle cose che mi servivano, praticamente mancava tutto! Ho trovato una vecchia picozza ed un paio di ramponi presi a noleggio presso un’ agenzia, un piumino arancione, conciato da sbatter via, a prestito da un portatore, un paio di gette bianche uguali a quelle che avevo ad 8 anni ed un paio di pantaloni in finto gore-tex acquistati al mercato dei rifugiati tibetani. Stavo affrontando per la prima volta un 6000, per di più in condizioni climatiche avverse, con un paio di pantaloni contraffatti North Face da 8 euro, il venditore è stato talmente onesto da dirmi che non erano originali ma fatti in Nepal.
Non ho molta esperienza sulla neve, avevo l’equipaggiamento dei puffi e volevo salire un 6000 nel periodo in cui nessuno si azzarda a farlo. Ogni tanto avevo l’impressione di essermi imbarcato in una grossa pirlata piuttosto azzardata ma tant’è che ormai ero in ballo e Juma non vedeva l’ora di partire.
Il giorno della partenza era bel tempo e questo mi aveva rincuorato molto, i tre giorni successivi invece non ha mai smesso di nevicare e questo mi rincuorava molto meno. Con la neve fresca la salita oltre che essere pericolosa sarebbe stata un vero massacro. Juma non era affatto preoccupato, anzi, peggiori diventavano le condizioni atmosferiche e più diventava eccitante per lui la nostra spedizione. Io mi sarei accontentato anche di salire il ghiaione senza neve come fanno tutti!!
La mia tenda era costantemente coperta di neve, faceva un freddo becco ed il cielo era sempre coperto ma nostante tutto mi sentivo molto carico, alla fine l’entusiasmo di Juma era riuscito a coinvolgermi molto più di quanto avessi creduto. Voleva conquistare la cima ed io volevo portarci la mia bandiera. Eravamo una squadra affiatata e per due giorni abbiamo esplorato il ghiacciaio alle pendici dello Stok Kangri mentre nevicava. Se volevamo andare in cima avremmo dovuto partire in piena notte e per questo motivo ogni dannata notte dormivo nel sacco a pello indossando l’equipaggiamento completo di imbragatura aspettando l’una di notte: il tempo fosse stato bello saremmo partiti di gran carriera.
Ma la notte non smettava mai di nevicare e giorno dopo giorno continuavamo a rimandare sperando in un tempo migliore. L’ultima delle sere a nostra disposizione avremmo provato con qualsiasi tempo giocandoci il tutto per tutto. Non so cosa sia successo, alle volte serve anche un po’ di fortuna, ma proprio l’ultima notte utile tra le nuvole è apparsa la luna piena e con essa anche una magnifica stellata, il cielo è apparso improvvisamente sgombro dalle nuvole ed anche il vento era cessato.
All’una, come due spettri nella notte, Juma ed io, legati in una cordata da due, ci siamo lanciati sul ghiacciaio alla volta dello Stock Kangri. La fortuna ha voluto che la luna fosse piena ed illuminasse quel mare bianco mettendo in risalto le roccie delle montagne a contrasto con il cielo scuro e le stelle. Il candore dalle neve era infranto solo dalle nostre impronte e nel cuore della notte era stupendo vedere la nostra ombra seguire i nostri passi. Era un oceano di quiete bianca e la neve era caduta talmente abbodante che tutti i crepacci del ghiacciao erano completamente chiusi. La temperatura, secondo Juma, si aggirava attorno ai -20 ma non sentivo affatto freddo camminando sul quel manto bianco. Con quella luce magica era uno dei posti più belli che avessi mai visto, camminavo con una serenità ed una felicità difficili da spiegare.Un momento magnifico ed indimentcabile. Nella mente ascoltavo il sassofono di One step Beyond dei Madness e me ne andavo a zonzo a 5500 metri come se fosse la cosa più naturale. Stupendo.
Quando mi sono trovato davanti al canalone la musica era destinata a cambiare e parecchio in fretta: è stato come sentire una puntina che salta su un vecchio giradischi mentre si pianta. “Steepy” è la parola inglese che usando per indicare una salita ripida, in questo frangente significava un vero guaio per il povero Birillo: 600 metri di dislivello in un canalone in piedi come una mano farcito di neve fresca e rocce. Trascurando i 6000 metri di quota significava che ad ogni passo potevi affondare fino al ginocchio nella neve o potevi sentire i ramponi stridere senza presa sulla roccia sotto la crosta bianca. Riuscivamo a fare una decina di passi alla volta prima di essere costretti a fermarci per prendere fiato: 600 metri di dislivello a dieci passi alla volta sono un maledetto calvario.
Nonostante tutto mi sentivo bene, ero ben acclimatato ed ero bello carico mentre affrontavo con decisione quella salita. Tuttavia credo di aver venduto la pelle dell’orso molto prima di averlo anche solo visto perchè ad un certo punto lo Stok Kangri ha deciso di mostrarmi chi realmente comandasse lassù: a circa 5800 metri, a tre quarti del canalone, sono letteralmente crollato in ginocchio aggrappato a due mani alla picozza piantata nella neve, con la testa appoggiata ai polsi annaspavo cercando di capire che diavolo succedesse mentre cercavo disperatamente di pompare aria. Era come guardare una città di notte che si spegne piano piano per via di un black-out. Non funzionava più nulla, ero il pilota di un robot da combattimento completamente in avaria, continuavo a pigiare tutti i tasti a mia disposizione ma non succedeva assolutamente nulla!!
Letteralmente “piegato in due” cercavo di venire a capo di quella strana situazione. Piano piano, concentrandomi, qualcosa ha ricominciato a funzionare, ho ripreso il controllo della respirazione ma non mi riusciva di fare un movimento uguale due volte di fila. Se il mio corpo sembrava “andato” la mia mente, ancora lucida, cominciava a vacillare. Mai sentito così incapace in vita mia!! Ho dato fondo a tutte le mie riserve e mi sono rimesso in piedi per andare avanti al ritmo di dieci passi. Dieci venivano bene ed i successivi dieci erano un disastro. Ma il peggio doveva ancora arrivare!!
Lo so bene, la prima regola è “non toccare la neve con le mani “, quasi riesco a vedere Angelo, Ginetto e tutto il corpo istruttori che scuotono sconsolati la testa. Ho provato ad attenermi alla regola quanto più possibile ma ero abbastanza “incartato” e cercavo di arrabbattarmi come meglio potevo su quel pendio. All’improvviso, come un colpo secco, i miei stupidi guanti da quattro soldi si sono letteralemente congelati ed avevano la ferma intenzione di surgelarmi le dita!!! Le mani mi si erano completamente bloccate, non risucivo a togliermi i guanti ed il meglio che mi riuscisse di fare era picchiarle senza risultato sulle cosce. La sinistra era un vero disastro e non riuscivo più nemmeno a chiuderla. Ho pompato sulle gambe e sono salito più in fretta che potessi: “JUMA!! HELP!! FAST!!”. Juma mi ha tolto in fretta i guanti ghiacciati ed ha cominciato a stringermi le dita riattivando la circolazione. Un dolore terribile, tanto intenso da impedirmi qualsiasi cosa se non annaspare in un grido senza fiato piegato sulle mie mani. Mi sentivo come un bambino impotente mentre riacquisivo la proprietà delle mie dita. Senza l’intervento di Juma credo che tre dita della sinistra le avrei salutate. Da lì in poi ho proseguito con un paio di guanti di lana elasticcizzata (ma asciutti) fino a quando i guanti bangnati, al caldo sotto il piumino, non si sono scongelati. Questa è la stramaledetta conferma che se decidi di abbandonare la poltrona di casa devi avere un equipaggiamento decente ed un buon compagno!!!
Rimanevano ancora quei trecento metri da fare, anche Juma era sempre più stanco ma non eravamo intenzionati a mollare. Ero consapevole di essere ben oltre il mio limite e questo era quello che mi preoccupava di più ma, se quel pendio stava spezzando la mia volontà, scendere a mani vuote e con il morale a pezzi poteva essere anche più pericoloso. In qualche modo, passando da dieci a cinque passi fino a seplicemente a “un po’ più avanti” siamo arrivati in cima: alle 8:25 AM del 9 Giugno 2009 Davide “Birillo” Valsecchi ed il suo compagno e guida Juma erano a 6130 metri, in vetta allo Stok Kangri coperto di neve. Su quella vetta, totalmente distrutto, mi faceva ridere pensare di avere raggiunto il mio primo 6000 quasi strisciando: che totale mancanza di dignità per Birillo, l’alpinista assese!!
Ci nascondiamo al riparo delle bandiere tibetane e del cumulo di sassi su cui sono poste. Queste piccole preghiere di stoffa hanno resistito incredbilmente tutto l’inverno ai rigori dell’Himalaya, hanno veramente qualcosa di magico!! Mangio qualche biscotto ed una sorsata di the e poi mi dedico a quello per cui sono andato lassù. Estraggo dallo zaino l’ultima grande bandiera dei ragazzi di Como, la lego alle altre bandiere e passo la macchina a Juma per qualche foto. Ero troppo cotto per sistemarmi o per cercare qualche inquadratura scenica. Forse è meglio così, sembro uno scappato di casa che ha dormito sotto un ponte ma le foto hanno un sapore autentico, genuine come piacciono a me.
Chi mi conosce lo sà, scendere per me è sempre un casino. Stanco e mal messo si rischia di farsi vermamente male scendendo. Io e Juma ci siamo fatti quasi 400 metri di dislivello scivolando sul sedere controllando la discesa con i ramponi e la picozza evitando i sassi affioranti. Se non fossi stato stremato sarebbe stato anche uno spasso quello scivolo sulla neve direttamente da 6000 metri di quota!!
Una volta sul ghiacciaio ho inserito il pilota automatico e mi sono femato solo davanti alla tenda al campo base. Dopo tre ore ha ripreso a nevicare forte, giusto per ribadire la sfacciata fortuna di quelle ore di bel tempo. Juma era a pezzi ma strafelice. Che battaglia, alla fine ce l’ho fatta ma quante ne ho prese!!
Avrei potuto vantarmi, in fondo sono il quarto alpinista straniero che riesce a raggiungere la vetta dello Stok Kangri dall’inizio della stagione e questo nonostante già dieci spedizioni abbiano tentato la cima e solo tre, la mia compresa, abbiano avuto successo. Sarebbe la verità ma non come piace a me, medaglie e pose eroiche le lascio agli alpinisti veri. Io mi chiamo Birillo, per metà montagnino e per metà casinista preferisco raccontarvi di come ho raggiunto per la prima volta i seimila metri e come l’abbia fatto, dannazione a me, senza gloria quasi strisciando dopo aver preso da quella montagna una tale serie di calci nel culo da abbassare la cresta per un bel pezzo!! Preferisco raccontarvi di quell’ultima bandiera che sventola lassù a 6130 metri e che è ciò che mi rende veramente felice ed orgoglioso. Salire fin lassù senza quel pezzo di stoffa sarebbe stato per me solo un atto di vanità e questo non sarebbe un buon motivo per sfidare simili giganti.
Il giorno dopo nella mia tenda mi sono svegliato e mi sono dato un’ occhiata nel riflesso degli occhiali. Tutto arruffato e con il naso arrostito dal sole mi sono detto:«Bene, alla fine, sebbene “alla Birillo”, sembra che tu ce l’abbia fatta anche questa volta» – «Grazie, anche tu non eri male, specie quando frignavi per le tue stupide dita mentre io cercavo di salire in quella dannata montagna» – «Hai ragione, “qui dentro” quello tosto sei tu ma ora, campione, cercati una doccia. Sei imbarazzante per la comunità per quanto puzzi!!» – «Touchè». Sono veramente stanco se riesco a litigare anche da solo!! Credo che sia il momento di scendere a valle, farsi una doccia e cercare una bella birra e magari un bisteccha. Tocca riposare un po’ adesso e godersi un po’ i ricordi. Il ghiacciaio di notte è qualcosa che non dimenticherò!!
Voglio ringraziare pubblicamente lo Stok Kangri, nonostante per mesi lo abbia definito una “mezza calzetta” di montagna ha saputo farsi valere senza farmi la pelle e, alla fine, mi ha concesso d’incoronargli il capo con la nostra bandiera. Sono stato fortunato, ho potuto fare quella salita in una condizione molto speciale, benedetta da un improvviso bel tempo. Sono stato pestato come un barattolo ma solo per godere di un’ esperienza realmente intensa e straordinaria. Possano le preghiere di quell’ultima bandiera posta così in alto essere di buon auspicio per tutti noi!!!
Voglio ringraziare anche quel brontolone di mio padre e tutti i soci e gli instruttori della mia sezione, il Cai Asso: quelle quattro cose che ho imparato e che mi hanno aiutato lassù le devo a voi!! Grazie.
Ps: credo che dopo Simone, il marito di mia sorella che ha fatto un 6400 ed è recentemente assese d’adozione, dovrei essere quello che in paese è salito più in alto. Forse solo Rocco mi batte. La cosa ridicola è che forse anche Enzo, che non era mai salito nemmeno fino al San Primo, ora è piazzato tra i primi dieci!!!