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Ricordi di mondi lontani

Ricordi di mondi lontani

12Oggi, quasi per coincidenza, mi sono capitate in mano alcune foto del viaggio in Ladakh nel 2009. Una piccola avventura di tre mesi vissuta con quel pirata di Enzo Santambrogio. Sembra incredibile siano passati già così tanti anni, che il tempo diventi la misura delle trasformazioni che ci circondano. Spulciando negli archivi di “Cima” ho tovato un vecchio articolo: una riflessione scritta quasi in diretta in quei giorni sull’altopiano. All’epoca, con un telefeno satellitare, era difficile pubblicare fotografie, così ho pensato di riproporvelo aggiungendo qualche immagine. Posso assicuravi che è davvero curioso ritrovarsi faccia a faccia con il proprio IO passato…

La sofferenza in un sorriso…

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Ci fermiamo per un po’, il sole si è fatto caldo ed il fiato si fa corto. Siamo costantemente sopra i 4000 metri e la quota ormai è una compagna fissa. Ci tiene la mano e ci sorride ad ogni passo. Quando ci dimentichiamo di lei si offende e si fa sentire afferrando i nostri respiri. Per andare a spasso quassù devi portarla a braccetto e trattarla bene. In questo deserto di pietre e colori ambrati le si può concedere tutto perchè lei, anche solo sorridendo, può veramente prendersi ciò che vuole.

Mi guardo intorno stupefatto, qui ci sono montagne e valli intere dove non vi è anima viva nè avrebbe ragione d’esservi per la durezza di questa terra. Non cresce nulla e tutto sembra consumarsi e sgretolarsi nel sole. Non si può visitare i monasteri senza comprendere quanto aspra possa essere la vita quassù. Non si può ammirare i disegni affollati di demoni e leggende senza comprendere le difficoltà e le incertezze che dovevano affrontare i loro autori.

Attraverso la valle i monasteri si guardano tra di loro, distanti ed isolati sono abbarbicati sulla roccia come fari in mezzo ad  un mare ostile, come bandiere in mezzo al deserto. Attorno a loro non c’e’ nulla se non distese di roccia e più in alto solo il bianco della neve. Guardando la desolazione che li circonda vedo i monasteri ed i monaci per quello che erano: un baluardo ed un rifugio dell’uomo in mezzo al nulla.

Le loro regole, le loro preghiere ed i ritmi delle loro vite erano protese a sopravvivere e a sperare. Qui la pace e la fratellanza erano l’unica difesa contro le forze terribili che dominano l’altopiano. Dietro le mie lenti polarizzate, avvolto nel goretex e nel meglio della tecnologia alpinistica non posso che domandarmi come abbiano potuto sostenere, per secoli, il bagliore accecante di questa luce, il vento che incessante si alza ogni pomerggio ed il tempo che cambia con la velocità con cui corrono le nuvole. Cosa li ha trattenuti quassù?

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Tutto quello che vedo mi appare magnifico ma terribile. La natura magnifica e crudele nel suo massimo splendore. Affondo con gli scarponi nella ghiaia sapendo che ogni passo, prima o poi, mi porterà verso casa, verso il verde dei nostri laghi e l’abbraccio delle nostre montagne. Ripenso ai prati, agli orticelli e ai nostri fiumi. Qui non hanno nulla di simile,  qui la natura concede avara i suoi doni e non è clemente con nessuno. Non vedo nulla qui che possa alimentare una simile speranza in questo popolo. Dove nascono i loro sorrisi?

I monaci non potevano uscire a falciare i prati perchè non ve ne sono, non potevano fare legna perchè non ci sono alberi, non potevano coltivare la terra perchè senza grandi sacrifici è arida e sterile. Per scaldarsi durante l’inverno essiccavano gli escrementi delle loro magre bestie ed accumulavano quello che potevano. Portati a termine con fatica i pochi lavori che questa terra offre non rimaneva altro che chiudersi in preghiera e sperare. Sperare che fortificando lo spirito anche il corpo avrebbe potuto sostenere le privazioni. Nel buio dell’inverno recitare le proprie pregiere fatte di respiri e suoni profondi ed intensi, ripeterle all’infinito scacciando i demoni della montagna, del vento, della fame e del freddo. Ripetere all’infinito perchè il tempo stesso perda di senso e la mente si perda in un mondo diverso, perchè nella meditazione il corpo trovi la forza nella mente. Perchè quassù si è costretti a cercare dentro di sè, fuori vi è ben poco da trovare. Ecco il fascino di questa gente.

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Una terra che mi appare meravigliosa da attraversare ma un calvario in cui vivere. Eppure non ho mai visto tanti sorrisi come tra questa gente. Dove traggono tanta speranza in un mondo tanto difficile? Sono le preghiere? Il mondo magico di demoni e credenze che anima la loro religione basta a dar loro tanta forza?

Alieno guardo questa gente, i loro bambini e le loro case. Sono equipaggiato ed addestrato per quella che è la mia missione qui, attraverserò le loro montagne cercando di trattenerne l’essenza e catturarne il ricordo. Sono qui per accarazzare la loro cultura esplarando il loro mondo ma non posso che sorprendermi umile nei confronti della loro forza. Tutta questa bellezza riempie i miei occhi ma flagella le loro vite. Io tornerò ai nostri laghi mentre loro continueranno il proprio cammino quassù.

Ho visto gente in città, gente venuta da fuori, li ho visti scimmiottare i vecchi costumi, parlare forbiti della religione atteggiandosi ad illuminati. Stupidi pagliacci ipocriti che tre mesi all’anno diventano mucche grasse da mungere per questa povera gente. Credono di poter capire il mistero di queste terre gratificandosi di una spiritualità che non è loro senza aver assaggiato l’asprezza di questo mondo. Come dice Enzo: per qualche spicciolo sono venuti a comprarsi il loro  “Nirvana Take Away”. Compiacetevi della vostra mediocrità e tornate alle vostre case arricchiti di una rinnovata stupidità da esporre!!

Io vengo da montagne verdi e nemmeno proverò ad essere come la gente di queste montagne aride e dure. In loro vedo una resistenza ed un ingenuità che non è mia e che non potrebbe appartenermi. Incuranti della propria precaria vita li vedo pregare per il benessere del mondo intero ed il mio egoismo brilla come fari nella notte davanti ai loro sorrisi.

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Sospiro lasciando che nel peso di questa quota si perdano i miei peccati e recito la mia preghiera silenziosa per questa gente. A Dio piacendo tornerò ai miei laghi e continuerò la mia strada mentre all’orizzonte vedo i nuovi demoni che cavalcano eccitati per raggiungere questa terra remota. I nuovi venuti sconfiggeranno i demoni locali, scaccieranno il freddo, la fame e forse anche la miseria ma divoreranno il sorriso e la forza di questo popolo.

Mi infilo lo zaino, non sta a me decidere quale debba essere la croce altrui. Non ho risposte nè consigli per loro, posso solo ringraziarli per avermi accettato e mostrato una lezione preziosa che porterò con me. Prendo fiato e mi tiro in piedi, c’è ancora molto da vedere prima che cali il sole.

Davide “Birillo” Valsecchi

Ladakh: Stok Kangri 6153 metri

Ladakh: Stok Kangri 6153 metri

Settimana di vaccinazioni in previsione della partenza del 16 Gennaio per il Congo. Tifo, Febbre Gialla, Epatite A, Meningite, Poliomelite, Tetano e Malaria: un po’ “imballati” tocca stare tranquilli ed invitabilmente si scivola nei ricordi. Cercando sul web ho trovato delle belle immagini di un’altra montagna che mi è cara: lo Stok Kangri.

Lo “Stok” è un seimila Himalayano, 6153 metri, nel territorio indiano del Ladakh. Quella salita, compiuta nel 2009, mi ha impartito un paio di lezioni che non dimenticherò. Se andate a rileggere il diario di quei giorni, L’ultima Bandiera, vi renderete conto dell’incoscienza e dell’approssimazione con cui mi sono confrontato con quella montagna. Senza nemmeno l’equipaggiamento di base adatto,  per di più nel periodo sbagliato, stavo per mettermi nei guai come un fesso!

Nonostante l’azzardo arrivai alla cima dello Stok il 9 Giugno 2009 ed ora, dopo quasi tre anni, comincio ad esserne abbastanza soddisfatto. Non rifarei più il numero infinito di errori fatti in quei giorni ma, se devo essere onesto, rivaluto in modo positivo le capacità dimostrate in quei giorni.

Avevo un equipaggiamento degno di una spedizione di inizio novecento ma questo, ora che il tutto è passato, mi da un certo gusto, specie considerando che per via della gran quantità di neve molte spedizioni meglio attrezzate erano state costrette a desistere. Nonosante tutte le inadeguatezze, dalla mia avevo però due importanti vantaggi: essere uno stupido caparbio e, cosa non da poco, 20 giorni di acclimatamento tra i quattromila ed i cinquemila metri.

Se riguardo la faccia che avevo al ritorno nella tenda rivedo tutta la fatica e la passione di quella salita: che battaglia!! Dopo quasi tre anni posso quasi perdonarmi: “sei stato uno stupido incoscente, ma te la sei cavata alla grande!” (ma che fatica e che freddo!!)

Davide Valsecchi

Bella e terribile: road Leh-Srinagar

Bella e terribile: road Leh-Srinagar

Leh-Scrinagar
Leh-Scrinagar

Era tanto che mi ripromettevo di montare una clip sulla strada che attraversa il Ladakh e porta da Leh fino a Srinagar nel Kashmir. Una strada di grandissima importanza nel nord dell’India che costeggia prima il confine con la Cina e poi quello con il Pakistan attraversando la zona del Drass che fu invasa nel 1999.

Io ed Enzo l’abbiamo percorsa due volte nel 2009. La prima volta era di notte, con ricordi magnifici e terribili (veramente terribili!!) fatti di una luna piena che illumina gli abissi tra le montagne. La seconda volta partimmo invece di mattina presto ma giungemmo a Scrinagar solo a tarda notte ed il viaggio fu altrettanto terribile ma riuscimmo a scattare fotografie durante il giorno.

Richiede dalle 16 alle 20 ore di viaggio attraverso le montagne superando valichi che toccano anche i 5000 metri. Sono spazi incredibili dove i pesanti camion arrancano spesso tra il fango e la neve e dove la strada in terra battuta corre scavata nella roccia (specie l’ultimo passo!!).

Di per sé è una piccola avventura che i locali affrontano di buon grado consapevoli che il rischio di incidenti sia altissimo. La Farnesina sconsiglia nel modo più asoluto di percorrere in auto quella strada ed io, che l’ho fatta due volte, posso dirvi che hanno pienamente ragione.

Ma lo spettacolo che offre è magnifico. Noi l’abbiamo percorsa per risparmiare evitando il volo aereo sebbene, a conti fatti, non fu un gran risparmio. Se volete percorrerla siete avvisati, il mio consiglio, se proprio volete azzardare, è di non farla tutta in un solo giorno, prendetevi il vostro tempo e le vostre precauzioni. Questo vi aiuterà a godervi il magnifico panorama e a non correre troppi rischi.

Quando abbiamo fatto un “mezzo frontale con tuffo nel vuoto” contro un camion io ho cercato di scendere dalla jeep ma, aprendo la portiera, trovai solo il vuoto:  ancora oggi ricordo quella terribile sensazione come un attimo di vita “troppo” intenso. Non prendete alla leggera questa strada!!

Qui trovate i due racconti di viaggio:

  1. Luna piena sulla strada Leh-Srinagar
  2. Leh-Srinagar: secondo round!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Ladakh the Movie

Ladakh the Movie

Infinito tibetano
Infinito tibetano

Spesso mi chiedono perchè Enzo ed io non abbiamo ancora presentato le fotografie o raccontato dal vivo il nostro viaggio attraverso le montagne Himalayane del Ladakh. La risposta non è semplice, soprattutto perchè quel viaggio, oltre ad essere stato il primo insieme, ha ancora un effetto dirompente nei nostri ricondi: raccontare il Ladakh significa reimmergersi in una dimensione completamente diversa dalla quotidianità e per noi è più difficile di quanto possa apparire.

Abbiamo realizzato un libro fotografico, «Contrabbandieri del Nirvana», cercando di mantenere una narrazione che permettesse di seguirci, di penetrare l’essenza di quella nostra esperienza senza scivolare nell’autocelebrazione o nella mistificazione. Il grande rischio che si corre nel descrivere posti così differenti è dublice: da una parte si rischia di sminuire ciò che andrebbe valorizzato e condiviso, dall’altra si rischia di apparire come coloro che si appuntano da soli le medaglie al petto. Si deve mantenere l’equilibrio coinvolgendo al contempo nella magia di quei luoghi.

In questi giorni stiamo ultimando le sperimentazioni con alcune foto inedite di Enzo utilizzando una nuova tecnica di stampa in bianco e nero su carta cotone. Il risultato è straordinario e permette a chi guarda di catturare e percepire la profondità e l’ampiezza degli spazi di quei territori desolati e mistici sul tetto del mondo. Le quasi trenta tavole realizzate saranno utilizzate per allestire una nuova mostra prima di Natale. Non so ancora dirvi dove sarà presentata, stiamo ancora ultimando la sperimentazione, ma finalmente potremo condividere con voi il nostro vagare himalayano.

Proprio per questo ho voluto realizzare un breve filmato a colori con alcune delle foto che “non” vedrete alla mostra. Buona visione!

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Davide “Birillo” Valsecchi

Notizie dal Ladakh dopo l’alluvione

Notizie dal Ladakh dopo l’alluvione

Le strade di Leh
Le strade di Leh

Nel maggio del 2009 Enzo ed Io eravamo in Ladakh. Siamo stati a zonzo per quasi due mesi da quelle parti ed oltre ad aver portato le bandiere dei Ragazzi del Setificio di Como a 6130 metri, in Cima allo Stok Kangri, abbiamo avuto modo di conoscere quel territorio e la sua gente.

Il 6 Agosto 2010 il Ladakh, ed in particolare la cittadina di Leh, sono stati colpiti da un violento nubifragio che ha travolto tutto con i suoi Debris Flow, le terribili colate di fango e detriti.

Leh è una cittadina a 3600 metri sul livello del mare, inserita nel panorama desertico himalayano tra montagne che salgono fino a superare i 7000 metri. La vegetazione è estremamente scara, il panorama è fatto di rocce e terra arancione. Non piove quasi mai: durante il nostro soggiorno ha nevicato spesso mentre eravamo tra i monti ma in paese avrà piovuto si e nò solo un paio d’ore in due mesi.

Questa volta è stata diversa. Durante la notte fulmini e pioggia hanno scosso la valle e prima dell’alba il fango ha cominciato a travolgere tutto. La parte Ovest di Leh, riparata dallo sperone di roccia su cui sorge il vecchio palazzo reale, è stata risparmiata mentre le zone adiacenti sono state quasi spazzate.

Ieri sono riuscito a mettermi in contatto telefonico con il mio amico Altaf, a Leh, e mi sono fatto raccontare meglio l’accaduto. L’acqua ha sgretolato le case in mattoni di fango trasformando le strade in torrenti carichi di detriti, ci sono stati oltre 200 vittime solo nel circondario di Leh e mancano ancora dati certi dalle valli. Il piazzale dei pullman, uno spiazzo in terra su cui sostano la maggiorparte dei piccoli pulmini, è stato completamente travolto spazzando ogni mezzo di trasporto pubblico: tutto era distrutto e bloccato.

Ora la situazione in città si sta lentamente normalizzando sebbene persistano ancora gravi difficoltà. Internet è ancora non funzionante ma l’elettricità, che già normalmente a Leh è ballerina, sta stabilizzandosi. In Ladakh, zona militarizzata, vi è un sistema GSM chiuso (non funziona nient’altro se non i satellitari) che è stato ripristinato dando finalmente la possibilità ad Altaf di contattarmi.

Per chi è sopravvissuto il problema che si avvicina è l’inverno e, oltre ai danni subiti, la crisi economica.

Parliamoci chiaro: Leh è stata nel passato una tappa importante lungo il ramo della via della seta che univa Cina ed India. Dopo questo periodo aureo di commercio questa zona è stata quasi dimenticata per due secoli fino a quando il conflitto Indo-Pakistano-Cinese non ha rianimato le valli con un ingente spiegamento di truppe.

La costruzione dell’aeroporto civile ha fatto si che i ricchi indiani del Sud potessero agevolmente scappare dalla calura estiva di Delhi riparando tra le montagne.  Da qui in poi il turismo è divenuta la prima risorsa di queste valli che per quattro mesi all’anno accoglie migliaia di turisti da tutto il mondo.

Dopo l’alluvione tutto si è fermato, i turisti sono scomparsi. Coloro che erano venuti dal Sud, ma anche dal Nepal, per lavorare una stagione sono rimasti senza impiego. Shop Keeper, venditori ambulanti ma anche portatori, autisti, garzoni e quant’altro si aggirano ora sconsolati tra le macerie cercando di tornarsene a casa a mani vuote.

Il mio amico Altaf era affranto: in molti stanno pensando di scendere verso il Kashmir ma, anche lì, tutto è bloccato per via degli scontri seccessionisti. Commercio e turismo, le uniche risorse di quel territorio per chi non possiede la terra, sono ferme e non rimane molto altro da fare.

Il governo centrale Indiano, dopo gli sioperi dello scorso anno in Ladakh ed i tafferugli in Kashmir, non sembra affatto intenzionato a sostenere la ripresa con aiuti straordinari e quindi le prospettive appaiono buie.

Mentre vi scrivo quest’articolo non ho ancora ben chiaro cosa si possa fare, tuttavia un paio di idee ci sono ma toccherà lavorarci sopra un po’. Per chi volesse invece conoscere meglio quello che è accaduto in Ladakh in quei giorni terribili ho trovato un articolo scritto da un metereologo che era presente a Lhe il giorno del disastro: Alluvione in Ladakh

Davide “Birillo” Valsecchi

Dal piccolo Tibet i «Contrabbandieri del Nirvana»

Dal piccolo Tibet i «Contrabbandieri del Nirvana»

 

Contrabbandieri del Nirvana

Da LaProvinciaDiComo del 13/08/2009 Asso: Sono tornati dal “Piccolo Tibet”, dopo tre mesi di viaggio, l’alpinista Davide Valsecchi e il fotoreporter Enzo Santambrogio.

Come “Contrabbandieri del Nirvana“, così usa dire Santambrogio, i due assesi hanno effettuato uno scambio di tipo spirituale, portando sulle alte vette dell’India le preghiere del lago, e ritornando a casa, invece, con un bagaglio arricchito della spiritualità indiana, costituita da molte religioni, che hanno potuto conoscere peregrinando tra i monasteri e le città.

Il fine di questo viaggio, documentato da fotografie, registrazioni e con un vero e proprio diario di viaggio, pubblicato anche sul sito Cima-Asso, è stato quello di consegnare un po’ di Como e le sue preghiere al vento delle montagne sacre, in un luogo di pace tra le vette himalayane, portando le preghiere di stoffa realizzate dai ragazzi del Setificio e da PuntoComo, con la partecipazione di artisti comaschi a più di seimila metri.

«Per i primi due mesi – spiega Valsecchi – siamo rimasti sulle montagne del nord, nella zona del Ladakh, territorio al confine con la Cina, appartenente alla regione culturale del Tibet, luogo dove si è rifugiato il Dalai Lama, ma oggi sotto il governo indiano, seppur con una sua autonomia. La montagna, molto dura e poco accogliente è allo stesso tempo un’esperienza unica, un luogo di pace e spiritualità. Partendo da Leh, a 3500 metri, con l’aiuto di un portatore abbiamo percorso tutta la valle, affondando tre passi, dove abbiamo posizionato le bandiere di stoffa».

Tra le bandiere anche una poesia in dialetto scritta da Riccardo Borzatta su un tessuto di Gegia Bronzini. «Pusséé in sù» (più in alto), posizionata sul passo Kangaru La, dove Enzo Santambrogio ha inoltre consegnato al vento himalayano anche il ricordo di un suo caro amico ristoratore, conosciuto come “Gianni del Sociale” di Como, portato via dalla malattia, posizionando una foto dell’amico, sostenitore di questo viaggio, tra le rocce a 5.200 metri. L’ultima bandiera è stata portata da Davide Valsecchi a 6.130 metri, affrontando la salita più dura sullo Stok Kangri, una delle vette principali della catena dello Zanskar, proprio a sud della capitale Leh.

“Passo per passo” i due assesi si sono poi spostati, facendo tappa in diverse città, verso Varanasi, dove il 22 luglio hanno assistito all’eclissi che ha lasciato al buio per tre minuti la città sacra agli indù. «Da questo viaggio – spiega Santambrogio – realizzeremo un libro-diario, che raccoglierà diversi scatti realizzati da me e i racconti di Davide. Personalmente invece pubblicherò un libro fotografico dal titolo “Nirvana take away”, realizzato con Polaroid, che verrà prodotto in duecento copie, ognuna delle quali conterrà un originale. Forse riusciremo anche a realizzare un audio libro, con i suoni che abbiamo registrato durante il viaggio, con il patrocinio dell’associazione disabili visivi, oltre a quello di diverse istituzioni».

LaProvinciaDiComo
Mara Cavalzutti

Le preghiere del Lago

Le preghiere del Lago

The Flags Carrier
The Flags Carrier by E.Santambrogio

Quando siamo partiti non sapevamo cosa aspettarci. Un montantagnino ed un artista di Asso, un paese in mezzo al Lago di Como, in viaggio con destinazione le montagne del Ladakh, l’Hymalaya Indiano ed il piccolo Tibet.

Nei nostri zaini una quarantina di bandiere realizzate dai ragazzi del Setificio di Como, preghiere di stoffa da portare sul tetto del mondo affinchè fosse il vento a recitarle quanto più in alto possibile.

Enzo Santambrogio, l’artista, non aveva mai dormito in tenda in vita sua nè era mai salito neppure sul San Primo, la montagna nel cuore del nostro lago. Lassù si apprestava a passare la notte nel suo sacco a pelo a 4800 metri prima di dare l’assalto al passo di 5200 pur di mantenere la sua promessa. Poco prima di partire un suo caro amico, “Gianni del Sociale”, era morto, rubato alla città da una brutta malattia.Enzo aveva promesso a se stesso che avrebbe portato una piccola foto di Gianni quanto più in alto fosse riuscito.

Per me, Davide “Birillo” Valsecchi, un montagnino del lago, era commovente guardare quel “ragazzo di città”, quell’artista chiacchierone che non sta zitto neppure con il fiato corto, così in alto, serio in piedi tra le bandiere colorate dei ragazzi del Lago mentre sistemava la piccola foto dell’amico scomparso tra i sassi. Enzo è un buon amico, ora Gianni potrà godersi il panorama dello Zangscar.

Tra le bandiere anche una poesia in dialetto scritta per noi da Riccardo Borzatta su un tessuto di Gegia Bronzini. “Pusséé in sù”, più in alto. Siamo gente nostrana in giro per il mondo, è con la lingua dei nostri vecchi che chiediamo al vento di dare voce alle preghiere dei nostri giovani. Bandiere tibetane made in Como, tutto un viaggio strano.

Poi è arrivata la neve, la pioggia e l’inconsueto freddo estivo che sembrava stravolgere il clima di quelle montagne aride. Mancava ancora una bandiera e mi sono fatto coraggio, ho preso lo zaino,le mie cose ed accompagnato da un nuovo amico, Juma, abbiamo provato a fare la differenza. Lo Stok Kangri, 6130 metri di montagna che non voleva lasciarsi prendere nascondendosi tra la neve e le nuvole. Alla fine, visto che non era per vanità che picchiavamo un passo dopo l’altro, siamo arrivati in cima ed è lassù che ora sventola la nostra ultima bandiera.

Prima di renderse conto erano già passati due mesi ed il nostro unico legame con casa era ormai solo il piccolo blog di paese, Cima-Asso.it. Uno spazio senza luogo dove raccogliere le nostre storie e ricevere il conforto delle parole di casa, degli amici. Un diario di viaggio condiviso tra chi và e chi resta.

Il nostro andare aveva però ancora un ultima tappa, un appuntamento con il cielo. L’eclissi a Varanasi. I due assessi hanno lasciato il freddo tra i monti e si sono buttati nel caldo torrido dell’India, tra il fascino della cultura orientale ed il disgusto per un inquinamento che, confondeno l’esotico ed il moderno, ammorba tutto. Ma nemmeno in quella palude culturale ed umana ci siamo persi d’animo ed il nostro sforzo è stato coronato da uno spettacolo tra i più suggestivi della natura. L’occhio di Dio nel cuore della città sacra dominava il nostro mondo, improvvisamente buio, agitando nei nostri cuori paure e speranze ataviche.

Dopo tre mesi era tempo di tornare a casa, di rivedere il nostro lago e le nostre piccole ma agguerrite montagne. Tempo di tornare a mangiare i sapori ruvidi della nostra terra e godere della compagnia di quei bruschi paesani ipertecnologici che sono diventati i Laghéé. Siamo appena tornati ed abbiamo già voglia di ripartire ma il prossimo viaggio sarà proprio il nostro lago: puoi girare il mondo in lungo ed in largo ma il posto più bello rimane casa tua se saprai amarla con il cuore.

Davide “Birillo” Valsecchi

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