Per parlare di Giorgio Ambrosoli bisogna parlare della sua nemesi, del suo assassino: Michele Sindona.
Chi era Sindona? Era un banchiere che nel 1974 venne salutato da Giulio Andreotti come “salvatore della lira” e nominato “uomo dell’anno” dall’ambasciatore americano in Italia. Nello stesso anno, tuttavia, l’impero di Sindona crollò e fu dimostrato dalla giustizia che la sua attività principale era il riciclaggio dei proventi del traffico di eroina di organizzazioni che rispondevano a nomi come Bontade, Spatola, Inzerillo e Gambino.
Sindona morì avvelenato in carcere dopo essere stato condannato all’ergasto ma, prima del tramonto, la sua vita travolse quella di Ambrosoli che venne chiamato a verificare proprio lo stato delle banche gestite da Sindona portando lo scandalo alla luce.
Tentarono di corromperlo, Ambrosoli resistette e così decisero di spezzarlo: fu ucciso con un colpo di pistola l’11 luglio 1979 ed anni dopo fu proprio Sindona ad essere condannato come mandante dell’omicidio.
Questa è la commovente lettera che scrisse alla moglie Anna nel pieno delle indagini:
«Anna carissima, sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. [… ]Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (…) Giorgio»
Quando Ambrosoli fu ucciso ai funerali non presenziò alcuna autorità pubblica ad eccezione della sola Banca d’Italia. L’FBI americana, in collaborazione con la Polizia Italiana, indagò su Sindona ed il suo crollo divenne inevitabile così come la condanna per omicidio e per altre 65 accuse tra cui frode, spergiuro, false dichiarazioni bancarie ed appropriazione indebita di fondi bancari.
Il 18 Marzo del 1986 Sindona fu condannato all’ergastolo per l’omicidio di Ambrosoli, due giorni dopo fu avvelenato con un caffè al cianuro di potassio nel supercarcere di Voghera: morì all’ospedale di Voghera dopo due giorni di coma profondo in cui non fu mai cosciente. La sua morte è stata archiviata come suicidio: a causa dell’odore particolarmente pregnante del cianuro si ritenne infatti impossibile un accidentale assunzione involontaria. Non si scoprì mai come e chi fornirono il veleno in carcere.
Lo scandalo coinvolse il mondo della politica e dell’economia italiana a tutti i livelli. Oggi quasi nessuno ricorda cosa avvenne in quei giorni.
Grazie alle dichiarazioni di Sindona nel 1998 la Procura di Palermo mise sotto sequestro tutti gli archivi di una piccola banca, la Banca Rasini di Milano. Dalle indagini emerse che tra i maggiori correntisti di quest’istituto di credito, assorbito nel 1992 dal Banco di Lodi, vi erano personaggi come Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano.
Sempre nel 1998, da un indagine giornalista del giornale politico La Padania, emergeva che Luigi Berlusconi, padre di Silvio, avesse lavorato fino alla pensione in quella banca come procuratore con potere di firma. Sempre nello stesso articolo, pubblicato da La Padania in un lontanissimo 30 Settembre del 1998, l’autore riportava che fu proprio questa banca, con 113 miliardi di lire, a sostenere gli sforzi finanziari da cui nacque l’impero di Silvio Berlusconi nel 1978. Oggi lo stesso quotidiano sostiene il partito politico che è alleato dell’uomo che all’epoca “condannò” proprio attraverso le proprie pagine.
Ambrosoli ricevette nel Luglio del 1999 la medaglia d’oro al valor civile: «Commissario liquidatore di un istituto di credito, benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all’incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all’estremo sacrificio.»
Io ho trentaquattro anni e vedo che nemmeno tutta la mia vita è ampia abbastanza per comprendere come i fatti avvenuti alla mia nascita possano aver condizionato quelli attuali. Tutta questa storia mi ha fatto tornare alla mente un passo della Bibbia, Esodo 34,6: “Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”
Ma citare la Bibbia è sconsolante se si apprende che anche lo IOR, l’Istituto di Credito della Santa Sede, fu coinvolto dallo scandolo che, grazie ad Ambrosoli, permise di acquisire la lista degli iscritti alla Loggia P2.
A volte, impotenti, non resta che attendere che sia fatta la Volontà del Signore mentre gli uomini giusti vengono uccisi, commemorati e dimenticati. A volte, però, si dovrebbe avere la dignità di incazzarsi…
Davide “Birillo” Valsecchi
Fonti principali:
Giorgio Ambrosoli Wikipedia // Michele Sindona Wikipedia // Banca Rasini Wikipedia, La Padania, The Economist