Sono stanco. E’ settembre ma sono sudato ed i calzoni corti sono macchiati di fango. Ero sul lago dieci minuti fa: appeso tra i rovi a picco sull’acqua. Ho fatto in fretta a tirarmene fuori. Ora sono parcheggiato dietro la stazione. Seduto dietro il volante mentre sprofondo nella musica: Joan Wasser accompagnata dal pianoforte.
Alle mie spalle, oltre la staccionata sull’argine del fiume, c’è un capannello di marocchini che imboscati tra l’erba ci danno dentro con la birra e lanciano voluttuose volate di fumo. Li guardo distratto: fate quello che vi pare ma non lasciate in giro i vuoti di vetro…
Uno grosso si gira, mi vede mentre lo osservo attraverso la staccionata, attraverso il parabrezza, attraverso l’infinito spazio tra i miei occhi e la mia mente. Borbotta qualcosa mentre inizia a fissarmi. Molti stranieri, come molti idioti nostrani, hanno la tendenza ad indispettirsi quando li osservi. La luce che rimbalza nei mei occhi forse appartiene solo a Dio e quindi più o meno solo lui può obbiettare su dove io posi il mio sguardo.
Senza muovermi cambio espressione ed allargo le labbra in un sorriso. Certo, ci sono un sacco di cose che possono andar male, ma resta il fatto che sono io quello seduto al volante di nove quintali di schiaccia-mosche metallizzata: se poi mi toccasse scendere sarebbe anche peggio…
Forse capisce, gira lo sguardo altrove dopo una lunga e sdegnosa tirata dalla boccia di birra. I miei occhi si spengono e sprofondano di nuovo in un oblio opaco. Joan canta ancora accompagnata dal piano e mi trascina con sè. Altrove. Lontano.
«Guardo i numeri registrati sulla casella postale. Penso alle tue mani e penso a come un uomo, quando desiderato, senta il peso di una lettera. E’ vero quello che dicono di me, che sono fuori di testa, ma penso che questo ti piaccia. Quindi corri il richio: diventa avventato con me. Credi sia piacevole? Seicentomila chilometri e tutta questa solitudine? Io so cosa sarà piacevole, e sarà ciò che troverò sotto il tuo nuovo paio di occhiali. Non ho mai incluso un nome in una canzone, ma sto cambiando per te: ho bisogno di sapere, ho bisogno di sapere che sono vita reale.»
Il treno esce dalla galleria fischiando. Io alzo la testa e riapro gli occhi. Apro lo sportello e sono in strada, oltre il cancello della stazione, lungo i binari. Fermo sul marciapiede oltre la linea gialla.
Il treno mi rallenta accanto mentro guardo attraverso i finistrini. Le porte si aprono ed i volti della gente cominciano a scorrere. Una coppietta sbarca mano nella mano mentre due senegalesi tarchiatelli mi passano accanto ciarlando. Ora un bianco con gli occhiali e la fronte stempiata. Ora una ricciola dalle gambe sottili. Ora il manovale dei treni che va dal macchinista.
La banchina si riempie all’improvviso e si svuota passo dopo passo. Lei è là, in fondo al treno, dall’altra parte della stazione. Mi fermo ed aspetto. La guardo venire verso di me. La luce che la porta a miei occhi forse appartiene a Dio, ma lei, lei che cammina verso di me, è solo mia.
Davide Valsecchi
Auguri Bru…
Ps. per mio fratello: Joan Wasser era la ragazza di Jeff Buckley quando lui morì.