Sur le chemin de Kisantu

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La giornata è curiosa: sono in Africa e sto andando a fare visita ad un Vescovo, al mio fianco nella jeep c’è un missionario che celebrava messa in Vaticano con Papa Giovanni II e che ha rinunciato a diventare Vescovo di Santiago de Cuba pur di continuare a prendersi cura dei suoi bambini. Effettivamente è difficile capire come un “satanasso” della mia specie possa essere finito in una situazione simile!

Tuttavia la realtà è abbastanza semplice: Padre Hugo doveva incontrare il suo superiore e noi ci siamo imbucati per cogliere l’occasione di fare un “giro in giro”. Eccoci quindi in viaggio per Kisantu.

La strada è la Numero Uno del Congo. La Numero Due è in costruizione da anni e tutte le altre un numero nemmeno ce l’hanno. Tuttavia è una buona strada, è ben asfaltata e scorre tranquilla su e giù per le colline unendo Kinshasa con Matadi, il porto principale del Congo alla foce dell’omonimo fiume.

Padre Hugo è un pozzo di conoscenza e nelle due ore di viaggio ci racconta quasi cinque secoli di attività missionaria ripercorrendo la storia del Congo fino all’arrivo dei primissimi portoghesi. Gli Europei muovevano i primi passi all’interno del Congo quando prendeva avvio la corsa alle Americhe e questo fece si che questa porzione di Africa fosse a lungo dimenticata ed abbandonata. Pare inoltre che tutta la prima missione evangelica, giunta qui nel 1400, sia scomparsa nella giungla e che solo secoli più tardi i missionari si spinsero nuovamente nell’interno. Guardandomi attorno vedo solo sconfinata foresta in un sussegguirsi di colline: addentrarsi in quella natura selvaggia non è facile oggi, così come non lo era quattro secoli fa.

A Kisantu la terra si fa più rossa, il clima umido ed il cielo plumbeo. Qui piove da giorni ed il terreno è fertile. Sfiliamo con la jeep davanti alla grande cattedrale in mattoni rossi e ci fermiamo sotto la residenza del Vescovo, anch’essa in mattoni ed in stile coloniale di altri tempi. I palazzi dovevano essere magnifici e ben curati a giudicare dalle forme e dalle finiture. Oggi però i giardini, in passato ben curati dai religiosi, mostrano i segni dell’abbandono così come gli edifici sembrano solo lo spettro di ciò che erano. Gli africani non hanno cura per simili cose e ciò che un tempo era un luminoso esempio ora appare una povera eredità. Gli africani sono così: dai loro un giardino e ci creano nel mezzo un sentiero fangoso per andare a comprare i fiori di plastica dai cinesi. Sono un popolo giovane sotto molti aspetti…

Accompagnamo Padre Hugo e con lui attendiamo l’arrivo del Vescovo ma, dopo i saluti di rito, tagliamo la corda lasciandoli alle loro discussioni. Bruna ed io ce ne andiamo a zonzo tra gli edifici che un tempo erano la scuola e l’università missionaria, spingendoci poi fin dentro il cuore della Cattedrale. Infine, finalmente trovato un chiosco dopo tanto lungo girovagare, ci siamo seduti ad aspettare con un paio di Fanta in mano.

L’attesa però non è vana. Bruna, io e Padre Hugo avevamo infilato nello zaino un pezzo di prosciutto sotto vuoto che mi ha regalato mio padre prima della partenza: quello, ed un po’ di pane acquistato lungo la via, sarebbe dovuto essere il nostro frugale pranzo. Tuttavia, con una certa sorpresa, il Vescovo ci ha gentilmente offerto il desinare e così, dopo tre settimane, ho finalmente potuto addentare nuovamente un pezzo di manzo che, per quanto duro e nervoso, mi è apparso delizioso!

Sul ritorno un piccolo imprevisto in pieno stile africano: salendo lungo una collina un grosso camion a rimorchio ha avuto un guasto e, vinto dal peso, ha cominciato a precipitare in retro marcia lungo la strada. Il rimorchio si è quindi messo di traverso lungo tutta la carreggiata e la motrice si è quasi accartocciata sotto di esso. La strada, resa impraticabile, si è riempita di una folla di automobilisti bloccati e vocianti.

La scena era piuttosto folcloristica e divertente se non vi fosse stata la seria possibilità di doversi accampare sulla strada per la notte. Il rimorchio, posto esattamente di traverso, bloccava entrambi i sensi di marcia: sulla sinistra una scarpata impediva di aggirare l’ostacolo mentre sulla destra era un profondo fosso per l’acqua a rendere impraticabile il passaggio. Se ci fosse stato un mimino di cooperazione si sarebbe potuto lavorare tutti insieme per colmare il fosso e rendere agibile il passaggio ma, in quel marasma, ognuno diceva la sua e tutti provavano le più improbabili manovre fuori e dentro quello stretto fossato in cemento. Nemmeno l’arrivo di un polizziotto ha contribuito a dare ordine: ora oltre al vociare avevamo uno con il fischetto…

La fortuna ha voluto che quattro camion porta container della SAT, Special African Transport, fossero appaiati appena al di là del blocco. I quattro autisti hanno unilateralmente preso di petto la situazione e, dopo aver ancorato tra loro due camion, hanno agganciato il mezzo incidentato e lo hanno letteralemente trascinato via in un tripudio di clacson e rombi di motore. Tutti urlavano a gran festa ma ovviamente, ancor prima che la strada fosse sgombra, tutti erano già in macchina litigando per passare per primi e generando così il secondo round di quel caos africano.

Una volta tornati alla pediatria Bruna si è munita di biberon per i piccoli mentre io mi sono rimesso a riempire sacchetti di sabbia: la pioggia incombe!

Davide Valsecchi

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