La Croix dans la jungle

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Si deve a Justin Gillet il primo giradino botanico d’Africa. Il padre gesuita agli albori del 1900 iniziò a sperimentare la coltivazione di piante da frutto cercando un modo efficace di sfamare la propria missione. Il suo fu il primo e più importante successo di questo tipo nella valle del fiume Congo. Non solo riuscì a coltivare ortaggi europei ma migliorò le culture di banano e maioca importando nuove speci di piante da riso dall’India e dal sud America.

Ma l’amore per la natura di questo religioso belga nato nel 1866 non diede vita solo ad un laboratorio a cielo aperto di agraria, ma anche ad un dei più bei giardini d’Africa, uno spazio in cui crescono e fioriscono piante provenienti da tutto il mondo. Padre Hugo ci ha portato a visitare il giardino a Kisantu durante la sua visita al Vescovo. Anche Padre Hugo è colpito e affascinato dalla bellezza e dall’affetto per la natura che trasmette quel posto. Padre Gillet ha riversato la sua vita e la sua fede in un’opera straordinaria.

Per comprenderne l’estensione si deve tenere presente che si attraversa il parco in jeep percorrendo lunghi tratti nella fitta boscaglia e risalendo per colline e declivi: ci si dimentica subito di essere in un parco e si sprofonda in una natura che appare selvaggia e vibrante.

In cima alla collina più alta vi è un monumento edificato nel 1934 e che ha saputo colpirmi in modo inatteso: è una grande croce posta al di sopra di un altare ed al cui fianco stanno due grandi statue di santi. I vandali, o forse i mistici, indigeni hanno mozzato la testa alle statue e sulla croce hanno disegnato strani simboli rossi. Nel cielo plumbeo vedevo quella croce sprofondare sempre di più nella vegetazione mentre, nonostante le avversità, dalla collina svettava ancora sulla meraviglia della natura e sull’operato di Gillet.

Non avevo mai visto un monumento cristiano preda della giungla: era un immagine decadente, colma di tristezza e nostalgia per un passato scomparso, per un ricordo che la foresta inghiottirà e conservererà lontano dagli occhi di chi non può capirne il significato. In quella croce  c’era qualcosa di romantico, di profondo, qualcosa che colpiva anche un miscredente come me: non l’hanno mai capito, non hanno mai compreso il suo gesto o il suo messaggio ed ora, lentamente, la giungla se lo stava riprendendo per custodirlo da questo mondo in declino.

“La natura è il modo più semplice per trovare Dio” dice Padre Hugo. La croce nella giungla mi ricorda quanto abbia ragione nel crederlo. Vado cercando Dio da tempo ma non sono buone le intenzioni che guidano la mia ricerca. Io credo che ormai lo sappia, che si diverta pure in questa caccia. Sfugge, non si lascia prendere ma abbandona dietro di sè indizzi e piccole tracce.  Non è nei templi, nelle chiese o nei luoghi di culto che si diverte con me, lì ci sono solo le paure e le debolezze dell’uomo. Io al contrario non ho preghiere, ho domande furiose da porgli e lui sembra  appendere distratto le sue brevi risposte tra i rami della natura che mi circonda: egli è un passo davanti a me ed io non posso fare a meno di inseguirlo, braccarlo senza sosta sapendo che il mio destino è morire, morire non appena l’avrò raggiunto. Sono il figlio di un cacciatore, in questa vita inseguo la preda più grossa.

Davide Valsecchi

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