A guidare il gruppo c’è Ghilen: siamo una decina, camminiamo in fila indiana attraverso le sterpaglie e l’erba alta fino a raggiungere una polverosa strada di terra gialla. Una strada o quello che ne rimane visto che al centro della stretta carreggiata l’acqua e le grandi piogge hanno scavato un canion profondo quasi due metri.
Poi di nuovo ci infiliamo nella boscaglia. Sulla testa portano sacchetti e secchi carichi di cemento mentre nel mio zaino c’è acqua ed attrezzi. Sono tutti ragazzi cresciuti nella pediatria, tutti ormai ventenni hanno quasi quindici anni in meno di me e la loro pelle è “fredda” anche sotto il sole. Io, al contrario, avanzo grondando sudore come una fontana e l’umidità di questi giorni mi sta spezzando la schiena: sono stato un ventenne per molti anni ma sembra che ora mi sia arrivato il conto tutto di un botto.
Siamo in marcia per Mikoti, un piccolo appezzamento di terreno di proprietà della pediatria a circa un’ora di cammino. Qui grazie agli aiuti dei volontari italiani sono state costruite delle cisterne per raccogliere l’acqua ed irrigare i campi. La cisterna in muratura perde acqua, per questo i ragazzi impastano il cemento con la sabbia raccolta lungo la strada e si calano al suo interno per impermeabilizzarne le pareti.
Cammino attraverso le culture mentre grasse lucertole colorate saltano davanti ai miei piedi come scoiattoli volanti. Ci sono piante di citrioli, di pomodoro e di manioca: la terra qui non è fertile come a Kinta ma con impegno si sono ottenuti buoni risultati anche qui.
All’ora di pranzo cuciniamo una piccola polenta di mais e grigliamo alcuni pesci. La giornata è ancora lunga e finalmente il sole filtra attraverso le nuvole scure mostrando il cielo azzurro d’Africa. Non si sta poi male qui…
Davide Valsecchi