Sabato mi sono lanciato nell’esplorazione delle alte scogliere di dolomia che sovrastano Onno. Di buon mattino mi sono messo in viaggio chiudendo a piedi la distanza tra Asso e Crezzo. La via più breve era salire fino alla cima del monte Megna e seguirne la dorsale fino al laghetto di Crezzo e così ho fatto.
In due ore ho macinato 10km di strada e quasi 600 metri di dislivello prima di poter iniziare a “darmi da fare” per davvero. La giornata era calda ma fortunatamente il cielo era qua e là velato salvandomi un po’ dalla morsa del sole di Maggio.
Giunti al bivio che conduce alla Madonnina di Crezzo ho imboccato il sentiero numero UNO in discesa con l’intento di utilizzare il numero SETTE per risalire. Voglio subito dire che entrambi i sentieri sono incredibilmente panoramici ma sono assolutamente sconsigliati a chi non sia pratico di montagna ed abbia esperienza sufficiente per muoversi tra prati e roccette seguendo un sentiero spesso di difficile interpretazione. Entrambi i sentieri sono classificati EE (Escursionisti Esperti) e sebbene non abbiano particolari passaggi tecnici meritano abbondantemente questa classificazione.
Da quasi 900 metri di quota si scende a 250/200 metri fino alle sponde del lago per poi risalire superando salti e strapiombi attraverso i prati che li cingono. Guardando in basso in più delle volte ci si ritrova il lago tra le gambe e questo dovrebbe darvi la misura di quanto possa essere esposto il sentiero in alcuni punti.
La segnaletica ed i segnavia sono presenti e rimarcano la buona volontà di chi cerca di mantenere in buone condizioni il sentiero ma, nonostante questo, spesso è richiesto occhio e logica per ritrovare il percorso laddove si perde nell’erba alta, tra le piante del bosco o tra le roccette. Le capre, inoltre, hanno una smisurata passione nel creare falsi sentieri che terminano il più delle volte nel vuoto. Quindi attenzione!
L’UNO in discesa non mi ha dato molti problemi, corre sul fianco sinistro dell’imponente canalone della Val Ferrera così come il SETTE si sonda sul lato destro. Solo in prossimità della località “Darniga” vi sono un paio di catene poste più per sicurezza che per reale necessità. Da quel punto, in cima al “Ceppo di Onno”, si domina il porto ed il paese sottostante dall’alto di una verticale e strapiombante parete. Molto panoramico ma anche esposto!
Il sentiero UNO termina a ridosso del grande muro di protezione che cinge le spalle di Onno e, una volta superato il sottopassaggio, si segue il muro sul lato opposto per imboccare il sentiero marcato CINQUE e SEI da cui parte anche il sentiero SETTE.
In questo tratto di strada si incontrano i famosi “Ulivi del Lago” che crescono nei prati protetti dalla roccia ed esposti ai benefici del lago.
Il SETTE in salita è un sentiero di tutto rispetto (l’espressione esatta sarebbe “è un calcio in culo come si deve!”). Io l’ho attaccato alle 11:30 ed il caldo rimarcava ad ogni passo la ripidezza e l’intensità del percorso. Vi consiglio, oltre di evitare un simile orario, di non commettere il mio stesso errore: ”Vado al lago, quindi calzoncini corti!”. Già, perché il sentiero non solo è spesso travolto da rovi ed ortiche ma pullula di serpenti ed animali striscianti che si agitano al vostro passaggio: un paio di jeans o di pantaloni lunghi e robusti avrebbero reso meno inquietante ogni passo nell’erba alta!
In particolare ho incontrato moltissimi ramarri verdi brillante di ragguardevoli dimensioni. Sono rimasto stupito perché altrove sul nostro territorio non avevo mai incontrato “lucertole” così grandi: complice il caldo avevo l’impressione di essere di nuovo in Africa!
Rocce, prati, guglie e placche: il sentiero SETTE offre un po’ di tutto e, semplicemente voltandosi, vi regala uno sguardo sul lago e sulle Grigne davvero sorprendente. Qua e là si incontrano piccole oasi dove il prato e le piante cospirano per tentarvi con angoli d’incanto durante la durissima salita: attenzione, fermarsi significa ritrovarsi a lottare con se stessi per ripartire!
A metà della salita si incontra la località “Crotascia” dove una “pancia” della roccia crea un riparo sotto cui riparsi. Tutta la zona è invasa dagli escrementi delle capre ma è un ottimo posto per ritirarsi qualora vi dovesse sorprendere il brutto tempo.
Poco prima di giungere al culmine della salita si incontra la grande croce posta a ricordo dell’incidente aereo del 1987. Tutta l’area sottostante, dove presumo si sia schiantato l’aereo, è davvero inospitale e terribile, una valle buia dove la terra sembra franare costantemente trascinando con sé alberi e detriti. Forse era la suggestione ma è una parte del percorso davvero inquietante.
In quel punto ho perso il sentiero e mi sono ritrovato in una gola buia ed umida. Mi sono imbattuto in due caprioli (che hanno cercato di farmi la pelle facendo rotolare a valle scariche di sassi) ed un grosso scorzone nero che come un fulmine mi ha tagliato la strada (facendomi prendere un colpo!). Ne avevo abbastanza e, visto che quel posto davvero non mi piaceva, ho puntato dritto lungo il canalone risalendo tra sfasciume e rocce riguadagnando la luce oltre il bosco. Curiosamente mi sono ritrovato davanti la chiesetta commemorativa dell’incidente aereo e l’attacco del sentiero SETTE si trovava lì poco distante. Gli ultimi 50 metri di dislivello del mio tracciato GPS prendeteli con beneficio d’inventario quindi.
Ormai erano le due del pomeriggio, avevo caldo e fame e così ho deciso di ripiegare verso San Giorgio passando da Crezzo e dai prati di Prezzapino. Da lì amici mi hanno dato un comodissimo passaggio verso casa. Ormai il mio GPS annoverava 22, 5km e 2.020 metri di dislivello in quasi sette ore di cammino: potevo averne abbastanza!
Sebbene l’UNO ed il SETTE mi abbiano fatto penare non poco credo siano due bei percorsi, molto difficili ma con un grande potenziale. Partendo da Onno (ed evitando tutto il mio lungo preambolo attraverso Megna) possono essere un ottimo allenamento e possono ripagare le fatiche con un magnifico tuffo nel lago a fine escursione.
Un percorso decisamente sconsigliato a chi non abbia adeguata esperienza e non sia disposto a “soffrire” un po’.
Davide Valsecchi
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