Category: Sentieri

Una raccolta di descrizioni, immagini e tracciati GPS dedicata alle escursioni sul territorio del Triangolo Lariano.

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Terra Biota

Terra Biota

Onestamente non so se “nuda” nel nostro dialetto si scriva con una o due “T”, il suono nostrano ne suggerirebbe una sola. Tuttavia il grande pratone giallo, nudo di piante, è l’unica porzione del San Primo che si vede da Cranno e dalla casa in cui sono cresciuto: quel drappo di velluto che si staglia sul cielo azzurro all’orizzonte ha sempre avuto un fascino particolare per me (la cresta verde che unisce il Roncaglia al Gerbal sopra i Cambrai) Da piccolo, anche in questo periodo, partivo insieme a mio papà dalla colma di Sormano con gli sci da fondo, quelli con le leggendarie scarpette dalla punta a papera, seguendo la vecchia mulattiera fino a Spessola. Qui c’era un vecchio casotto di caccia dove, in mezzo alla neve, ci fermavamo a fare merenda prima di tornare verso casa. Più recentemente, quando ho fatto il giro delle cime del lago, ci ho persino dormito in tenda: uno dei luoghi più sereni dove trascorrere in pace un po’ di tempo. Per questo, complice le belle giornate di questi strani inverni, ne ho profittato per portarci a spasso Bruna. Purtroppo oggi non ho troppo tempo per scrivere e dovrete accontentarvi delle foto immaginando la storia che le lega tra loro. Questa sera i Badgers salgono al Corno Occidentale per illuminare anche i Corni di Canzo nella notte delle fiaccolate: un sacco di preparativi da finire! Quindi fuggo dalla tastiera: a presto e tanti auguri!

Davide “Birillo” Valsecchi

Azzoni Point-Blank

Azzoni Point-Blank

DSCF4631“Anch’io sono disposto a morire… Ma non di noia!” – ZabriskiePoint. Quando usciamo dal bar del piazzale della funivia era abbastanza chiaro che le giornata promettesse pioggia, quello che non mi aspettavo era di sentire in lontananza una chiara ed intensa scarica di sassi venier giù da qualche parte sul Pizzo D’Erna: “Accidenti!” Nonostante sembrasse interminabile non c’è stato modo di capire da dove fosse venuta già “…vabbè, tanto a me la Gamma1 non mi piace: è una scala che porta in spazzacà! Con questo tempo fortunatamete non ci sarà nessuno da quelle parti…”.

Io e Josef iniziamo a camminare e chiacchierare fondendo insieme i massimi sistemi alla filosofia, al cimena, al lavoro, alle donne, ai sogni, alla vita in genere.  Spesso quando si arrampica si è legati e divisi da 50 metri di corda, forse è anche per questo che senza se ne approfitta per rinsaldare i legami che sono la vera sicura di una cordata.

1300 metri di dislivello più tardi siamo davanti al rifugio Azzoni, sulla cima del Resegone. La nebbia copre ogni cosa e le goggioline si fanno più frequenti: “Birra?”. L’Azzoni è un bel rifugio di vetta: rosso fuori e dall’interno in legno intriso di storia. Quando entriamo ci accoglie un ragazzo ricciolo con due intesi occhi azzurri, mani grandi e sorriso sincero. Lui e Josef si conoscono bene ma ancora io non so chi sia. Però ha “una bella faccia”: mi sta subito simpatico. Il rifugio è quasi vuoto e così, tutti e tre, ci sediamo insieme ad un tavolo. Un boccale da litro in mezzo e qualche lattina di birra per riempirlo.

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“Ma tu sei Birillo?” Mi chiede il giovane “capanat” di 24 anni: oltre ad essere quasi omonimi ci siamo già parlati senza saperlo. E’ compagno di cordata di “Scienza”, con cui ha aperto diverse nuove vie, ed era con Marco Anghileri al Pizzo d’Eghen nella sua celebre maratona verticale ”Le 6 C – Tributo a Cassin”. Non lo incontri mica tutti i giorni qualcuno con cui chiacchiarare di quel caminone sulle Grigne!

DSCF4645“Ma sai che il mio socio Mattia, nonostante tutto, ci è tornato due volte per esplorare la famosa grotta di Cassin prima del penultimo ultimo tiro? In quel punto, proprio come diceva il libro, la grotta rientra per una decina di metri e sul fondo, praticamente al buio, ci sono davvero i tre sassi incastrati con cui ha superato il sasso incastrato che tutti gli altri, noi compresi, abbiamo passato appesi fuori a sbalzo!”

Fuori è agosto ma sembra ottobre: chiacchieriamo svuotando il boccale, poi una stretta di mano e ci salutiamo. La pioggerellina si è fatta più fitta ma con fare tranquillo ci avviamo lungo le creste. Poi, nel buio bianco dell’orizzonte, risuonano i tuoni che avanzano, probabilmente dalla Grignette. Il piacevole torpore della birra scompare ed i nostri piedi, spronati da una rinnovata lucidità funzionale, si muovono veloci sui sassi del Canale Bobbio: “Accidenti! Basta nominarlo l’Eghen che scatta il temporale! Peggio di Frau Blucher!!”

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Quando la pioggia arriva è come una secchiata violenta e riempie l’aria. Io e Josef siamo però già seduti al bar della Seggiovia con due nuove birre in mano. “Bhe, credo che per scendere questa volta ci facciamo dare uno strappo!”

Mentre la gabina della funivia si inabissava nella nebbia pensavo ad un titolo con cui scrivere l’articolo. Non so perchè ma mi è venuto in mente “Azzoni Point”, mi ricordava lo “Zabriskie Point”, il punto più caldo del pianeta nella Death Valley in California. Enzo me ne parlava sempre ad anche a Milano, in un stradina di via Torino,  c’era un vecchio e scassato negozio di dischi con quel nome. Credo sia diventato qualcosa di famoso dopo un film culto degli anni ’70, realizzato per di più da regista un italiano: non avevo mai visto quel film e così, mentre scrivevo, ho cominciato a guardarlo via internet, lasciandolo come sottofondo, rubandone qua e là qualche frase. Strano mondo gli anni ’70, quasi più incasinato dei quello del nuovo millennio. Poi, all’improvviso, mi è tornata alla mente un passaggio di Bernard Amy: tutto ha cominciato ad avere un senso, anche se inafferrabile, forse inutile. Strano modo di cominciare il lunedì mattina…

Davide “Birillo” Valsecchi     

“Forse le riunioni non sono il suo forte?!  Dite a quel tipo di iniziare a leggersi il libretto rosso, alla prima pagina, dove sta scritto che in nessun posto può iniziare una rivoluzione senza che ci sia un partito rivoluzionario …e che se andrà avanti così, con il suo individualismo borghese, finirà per lasciarci la pelle!” “Non scherzo, ne ho le scatole piene… hai sentito quel cretino dire che si deve fare qualcosa solo quando ce n’è bisogno? No, Io ne ho bisogno prima!” Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni

“La scalata era diventata il segno della nostra sottomissione all’uomo bianco, arrampicare era una nuova obbedienza. Uno dei modi per far disobbedire le parole è tacere. Uno dei modi per ottenere che la scalata non sia più una sudditanza è proibirla. Chiesi a qualche bravo scalatore che avevo conosciuto di venire sulle nostre torri, di spezzare i ferri che vi erano stati conficcati, di cancellare ogni traccia di passaggio. Poi le abbiamo vietate. E non poterle salire è, ai vostri occhi, la nostra nuova disubbidienza” La disobbedienza di Bernard Amy

“Nel mio boccale voglio solo gioia ed allegria. Non ho tempo nè voglia di pensare. Troppo tardi mi sono accorto dell’inutilità di fidarsi dei libri degli antichi saggi. Ieri sera, barcollando ubriaco, mi appoggiai ad un pino. Domandai all’albero «Quanto sono ubriaco io?» Mi parve che il pino si chinasse a sorreggermi, allora gli dissi sprezzante «Vattene Via!»” Xin Quii – L’unghia del drago – via WhatsUp per Londra

Lassù sul Ledù

Lassù sul Ledù

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Sono le 12.38 di sabato 20 Agosto 2016 e sto scrivendo dall’interno del Bivacco Bruno Petazzi posto in un luogo meraviglioso situato a quota 2250m, messo a guardia del Lario e del magnifico lago alpino di Ledù. Io ed il mio socio (Matteo “Blanko” Bianchi) siamo bloccati qui dal maltempo e finché le ire degli Dei non si placheranno resteremo ben protetti dentro a questa ottima costruzione gestita ed ottimamente mantenuta, viva ed efficiente, dalla sezione CAI di Dongo.

Blanko se la dorme alla grande sotto due coperte di lana, nel frattempo mi gusto la tempesta dagli oblò del bivacco; mentre scrivo la nebbia entra silenziosa dalle aperture poste ad ovest, attraversa la stanza e se ne esce verso est come eterei spiriti di passaggio. Siamo partiti ieri dalla Brianza poco dopo le 10 diretti al centro commerciale Fuentes in Alto Lario per fare il pieno di viveri.

Vista l’ora ci fermiamo a prendere un menù maxi ignorante composto da doppio hamburger con bacon, salsa barbecue e patatine fritte; dopo un ottimo caffè gentilmente servito ed accompagnato da un amaro partiamo col mezzo pesante in direzione Livo. Entriamo in paese per fare il permesso di transito (1€), ma la macchinetta accetta solo monete e noi abbiamo una banconota da 5€ ed il paese è deserto.

Attendiamo qualche minuto ed ecco che una vettura esce dal parcheggio, scendo e chiedo all’unico occupante del mezzo se avesse per caso da cambiare un 5 in moneta per il permesso. L’uomo è sicuramente del paese, il tipico accento del luogo non mente, avrà qualche anno in più di me: sorride e mi da un euro dicendo che non aveva altre monete con sé. Non mi va di accetare senza dare e lui non vuole il mio 5€, allora lo ringrazio dicendogli che cercheremo di cambiarli altrove. Insiste e mi dice: prendi la moneta a me non cambia nulla, tanto nella vita tutto torna; oggi io ho fatto un favore a te e tu domani lo farai a qualcuno d’altro e ritornerà. Tranquillo è così. Be’ grazie amico, hai ragione sai? Sorrido, prendo l’euro e lo ringrazio augurandogli buona giornata, lui ricambia e riparte: belli questi incontri.

Arriviamo alla fine della strada, ovvero al Crotto Dangri di Livo (quota 650m), carichiamo gli zaini e partiamo. Ci aspettano un bel po’ di metri di dislivello con gli zaini carichi e fa un caldo terribile reso ancor più fastidioso dell’umidità che sale dal terreno inzuppato dalla pioggia della notte precedente, respiriamo acqua ma le gambe ci sono e vanno su alla grande.

Fatichiamo non poco e spesso ci dobbiamo fermare alle fontane o lungo il torrente per bere direttamente dalle acque cristalline. Salendo il clima cambia, ma continuiamo comunque a sudare in maniera smisurata (maledetto maxi menù!) ora siamo circondati da nubi che spesso nascondono il magnifico splendore di ciò che ci circonda. Arriviamo alle ultime tracce di umanità rappresentate da tre baite in pietra circondate da splendidi cavalli allo stato brado e da un’infinità di pecore. Ci rifocilliamo e riprendiamo a salire il pezzo più duro e meraviglioso del viaggio. Dopo l’ennesima sudata e dopo altri chilometri macinati su un notevole dislivello ecco apparire il bivacco, unico nel suo genere!

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Blanko sale frequentemente da solo quassù, conosce ogni roccia del luogo e spesso ho ascoltato i suoi racconti. Scaravento lo zaino a terra e comincio a correre verso il Lago Ledù che sempre mi aveva affascinato in foto, ma che mai avevo visto coi miei occhi. Resta nascosto alle spalle del bivacco ed è circondato da un’incredibile anfiteatro naturale di creste di roccia, arrivato lungo il suo emissario che forma una piccola pozza proprio accanto al bivacco, vengo colto da un momento di emozione per la bellezza, per la solennità, la solitudine ed il silenzio del luogo. Resto accovacciato per qualche minuto con una sensazione di mancanza di spazio-tempo che spesso mi coglie davanti alla maestosità di alcuni luoghi. Ripresomi dall’impatto della visione del laghetto alpino, torno al bivacco a preparare la branda mentre il socio prepara da mangiare.

Il sole sta per concludere il suo viaggio verso ovest incendiando nuvole e creste, presto lascerà la scena alla Luna porgendole in dono una parte della sua luce riflessa che ci permetterà di vederla nascere alle spalle di una catena di vette selvagge. La cena è pronta, mangeremo fuori su di un improvvisato tavolo fatto di pietre ed alla fine conteremo: un litro di ottimo rosso, mezzo litro di acqua di lago, un chilo di gnocchi freschi con un vasetto intero di ragù, mezzo chilo di pane e qualche biscotto. Lo so, facciamo schifo a mangiare!!! Le nubi a tratti ci mostrano Luna, stelle e Lario, ma verso le 22 tutto ormai è coperto. Sistemiamo tutto ed andiamo a dormire. Dormita spaziale, comodità totale e silenzio irreale, sembra di essere in grotta! Ritorniamo in vita poco prima delle 10, preparo del the al bergamotto e ci scofaniamo un pacchetto di biscotti al cioccolato, sistemiamo il tavolo in pietra e laviamo i piatti alla pozza d’acqua.

Il socio parte per conquistare una nuova cima, io sento il bisogno di restare qui a fare il pieno delle energie sprigionate da questo luogo. Torno al lago portando il fornelletto utilizzato spesso in grotta, l’inseparabile tazza delle grandi avventure e la caffettiera del bivacco. Mi godo la magnificenza dell’ambiente circostante attendendo che il suono del caffè in preparazione rompa il silenzio delle Montagne.

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Le condizioni meteo stanno cambiando velocemente e quassù non si scherza, lo so bene, torno a ritirare i panni stesi e mi siedo sull’uscio ad attendere l’arrivo del socio e della pioggia leggendo il libro delle visite del Bivacco. Mangiamo schifezze e la pioggia arriva puntuale, sistemiamo tutto e prepariamo gli zaini, ma così non possiamo partire!

Quindi eccomi qui di nuovo ad ora: il socio ancora dorme ed io guardo le gocce scorrere copiose lungo i vetri delle piccole finestre ascoltando i tuoni che pian piano si avvicinano. Tiro di nuovo fuori il fornelletto per prepararmi un the bollente cercando di recuperare gli ultimi biscotti rimasti.

Ora stacco tutto e tengo la batteria del cellulare per la discesa…
Continuerò una volta a casa.

Esco e mi dirigo al lago Ledù per fare il pieno di acqua, diluvia davvero con gusto ed il temporale è sopra di noi. Spettacolo meraviglioso! Rientro e seduto al tavolo osservo le vette che circondano questo incredibile luogo, nel frattempo il socio si ridesta chiedendomi l’ora: sono le 14 soci, vuoi una tazza di the? Si grazie; cosa facciamo, chiede, restiamo anche questa notte? Ehm Teo, abbiamo finito il cibo… Ti credo ieri ci siamo mangiati un chilo di gnocchi! E va be’ avevamo fame gli rispondo! Grasse risate! Dai prepariamoci e scendiamo, tanto non smetterà. Sistemato e pulito il bivacco, lasciamo nella cassettina più del dovuto come ringraziamento a chi si prodiga per mantenere perfettamente questo luogo ed usciamo sotto una pioggia battente che un paio di volte ci farà perdere il sentiero proprio nel punto più delicato del ritorno, ma che poi tagliando a mezzacosta tra i mughi, scivolate e lastroni granitici ritroveremo senza troppi problemi.

Il diluvio ci accompagnerà sino al Ponte di Baggio, giunti all’ultimo gruppo di baite prima di scendere verso la chiesetta di Sant’Anna ci fermiamo alla fontana per strizzarci ancora una volta i calzettoni e svuotare l’acqua dagli scarponi. Veloci scendiamo lo scivolosissimo ciottolato che ci riporterà al Dangri ed in poco siamo al mezzo dove sgranocchiamo qualcosa e ripartiamo alla volta della SS36, poco traffico ed acqua battente dall’uscita di Fiumelatte in poi.

Alle 21 rientro a casa, svuoto lo zaino, butto tutto in lavatrice e mentre mi preparo la cena mi batto col felino per la conquista del territorio. Sono tornato amico! Doccia e libro, avventura finita.

Grazie Socio per tutto e grazie al CAI DONGO per la perfetta manutenzione del Bivacco Bruno Petazzi, vero gioiello dell’Alto Lario.

Matteo “TeoBrex” Bressan

Grigne: tre Birrette ed un Prosecco

Grigne: tre Birrette ed un Prosecco

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«Andiamo a farci un giro in Grigna?» La proposta di Josef era allettante. Si cammina e non si arrampica: pensavo di cavarmela facile ma mi sbagliavo. Josef voleva curiosare attorno al Sasso Cavallo perchè c’era stato solo una volta, ma di corsa, e non aveva avuto il tempo di studiarne le vie d’arrampicata: forse doveva bastare questo per farmi scattare un campanello d’allarme!

«Perchè hai fatto la val Cassina di corsa?» la mia domanda era davvero ingenua, la risposta invece preoccupante. Josef infatti aveva partecipato alla prima edizione del Trofeo Scaccabarozzi, la celebre e storica SkyMarathon delle Grigne, piazzandosi al dodicesimo posto assoluto di quella massacrante gara di corsa. Un risultato strepitoso (e spaventoso!) dato che quell’edizione era valevole per la Coppa del Mondo!

Così eccomi lì, a cercar di trovare gambe e fiato per stargli dietro: Rongio, Cassina, Bietti (Birra), Guzzi, Piancaformia, Brioschi (Birra), Scudi, Giardino, Scarettone, Rosalba (Birra), Pertusio, Manavello, Rongio, Bar Dina (Prosecco). 39292 passi, 26,70Km e 12 ore sotto il sole. Pensavo ci volesse meno …bagai, son davvero grandi le Grigne!!

La mattina, a Mandello, abbiamo fatto colazione al Bar del distributore di benzina, quello prima del ponte della ferrovia davanti alla Moto Guzzi. Appeso al muro c’era un poster di Mario Panzeri, il terzo italiano ad aver raggiunto tutte le quattordici vette più alte del mondo senza usare bombole di ossigeno (Messner, Mondinelli e Panzeri: che trio!). La sera alle nove, nuovamente a Rongio, è stato inaspettatamente proprio il sorriso di Mario Panzeri ad accoglierci entrando, come da tradizione, al Bar da Dina: anche questi incontri fanno parte delle Grigne!

Ma andiamo con ordine, rimettiamo insieme i pezzi e vediamo un po’ quello che si è riuscito a scoprire. Rongio, sul versante meridionale della Val Méria, è il punto di partenza di diversi itinerari che portano tanto alla Grigna quanto alla Grignetta. Superato il Ponte di Ferro si può salire alla Gardata, sul lato dello Zucco di Pissavacca, oppure puntare al Rifugio Elisa o alla Val Cassina, tra il Sasso Cavallo ed il Sasso dei Carbonari. In ogni caso per tutti i percorsi è tappa obbligatoria la Ferrera, la celebre grotta citata anche da Leonardo da Vinci alla fine del 1500: “… ma la maggiore è quella di Mandello, la quale à nella sua basa una busa di verso il lago, la quale va sotto 200 scalini e qui d’gni tempo è diaccio e vento”.

La Ferrera spesso prende anche il nome di Grotta dell’Acqua Bianca o Grotta del Rame, non saprei darvi certezza di quale sia corretto. Quello che è certo, così come testimonia il buon Leonardo ben 500 anni fa, è che il sentiero per arrivarci è un’interminabile biscia a scalini di sasso, tanto affascinante la prima volta quanto noiosa le successive. Quando vi renderete conto della penuria d’acqua tra le Grigne inizierete ad affezionarvi in modo intimo alla straordinaria fontana dalla Ferrara ed al suo salvifico getto continuo d’acqua gelida!

«Ci facciamo un giro dentro?» Ho preso la frontale dallo zaino e, divertito, ho invitato Josef a seguirmi. «Io non capisco cosa ci troviate!? Tutto buio, umido …fangoso!» Con qualche protesta mi ha comunque seguito nella grande sala principale. Curiosamente la maggior parte degli alpinisti che conosco entra controvoglia e con una certa inquietudine nelle grotte. La Ferrera, tuttavia, è una grotta che con adeguata prudenza può essere facilmente visitata anche da chi non ha esperienza speleo.

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Il fascino orrido dello Scarettone e la Val Male catturano lo sguardo mentre risalendo si inizia ad intravvedere il rosa dei muri del Rifugo Rosalba ai piedi della Cresta Segantini. Poi, finalmente, siamo ai piedi del Sasso Cavallo. «Davvero grande, nevvero?» In parete c’è una cordata al secondo tiro di “Cavallo Pazzo”: Josef ed io, come due turisti con il naso all’insù, ci sediamo su un sasso piatto affondando i denti nei panini che ci ha preparato Bruna. Dieci tiri per quattrocento metri di via tra diedri e fessure fisiche con passaggi che oscillano costanti sul 6b/6c. A quei due toccano una decina d’ore di battaglia sotto un sole cocente e, se non si danno una spiccia, forse anche di più!

Io, piacevolmente, oggi devo solo curiosare restando comodamente a terra. Josef invece cerca interessato la via “Oppio” tra le increspature della roccia. «Nino Oppio è uno di quei grandi che purtroppo spesso vengono trascurati». La sua via, tracciata con Oreste Dell’Era tra il 14 ed il 18 agosto 1938, è un pezzo di storia sul sasso Cavallo. Un grande costretto a rubare al lavoro il tempo per arrampicare: “…guarda le date delle mie più belle ascensioni: vedrai che cadono tutte di domenica oppure intorno a Ferragosto.” Già, ma nonostante questo parliamo di 98 ore in parete, 4 bivacchi, 220 chiodi normali di cui 20 lasciati in via: qualcosa che difficilmente trova pari nell’attuale contemporaneità! Giganti, erano davvero dei giganti!

Finito lo spuntino rimontiamo il canale della Cassina risalendo fino alla bocchetta. Al bivio la soluzione più diretta sarebbe la ferratina dei Carbonari ma il caldo, e la sete, iniziano a farsi sentire. Così, confidando nella promessa di una birra fresca, ci abbassiamo fino al Bietti-Buzzi.

Ormai è la sete a condurci. A “rebattone di sole” ci infiliamo su per il rovente sentiero Guzzi puntando verso la cresta di Piancaformia: risalgo veneggiando nei rari ma provvidenziali aliti di vento che rinfrescano la calura. Raggiunta la cresta ci appare il grande bacino nord della Grigna, il “Circo del Moncodeno”, quell’immenso “pentolone buco” che è il bacino carsico del Bregai.

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Risaliamo la cresta ma rinunciamo all’integrale deviando verso il sentiero del Ganda: ci sono troppi escursionisti sul sentiero e sarebbe sciocco, per vanagloria, centrarne qualcuno con qualche sasso dall’alto nel week-end di Ferragosto. Così, con senso civico modello, ci mischiamo alle signorine che ansimando risalgono in fuseaux verso la vetta. In fondo anche questo è parte del folclore della Grigna: alpinisti distratti che guardano il culo alle tipe mentre la “Guerriera”, gelosa ed offesa, cerca di centrarli in fronte a sassate… Le leggende hanno sempre un fondamento!

Al Brioschi la seconda birra è piacevolmente alla spina! Alex, il capanat, è piacevolmente di nuovo in piedi ed in forma dopo l’incidente dello scorso inverno (Grande Alex!) e ci godiamo due chiacchiere sulla panchina d’ingresso con Claudio. Il rifugio, come è prevedibile in questa stagione, è un via vai di gente ma nessuno sembra intenzionato a rovinare la piacevole atmosfera della vetta e del “Rifugio più amato dagli italiani”. Si sta davvero bene lassù.

Poi i Comolli sono inghiottiti dalla foschia che lentamente sale ad avvolgere il versante est. Ci rimettiamo in marcia abbassandoci al bivacco Merlini e proseguendo verso lo Zucco dei Chignoli, gli scudi di Tremare ed il sentiero della Traversata Alta. Si discende una serie di belle balze di rocciose attrezzate con delle catene (Attenzione, è un itinerario tutt’altro che banale e decisamente esposto in discesa) prima di un ultimo tratto friabile e delicato che porta al Buco di Grigna.

«Accidenti che folla!» «Già, prima uno mi ha dato una spallata passando … sembra di stare giù in centro…guarda che ressa!» Dal Buco di Grigna alla Bocchetta di Giardino sono duecento metri di dislivello in uno degli ambiti più solitari ed affascinanti tra le due Grigne. Due camosci ci osservavano incuriositi, stupiti che in quell’ora ormai tarda ci fossero ancora viandanti ad invadere i loro spazi privati. Il posto è bellissimo ma la fatica (e la sete) iniziano nuovamente a farsi sentire.

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Il sentiero dello Scarrettone, complice forse anche la stanchezza, è più lungo ed impegnativo di quanto ricordassi: ormai protetto a catene lungo quasi tutta la sua lunghezza affronta una serie infinita di roccette e canaletti tutt’altro che trascurabili. Le profondità dell’abisso sottostante ribadiscono la natura intensa e battagliera della Grignetta: non c’è troppo da menarsi via su quel sentiero!

Quando arriviamo al Rosalba abbiamo ancora un paio d’ore di luce prima del tramonto. Ci infiliamo nel rifugio concedendoci la terza birretta della giornata: Io e Josef ci divertiamo bonariamente a prendere in giro il giovane Luca, il figlio diciassettenne del rifugista. «No no, quella roccia lì non ha un nome e neppure una via. Non è niente …è roba che vien su ma che non conta. Se quelli forti non ci hanno mai aperto niente vuol dire che non ne vale la pena… roba inutile…» Immaginatevi in quale guaio si sia cacciato il giovinetto rispondendo con queste parole ad una domanda di Josef su un’evidente fessura obliqua di cento metri! Ero talmente divertito che ho persino cercato di soccorrerlo! Beata gioventù, se non vi date una svegliata non avrete mai un Nino Oppio tra i vostri coscritti!

Nella luce calda del tramonto il lungo traverso verso la cima del Pertusio è assolutamente affascinante: ripidi prati verdi e roccia bianca a sbalzo sui riflessi azzurri del lago sottostante. I camosci giocano e si rincorrono divertiti, ormai incuranti della nostra silenziosa presenza. Anche io mi diverto ad inseguire il sentiero invaso dall’erba alta: davvero bella quella parte della Grignetta.

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Superiamo il bosco di betulle e l’ultima rampa che porta al Baitello del Manavello. Le difficoltà sono ormai finite e maciniamo veloci la strada che ancora ci separa dall’abitato di Rongio. La fontanella nella piazzetta è una specie di oasi mandata dalla provvidenza. Finalmente possiamo goderci grandi sorsate d’acqua ed alleviare il sole sulla pelle: «Sulle Grigne si patisce la sete!» I lampioni sono accesi accesi, ci infiliamo delle maglie asciutte ed entriamo da Dina per confermare la teoria: «Prosecco e patatine: brindiamo al nostro giretto in Grigna!»

Davide “Birillo” Valsecchi

Ps: Le prima via storica sul Sasso Cavallo è di Gino Carugati e Giorgio Ripamonti, il 25 settembre 1910. La Oppio del 38 dovrebbe essere la terza dopo quella di Cassin nel 33.

Quater Pass (alla volta): OSSUCCIO-CROCIONE

Quater Pass (alla volta): OSSUCCIO-CROCIONE

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Le avventure di TeoBrex: Si stava avvicinando a grandi passi l’ennesimo fine settimana, sinonimo di tranquillità ed avventura. Se il sabato era già stato programmato da tempo (bellissima giornata in canoa canadese sul lago di Pusiano), la domenica l’avevo lasciata libera da ogni coinvolgimento; chi apprezza La Montagna conosce bene quel momento in cui si ha il bisogno di camminare nella solitudine dei sentieri poco battuti, percorrendo lunghi tragitti ascoltando solamente il proprio respiro ed i suoni amici del bosco.

L’idea era quella di tornare lungo gli amati pendii del Monte Calbiga o Galbiga (a seconda tu sia laghèè o sciüscia nebia, ahahah), ma quale percorso scegliere? Esploro le solite risorse fidate in rete e subito resto incuriosito da un bel sentiero: numeri alla mano non sembra proprio essere una passeggiatina da nulla…Chiedo lumi a chi quei luoghi li conosce molto bene (guarda caso il consiglio cade proprio su quella via) e mi faccio spiegare a voce le caratteristiche del territorio, i sentieri da prendere ed i tempi di percorrenza; a posteriori si riveleranno consigli precisissimi ed utili. Grazie!

Obiettivo: partire dal Lago ed arrivare alla vetta del Monte Crocione. Esco di casa guardando i famigliari profili di Resegone e Grigne che attendono di essere incendiati dai colori dell’alba ancora lontana, butto lo zaino in macchina e parto. Niente Musica oggi! I magnifici paeselli costieri del Lario ancora sonnecchiano mentre percorro la Statale Regina, il lago è liscio come uno specchio.
Giunto ad Ossuccio lascio l’auto in prossimità della chiesa di Sant’Agata e Sisinnio, zaino in spalla comincio il mio cammino. Percorro la via crucis che in poco tempo porta al Santuario della Madonna del Soccorso (Patrimonio dell’umanità UNESCO). Mi fermo ad osservare questa magnifica costruzione, bevo un sorso dalla sorgente lì accanto ed affronto il pezzo più duro di tutto il percorso: una mulattiera dalla pendenza micidiale!

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Mi trovo ad attraversare il rado bosco sino alla località Preda, al bivio scelgo di salire sulla sinistra proseguendo verso le solitarie ed affascinanti località di Gaggio, Cassina e Gravona: splendido esempio di antica ruralità! In due ore dalla partenza mi ritrovo alla Bolla di Boffalora. Se durante il tragitto ho incontrato solamente una paio di gatti, una vipera, una mucca ed un caprone che mi spiava da dietro gli alberi, arrivato al Rifugio Boffalora incontro il primo essere umano della giornata: mi fermo a chiacchierare col simpatico gestore. Le solite “quater bal” che si fanno in questi luoghi, svelato il mio obiettivo ci salutiamo e riparto alla volta della cima: ci vorranno due ore con un buon passo sai? Be’ ci ha preso in pieno. Saggio uomo!

Prendo la strada militare che sale verso il Rifugio Venini, esco dal tracciato percorrendo un brevissimo tratto della Via Dei Monti Lariani e riprendo a salire. Davanti a me una moltitudine di agnelli, pecore e capre si gode il caldo sole del mattino spiaggiata sui pendii erbosi del crinale. Sembrano non curarsi della mia presenza, tranne un caprone dal lungo pizzo… Si alza e mi guarda con fare interrogativo incedendo verso di me, mi fermo e lo guardo con tranquillità: il pizzo più lungo è il mio, quindi lui si sposta avvicinandosi al resto del gregge che imitandolo mi apre un passaggio in mezzo a loro. Guardo la scena e quando tutti restano fermi comincio a camminare tra loro, una volta transitato pian piano richiudono il passaggio tornando a sdraiarsi sui caldi ed umidi prati del costone. Ah, figata!

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Salgo lungo la bellissima Linea Cadorna e mi fermo per un poco tra le mura a respirare quell’aria densa di un passato fatto di grandi imprese e di grandi uomini: polmoni pieni, riprendo il cammino. Aggiro l’ultimo alpetto ed ecco là la mia meta. Arrivo al villaggio fantasma perdendo tempo a gironzolare per le case ormai crollate e godendo di un panorama più unico che raro, ma il Crocione mi attende: ultimo strappo deciso, sono in cima! Mi godo appieno questi attimi di solitudine guardandomi attorno a trecentosessanta gradi, ed ascoltando il vento che sempre più freddo comincia a farsi tagliente come lame di rasoio sulla pelle. Improvviso un semplice discorso con un viandante solitario proveniente dalle terre teutoniche, il suo inglese è perfetto il mio… E pensare che una volta lo parlavo bene, va be’… Asèn!!!

Riprendo il mio cammino spedito e senza pause fino a Gravona, mi siedo all’ombra delle rovine di una vecchia casa, mangio qualcosa e riparto. Arrivato a Preda inizio ad avere seri problemi alle ginocchia, la discesa è davvero devastante, ad ogni passo mi sembra che le rotule stiano per esplodere, mi fermo giunto di nuovo al santuario. Stiracchio un poco quello che mi resta delle gambe e riparto. Eccomi di nuovo alla macchina!

Davvero niente male come escursione, la consiglio assolutamente a chi ha voglia di “farsi del male”. In totale ho macinato poco meno di 25Km in 8 ore pause comprese con dislivello positivo di 1400m. Ci voleva! Nella testa una frase di Guido Rey a mettere il sigillo a questa bellissima esperienza solitaria. «La montagna è fatta per tutti, non solo per gli alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte». Per me vale sempre la seconda, SEMPRE SCOMODO!

Matteo “TeoBrex” Bressan

Granito Selvaggio

Granito Selvaggio

DSCF8101«Birillo, quel posto è selvaggio: ti piacerà di sicuro!» Questo è quello che continuavano a ripertermi su quella valle. Boris c’era stato altre volte ma la nebbia gli aveva sempre impedito di raggiungere i 3032m della rocciosa cima del Ligoncio. «Bhe, allora, andiamo a vederla questa Valle dei Ratti!» Confesso che le mie aspettative sono state superate: quel posto è stupendo! Un valle amplissima, verde di pascoli e boschi, ricca di acqua e stracolma di granito!

L’avvicinamento resta impegnativo, ma la nuova strada ora  raggiunge i binari del tracciolino, a circa 900metri, riducendo di molto il dislivello che un tempo partiva da quota 400. Seguendo i Binari si raggiunge la diga Moledana e da lì si inizia a salire addentrandosi nella valle.

La prima mera era la Capanna Volta a 2212 metri di quota: il rifugio, di proprietà del Cai Como, è autogestito e si deve chiedere la chiave a Verceia prima di salire. Lì abbiamo trascorso la notte ed il giorno successivo, in una giornata di sole splendente, siamo saliti alla cima del Ligoncio. Scendendo abbiamo fatto tappa al bivacco Primalpia girovagando tra le rocce e le grandi placche.

Per ora non credo vi racconterò altro. Quello che ho visto, e che mi ha stregato, finirà dritto sul tavolo dei Badger: quella valle è straordinaria ed offre incredibili possibilità. Portarci la squadra è imperativo, continuare ad esplorarla è mandatorio!

Ero salito per accompagnare Boris e per osservare il Manduino, ma ho scoperto il Cavrè e le mille scogliere granitiche della valle dei Ratti.

Davide “Birillo” Valsecchi

Sasso Canale

Sasso Canale

DSCF7351Boris è il mio testimone di nozze: già, le differenze tra di noi sono tanto abissali che per me è quasi naturale fidarmi ciecamente di lui. Quando è lui a pianificare un uscita posso rilassarmi e godermi la giornata senza pensieri: ha un buon giudizio e mi diverte andare a zonzo con lui.

“Andiamo al Sasso Canale?” mi scrive Boris. “Non ho neppure idea di dove sia, ma per me va bene!” Così da Gera Lario iniziamo a salire verso San Bartolomeo. Appena ci si alza di quota appare magnifico lo strepitoso panorama dell’alto Lario. Il lago, il Legnone, poi le Grigne. Salendo ancora si scollina ed appare il Manduino, il ligoncio, il Badile, il Disgrazia. Si sale ancora ed il panorama si dischiude in ogni direzione!

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In circa tre ore si risalgono i quasi 1300 metri di dislivello che portano ai 2420 metri della vetta. Il sentiero, sempre ben segnato, attraversa verdeggianti prati risalendo poi sfasciumi e rocce rotte. Giunti alla cima salutiamo i presenti scoprendo, con una certa sorpresa, che sono gli “ScarponSbusà”: il gruppo escursionistico in forza ai cugini del Cai Canzo. Conosco i membri della squadra ormai da anni ed è bello ritrovarsi senza preavviso: la montagna unisce!

“Ciacoliamo” e scattiamo foto di gruppo prima di avviarci, tutti insieme, nuovamente verso valle: manco a dirlo, la nostra gita si è conclusa in birreria a brindare! I miei complimenti agli “ScarponSbusà”, per la costanza e per l’impegno con cui conducono la loro intensa attività. Alla prossima!

Davide “Birillo” Valsecchi

Grigna: Dislivello Positivo

Grigna: Dislivello Positivo

Sabato sono andato a fare un giretto con Boris. Era un po’ che non facevo una bella sgambata ed il suo piano mi incuriosiva: “Andiamo in Grigna a fare 2k di dislivello?” Così siamo partiti dall’abitato di Somana, una frazione di Mandello, risalendo il fiume Era. Non ero mai stato da quelle parti e posso garantirvi che “il sentiero del fiume” offre angoli incantevoli e merita decisamente una visita.

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Dall’alpeggio di Era si risale verso l’alpe Cetra innalzandosi verso i prati del Rifugio Bietti. Lungo questo percorso lo scenario che ci circonda è in continuo cambiamento seguendo le trasformazioni che la quota impona alla natura. Sotto la severa ombra del Sasso Cavallo siamo circondati da un verde intenso e da una roccia sorprendentemente lavorata. Attraversando i boschi sopra l’alpe Cetra, al cospetto delle grandi pareti, sono attratto dalle piccole roccie che, man mano ci alziamo, appaiono sempre meno piccole e sempre più aggettanti.DSCF6852

Io e Boris chiacchieriamo tranquilli macinando passi. Una coppia di trekker ci supera veloce. Al Bietti li ritroviamo seduti al sole: “Ma voi andate fin su?” Un sorriso, due chiacchiere e riprendiamo a camminare risalendo il canalone Guzzi. Quanta roccia, quante linee. Sono qui per camminare ma la mente e l’occhio divagano sulle mille possibilità.

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Raggiungiamo il crinale e seguiamo la cresta della Piancaformia. Il Brioschi è all’orizzonte ma la roccia si è fatta fragile, instabile. Raggiungiamo la profonda grotta, ora protetta da una rete, in cui precipitò nell’inverno del 2012 uno sfortunato ragazzo di milano: Domenico Loparco, classe 1975. Quasi un coscritto.

Vorrei rimontare sul filo di cresta ma sotto di noi, sul sentiero del Ganda, scorre una fiumana di gitanti che risale dalla Bogani. Boris non mi preoccupa ma il rischio di mollar giù qualche sasso mi infastidisce: tagliamo un lungo traverso e riguadagnamo il sentiero incolonnandoci diligentemente.

E’ probabilmente la prima volta che risalgo lungo il canale finale senza la neve. Agguerriti alpinisti si aggrappano eroici e stravolti alle catene. Ghignando silenziosamente devio attraverso appaganti placche appoggiate di cui non conoscevo l’esistenza. Salgo con calma, rapito dai grandi spazi della Grigna.

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Il Brioschi, in una giornata di sole, non è certo un luogo solitario. Entriamo a salutare Mara ed Alex, poi ci appoggiamo sul prato con un pezzo di torta ed un paio di birre. Una giovane ragazza, bionda e pericolosamente scolpita nel legno, ci sfila davanti in un tripudio di curve, shorts e giovinezza. “Boris, amico mio, io mi sposo, ho una certa età e sono fuori dai giochi. Tu che scusa hai?” Tra le occhiatacce indispettite del moroso rinfiliamo lo zaino e riprendiamo il nostro viaggio ridendo. “Beata gioventù”.

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Scendiamo al Merlin ed il sentiero del Caminetto: un bella sfacchianta tra i sassi. Doppiamo la birra al Bietti e ci incamminiamo nuovamente verso Era e la chiesetta del Santuario di Santa Maria. Via Crucis e macchina. Alla fine a pesare non sono tanto i duemila e qualcosa metri di dislivello quanto lo sviluppo che probabilmente supera i 20km.Davvero un bel giro se la gamba regge.

Passiamo da casa, facciamo una doccia veloce, recuperiamo Bruna e ci fiondiamo in birreria da Fabio, al TrueBeer. “Brindiamo! Domani si arrampica ai Corni!” Era dal mattino che sognavo un boccale di birra chiara con l’aggiunta di Montenegro: credo di essermela guadagnata!

Davide “Birillo” Valsecchi

Boris ha scattato delle foto molto belle che potete vedere sul suo blog fotografico: http://daimario.tumblr.com/

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