Ferrata dei Corni di Canzo (1373m)

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«Forza che oggi non piove!» Rotolo fuori casa: scarponi ai piedi, zainetto in spalla e poco altro. Il mio ritorno alle montagne di casa dopo la Carnia ed i malanni. Sono le undici e quando attraverso il mercato di Canzo è nel vivo della mattinata: la gente si affretta con le borse verso casa, io punto verso Gajum e la Val Ravella.

Conosco la strada quasi a memoria, sono quasi stufo di farla ma i Corni di Canzo sono la nostra montagna, quel misto di roccia e boschi di cui ho bisogno. Se le gambe fossero meno cigolanti ed il tempo meno instabile avrei puntato verso il Moregallo, la mia montagna, ma oggi non è giornata.

Prim’alpe, second’alpe e taglio prima del terzo: inizio a salire verso l’attacco della ferrata al Corno Occidentale, la ferrata del Venticinquennale. L’ultima volta che sono venuto ad allenarmi qui la Grignetta scaricò sulla mia testa un violento quanto rapido temporale: fu un pomeriggio di brividi e pioggia che finì fortunatamente in risate ed arcobaleni!!

Il tempo oggi invece è cupo ma pare che l’azzurro libererà il corno. Nel bosco tutto è umido e bagnato ma all’attacco la roccia sembra asciutta. Infilo l’imbrago e nel farlo, come capita ogni volta che attacco quella ferrata, un dolore lancinante mi attanaglia la spalla destra. Ogni volta succede lo stesso, mi chino per infilare gli scarponi nei gambali dell’imbrago e per un minuto buono devo aspettare che il deltoide destro smetta di protestare: chissà che accidenti vorrà dirmi?!

Il primo pezzo della ferrata non ha il cavo di sicurezza ma solo la catena, io ci aggancio comunque i miei moschettoni avanzando in un tripudio di fracasso metallico. La placca iniziale, il canalino, poi il mezzo traverso con la pianta in mezzo e poi finalmente il cavo inguainato. La salita si fa silenziosa mentre si attraversa il lungo passaggio traverso che porta alla Scala.

Gioco con le prese, con gli appoggi e quando sono costretto ad attaccarmi alla catena sospiro “in fondo sei stato malato fino all’altro giorno”. In realtà mi sono fatto rigido, lento e pesante con gli anni, cerco prese più solide e sono più statico. Chissà, forse anche più prudente. Ma in fondo sono quassù per togliere un po’ di ruggine, per lasciare che ogni posizione e passaggio allunghi ed ammorbidisca i miei muscoli.

L’ultimo passaggio verticale con un migliaio di gradini e sono sulla cresta. Lavoro di braccia e sono fuori. Sono a casa, ma sono “mille metri sotto”: cerco  quel piacevole senso di scoperta e meraviglia che mi hanno dato le Alpi ma non lo trovo. Sono a casa, mi siedo sul prato ed ammiro il lago: le Grigne, forse offese, si nascondono dietro le nuvole.

Poi qualcosa cambia. Studio qualche dettaglio, qualche angolo che ancora conosco poco. Fantastico piani, fantastico tour e salite. Sono a Casa, forse “mille metri sotto” ma sono a Casa e Casa è un luogo magnifico: c’è tanto ancora da fare anche qui.

Davide Valsecchi

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