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Ultima neve, prime scoperte…

Ultima neve, prime scoperte…

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«Non va, decisamente non va!» Avevo in mente di trascinare Fabrizio nell’ HOKAGE -Tour® ma il mio stomaco continuava a fare capricci e, come se non bastasse, il braccio sinistro mi faceva un male cane all’altezza del gomito. «Tira fuori dallo zaino l’imbrago ed il set da ferrata: oggi andiamo a spasso. Mi tocca gettare la spugna…» Fabrizio se la rideva con tatto sotto gli occhiali scuri: la vita è una ruota e sto giro toccava a me…

Decidiamo di attaccare i Corni da Valbrona: cimitero e vecchia mulattiera, poi su per il bosco verso Pianezzo. «Saliamo in cima?» «No,no. Oggi Moregallo.» Chiacchierando nel sole della tanto agognata primavera lentamente dimenticavo gli acciacchi e la giornata assumeva una piacevolezza imprevista.

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Sotto la SEV abbiamo affrontato gli ultimi scampoli d’inverno sulla neve che ancora resiste sul versante nord del piano. Sotto la Fasana ci siamo fermati al pilastro “tri ciod” per spulciare con lo sguardo le verticalità strapiombanti del lato Nord Est del Corno Centrale. Siamo in gita, scattiamo foto come giapponesi  =)

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Poi giù alle Moregge e di nuovo verso l’alto seguendo il filo della cresta rocciosa fino ai verdi prati della montagna sacra: il Valhalla del Lario, il Moregallo. Sulla cima di questa montagna, a sbalzo sull’azzurro del lago, vi è una morbida terrazza di erba verde da cui si può ammirare le Grigne e lasciare che lo sguardo corra fino alle vette più lontane e perennemente innevate.

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Avevamo impiegato tre ore per arrivare lassù: un tempo infinito, un tempo da turisti. Sconcertato da come, in fondo, non me ne fregasse nulla mi sono sdraiato sull’erba ad osservare le nuvole. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono addormentato tra le carezze di un sole caldo.

bhudda birilloStavo benissimo: morto e risorto come sempre mi accade al Moregallo. Quando ho riaperto gli occhi il braccio non mi faceva più male e mi sentivo carico di energia: «Dai! Dai! Ci facciamo il Corno Centrale sulla via del ritorno! Dai! Dai, che andiamo un po’ a zonzo!!»

Venti minuti più tardi eravamo sul lato sud del Corno Centrale ravanando tra le rocce, i rovi e le sterpaglie a spasso sul selvaggio “altopiano per obliquo” che caratterizza quel versante  al di sopra della prima bancata di roccia. «Sono contento tu ti sia ripreso. In fondo i tagli dell’altra volta erano giusto guariti: era tempo di farne nuovi!» Il buon Fabrizio, intrappolato tra i rovi, era combattuto sullo sviluppo inatteso della giornata.

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«Secondo me di qui non passa nessuno da anni, è un posto per capre e per Birillo» Questo era quello che stavo pensando mentre avanzavo con cautela tra gli arbusti evitando di far cadere sassi sul mio socio poco più sotto. Probabilmente ero più silenzioso di quanto mi aspettassi perché, proprio in quel momento, una grossa lepre, sorpresa a poco più di un metro di distanza, ha iniziato la sua terrorizzata ed imprevista fuga.

La scena è stata buffissima: entrambi (io e la lepre) siamo stati colti alla sprovvista dalla reciproca presenza. Lei, guardandomi con gli occhi fuori dalle orbite per lo spavento, è scattata in avanti sbattendo una craniata terribile contro un gruppo di arbusti. Nonostante la zuccata continuava, immobile, a scalciare con le lunghe zampe posteriori ma, ahimè povera lei, gli arbusti la trattenevano impedendole di proseguire. Finalmente, quando ormai avevo già iniziato a ridere di gusto, è riuscita a liberarsi scappando tra le rocce ed i rovi.

Una scena terribilmente spassosa ed inaspettata !! (GG, amica lepre: per poco non ti facevi fregare!! Heheh)

Sulla cima del Corno Centrale, sulla seconda cresta che scende verso sud, c’è stato un grosso smottamento e tutto il crinale è ancora instabile da quelle parti. La discesa sul lato Ovest è invece ormai sgombra di neve mentre in alcuni canali ancora qualche piccola lingua cerca di resistere: in pochi attimi siamo stati nuovamente alla base del corno.

«Saliamo sull’occidentale o ci facciamo una corsa nella neve?» L’idea era davvero stupida: avevamo calzoni leggeri in cotone, niente ghette e la neve aveva la consistenza della granita che si scioglie. Un attimo di esitazione per vedere chi partisse prima ed eravamo a rotta di collo giù per il pendio innevato che scende verso il rifugio. Si affondava fino al ginocchio e più che una corsa era una goffa serie di salti a perdi fiato.

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A metà strada eravamo ormai fradici e gli scarponi erano colmi di neve. Sotto un albero c’era una chiazza di prato libera dalla neve: «Corri qui, butta fuori gli scarponi!! Dai Dai che ti si staccano le dita!! ahahaha». Come due stupidi ci siamo ritrovati a piedi nudi sull’erba bagnata cercando di svuotare gli scarponi e strizzare le calze. «Non male come discesa! Il prossimo inverno la proviamo con la tavola. In fondo non deve essere male fare gli asini con vista lago!»

Nel giro di qualche giorno quella massa bianca sarà scomparsa e la primavera con i suoi colori sarà ormai esplosa: era doveroso salutare l’inverno con un ultima corsa!

Rinfilati gli scarponi siamo ripartiti lanciandoci giù per la cresta dell’avvocato raggiungendo i magnifici prati della Val Cerina e quindi Candalino. Quella che doveva essere una “giornata storta” si era trasformata in un piacevole tour di otto ore, quindici chilometri, due cime ed un sacco di scoperte ancora tutte da approfondire: non male!

Benvenuta Primavera!!

Davide Valsecchi

La foto misteriosa…

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Eugenio Fasana ai Corni di Canzo

Eugenio Fasana ai Corni di Canzo

«L’alpinismo sui Corni di Canzo fa la sua comparsa nel 1909 con Eugenio Fasana, milanese e profondo conoscitore di tutte le Prealpi Lombarde, che traccia il primo itinerario alpinistico sulla parete Sud del Corno Occidentale. A questa ascensione Fasana ne farà seguire altre, sui Due Pilastri e sulla parete N.E. del Corno Centrale, via quest’ultima che svela appieno la gran classe della quale era dotato questo forte alpinista.

Dopo l’ultima ascensione di Fasana “Camino sulla Torre Desio, 1931” comincia la vera e propria evoluzione alpinistica di questo gruppo montuoso.» Questà è una breve introduzione estratta dal mitico volume “Valamdrera: montagne ed itinerari alpinistici” scritto negli anni 70 da Giorgio Tessari e Gian Maria Mandelli.

La figura di Fasana giganteggia nella storia dell’alpinismo dalle Grigne al Monte Rosa e quella che segue è un breve passaggio di un suo scritto dedicato ai novizi della Montagna:

«Il novizio, posto di fronte alla montagna, deve seguire un metodo ragionato insieme ed istintivo che consiste nel far convergere tutte le forze attive nello sviluppo della personalità montanara, nella creazione della propria vita alpinistica; la quale, con l’aiuto del tempo, diventerà come la sua seconda natura, cioè un tessuto di abitudini. E per la condotta di una grande ascensione, le abitudini servono più dei precetti d’alpinismo, perché l’abitudine è il precetto vivente, diventato carne e istinto.

Nell’esercizio dell’alpinismo, il libro delle regole e dei precetti è un buon bastone, ma una cattiva piccozza. Poco si migliora l’alpinista se si appoggia sempre sugli altri e non mai su sé stesso. Bisogna bene che, ad un certo punto, gli scudieri divengano cavalieri, e corrano la gualdana a loro rischio e pericolo.»

Ho cercato di ripercorrere la storia tracciandone il punto d’inizio: la Via Fasana. Quella che segue è una foto che mostra il versante Sud del Corno Occidentale scattata poco sotto il Malascarpa. Credo sia leggermente spostata verso est ed appena tornerà il bel tempo cercherò di scattarene un’altra più dettagliata e meglio posizionata. Purtroppo non ho trovato il tracciato della via ma solo la descrizione. (Mi darò da fare per ottenere informazioni dai vecchi!!)

Via Fasana, parete Sud Corno Occidentale. Il primo salitore fu Eugenio Fasana il 28 ottobre 1909 senza però lasciare descrizioni. L’itinerario riportato è quello tracciato il 28 Agosto 1932 da M.Bonadeo, A.Manzoni, Maria Andrighetti, A. Bardin e pubblicato su «Lo Scarpone» lo stesso anno.

Con quattro tiri di corda la via ha uno sviluppo di 220 metri, un dislivello di 130 ed una valutazione TD (molto difficile). L’accesso è a destra della ferrata aggirando così la parete fino a portarsi sul versante Sud. L’attacco è sotto un evidente tetto nero.

Con quattro tiri di corda la via ha uno sviluppo di 220 metri, un dislivello di 130 ed una valutazione TD (molto di difficile). La relazione a cui si fa rifermento più spesso è quella del 1932. L’accesso è a destra della ferrata aggirando così la parete fino a portarsi sul versante Sud. L’attacco è sotto un evidente tetto nero.

Relazione tecnica: Si sale per un camino con ciuffi d’erba per 8 metri sino sotto il tetto, poi si effettua una traversata in diagonale a sinistra per 30 m (IV+) che all’inizio un lastrone nero di roccia compatta rende molto difficile; si arriva ad uno spuntone visibile anche dal basso, lo si rimonta incastrandosi tra esso e la parete, quindi si sale per qualche metro lungo una specie di canalino dove giunge un grosso cespuglio, ove possono trovare posto due persone; trascurando un camino strapiombante si piega a sinistra e si sale per una placca prima di appigli ma molto fessurata fino a quando si può compiere una delicata traversata verso un altro cespuglio, incastrato in un canaletto, formato da una costola di roccia che scende dall’alto a guida di cresta affilata. Si sale tenendosi sul filo della cresta (pericolo di pietre) poi si compie una delicata spaccata verso destra, si raggiunge un cengione erboso visibile dal fondo della valle (fermata, 50m, V). Si percorre il cengione erboso, si attacca la parete di fronte (alta una trentina di metri) alla destra dei una spaccatura che sale obliquando da sinistra a destra; ci si alza per un canaletto a diedro e si perviene ad un pilastrone al di sotto di una paretina molto esposta e scarsa di appigli. Si sale per questo piastrone con l’uso di 5 chiodi, si forza la paretina e si ri-esce così in una zona erbosa e ricca di cespugli (F, 30m, IV +). Si continua allora per facili rocce, tenendosi a destra di un canale erboso e si sbocca sulla cresta, che si percorre, lungo il passo della vacca, sino alla vetta.

Queste sono vie aperte agli inizi del ‘900 che a distanza di un secolo sanno ancora incutere un reverenziale rispetto: tocca ripercorrere la storia, raccogliere il testimone e cimentarsi con pazienza ed impegno.

Davide “Birillo” Valsecchi

Ti presento i Corni

Ti presento i Corni

«Andiamo a farci un giro?». Io mi riempio il bicchiere di aranciata e vino rosso mentre la Zia Giusy mi appoggia un piatto di pasta sul tavolo della trattoria. «Perché no. Andiamo ai Corni domani» rispondo.

Così il giorno dopo, mio cugino Enrico ed io, ci troviamo a Gajum ed infilati gli zaini, iniziamo a risalire lungo la valle della Ravella. Enrico è mio coscritto, ci conosciamo da quando siamo nati ma negli anni le nostre strade si sono sempre incrociate ed allontanate in maniera curiosa. Forse è anche per questo che quando riescono a camminare parallele, anche solo per un po’, ne sono davvero felice.

Fabrizio era costretto al lavoro e così, a sua insaputa, era stato tanto gentile da prestarmi l’imbrago ed il set da ferrata con cui equipaggiare Enrico. La “Bat Caverna”, una  disordinata stanza di casa mia è adibita a magazzino per la squadra di Cima proprio per questo: avere quello che serve quando serve e per chi serve.

L’attacco della Venticinquennale, la ferrata del Corno Occidentale, mostra i segni dell’inverno e la catena dell’ancoraggio iniziale, invece che essere trattenuta, ora trattiene un grosso masso staccatosi per il disgelo.

La catena, riemersa dalla neve, è ancora annerita ed ossidata rendendo le nostre mani nere come quelle di un meccanico. La primavera e l’uso la renderanno di nuovo pulita e lucida.

Salvo la piccola frana all’attacco e qualche placchetta che “canta” sotto i colpi di un moschettone non ho trovato particolari problemi lungo la ferrata: ha superato benone l’inverno (ammesso che sia finito!).

Prima di salire alla cima mostro ad Enrico il buco del Passo della Vacca. E’ incredibile quante persone passino dal corno senza mai essersi accorti di questa stranezza che, nei tramonti estivi, brilla nella montagna ben visibile dalla valle.

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Scendiamo per il caminetto, ancora coperto di neve ghiacciata, e proseguiamo per il Corno Centrale. Superata la vetta, come due bambini, ci sdraiamo sporgendoci con cautela oltre il ciglio della vertiginosa parete Fasana che, strapiombante, precipita infinita sul ghiaione sottostante: «La gente è spesso sprezzante con i Corni di Canzo perché sono considerate montagne poco prestigiose: la verità è che quassù ci sono sfide alpinistiche che alla maggior parte non conviene raccogliere».

Più avanti ci infiliamo nella Fessura al Pilastrello, una lunga e profonda spaccatura tra due alti pareti di roccia. Qui l’acqua ha reso ogni forma arrotondata e, sebbene sia divertente salire in opposizione fino al sasso incastrato, è impresa ardua immaginare di spingersi oltre, oltre l’ampiezza delle braccia. Sul fondo però le targhette di via raccontano come, nei tempi eroici, giovani come noi abbiano speso i loro giorni “superando l’ostacolo”. Altre targhe invece ricordano chi, in quel tentativo, ha perso tutto. Siamo “solo” ai Corni ma questo angusto spazio è quasi un santuario.

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«Hey, li vuoi un po’ di fichi secchi?» Riscaldati dal sole, ma accarezzati da un venticello freddo, facciamo sosta ai piedi della croce del Corno Orientale. Uno, due e tre: per Enrico questa è la sua prima traversata dei tre Corni. Sono quasi tentato di scendere fino al quarto, il Corno Rat o Corno di Valmadrera, ma il piano era rientrare presto e così scendiamo diretti a valle verso un altro grande amico e custode di queste montagne: il grande Fo, il gigantesco faggio che si innalza vicino ad una fontanella appena oltre il crinale della val Ravella.

«La prossima volta andiamo a vedere la mia Montagna Sacra: il Moregallo». A volte anche gli indigeni, e non solo i forestieri isolani, hanno bisogno di “scoprire” le meraviglie del Triangolo Magico del Lario.

Davide Valsecchi

Gran Tour dei Corni in invernale

Gran Tour dei Corni in invernale

Il lazzaretto di San Michele, Pesora, Cornizzolo, Monte Rai, Prasanto e poi giù fino al Fo e, passando per il 30° Osa, nuovamente verso l’alto per la traversata dei Corni di Canzo prima di tornare al punto di partenza: questo è il GranTour dei Corni, l’anello magico che tocca tutte le principali vette della valle Ravella in un alternarsi di dislivelli e scenari diversi.

Se pensate che le nostre montagne non possano essere una “sfida impegnativa” dovete provare il Gran Tour per ricredervi: il percorso si estende per 18 chilometri accumulando circa 2000 metri di dislivello positivo passando dai prati alle roccette fino a passaggi verticali su placche attrezzate. Provare per credere!

Nelle ultime due settimane sono stato bloccato dal “ditino rotto”, Giovedì era il giorno giusto per saggiare la mia guarigione. Il buon Fabrizio, che aveva deciso di accompagnarmi, ha dovuto quindi affrontare la sua “prima volta” al GranTour  nella sua versione più difficile, quella invernale.

Sulle nostre montagne, nonostante il fiorire abbondante dei bucaneve, c’è ancora una buona quantità di neve e nei tratti all’ombra ci si imbatte in insidiose placche di ghiaccio. Corda e ramponi nello zaino ci siamo messi in marcia verso le nove, quando il sole ha cominciato a scaldare un po’: la val Pesora è davvero fredda in questo periodo!!

Si attacca al lazzaretto di SanMichele e si inizia a salire. La tirata fino alla “manichetta del vento” in cima al monte Pesora è intensa, ripida, piena di ghiaccio e non lascia respiro. Tuttavia quando scollini, quando emergi dalle tenebre,  sei  accolto dal sole, dai laghi minori, dalla Pianura Padana e dalle alpi Occidentali.

Poi inizia il grande lungo traverso: la croce del Cornizzolo e poi giù, fino al rifugio Maria Consiglieri prima di allungarsi in un falso piano verso il Monte Rai. Da qui, lasciandosi alle spalle il Corno Birone, ci si abbassa nel bosco per riemergere alle spalle delle antenne del Monte Prasanto. Si superano le rocce del Malascarpa e si imbocca la discesa verso il grande Fo, il gigantesco faggio che sovrasta l’omonima fontana.

L’acqua della fonte è forse la migliore di tutta la valle e segna la metà del GranTour ed il cambio tecnico: da qui in avanti, dopo che il GranTour ha saggiato la vostra resistenza sulla distanza,  si dovranno affrontare una serie di tracciati per Escursionisti Esperti che chiedono di dar prova delle proprie basi d’arrampicata.

Si prosegue infatti seguendo il sentiero verso la sorgente Sambrosera fino ad incrociare il sentiero del 30°Osa che dall’uscita dalla ferrata del Corno Rat risale la cresta fino al Corno Orientale. Lungo questa parte di tracciato si superano placche attrezzate e roccette in alcuni punti davvero aeree sul vuoto (attenzione!).

Al corno Orientale si tira fiato e ci si prepara a dare l’assalto al Corno Centrale  dal lato orientale. Fabrizio, che ormai aveva nello zaino sei ore di cammino tra neve, ghiaccio e roccia, mi ha guardato sconsolato: “Immagino che in un viaggio come questo, giunti a questo punto, non ci si possa più tirare indietro”. Questa è la vera magia del GranTour: quando hai speso tutto quello che dovevi spendere inizi ad essere sincero anche con le nostre montagne, ti rendi conto di quanto siano belle ed al contempo difficili perché, quando la fatica ti toglie la baldanza, possono essere davvero spietate.

Così superiamo i due balzi di roccia ed i prati innevati che sovrastano l’immensa parete Fasana: sotto di noi, immerso nel buio pomeridiano, un abisso spaventoso che precipita diretto sul  ghiaione e sui prati innevati di Pianezzo. In cima una ventina di metri di cresta innevata ci separano dalla croce: “Vuoi che ti leghi?” “No, penso di farcela” “Okkio mi raccomando”. Qui chi sbaglia paga caro: trattengo silenziosamente il fiato osservando i suoi passi e finalmente siamo alla croce: bravo Fabrizio!

La croce riporta una piccola targa: “Daniele, Cai di Canzo 1976”: per un istante in cima al Corno Centrale siamo tutti coscritti uniti dalla stessa passione. Appoggio la macchina fotografica sulla croce: “Dani, scattaci tu una foto per favore”.

Il canale che scende dal lato Ovest del Corno Centrale è un EE abbastanza esposto sul vuoto, in perenne ombra era ghiacciato e pieno di neve. Quando, mesi fa, avevo portato la zia Cesy su per quel passaggio l’avevo assicurata con la corda ma la neve, quella volta, era soffice ed abbondante. Giovedì era insidiosa e ghiacciata, per questo ho puntato verso sud seguendo il sentiero delle capre dove il sole aveva fatto emergere la roccia permettendo solidi appigli. Dopo esserci abbassati a sufficienza restava solo un ultimo  traverso nella neve prima di essere fuori, purtroppo le rocce di quel passaggio erano coperte di verglass, una sottile patina di ghiaccio che si forma tra la roccia e la neve, che rendeva il tutto ancora più insidioso.

Quello è stato un passaggio davvero divertente, il classico “passaggio del cazzo” in cui devi avere passo fermo ed entrare deciso o rischi di farti male finendo parecchio più a valle. Guidavo Fabrizio in ogni suo gesto ma  ormai era evidente che avesse raggiunto il suo limite (…o forse io non reggevo più l’ansia di guardarlo in difficoltà) e così ho fatto una cosa davvero strana: l’ho semplicemente “agguantato e portato giù” fino ad un sicuro terrazzo. Va detto che dopo sette ore di cammino e con la poca esperienza a sua disposizione “Fabbrì” ha affrontato quel tratto difficile davvero alla grande: bravo Fabrizio, perdonami il gesto dispotico 😉

Il GranTour prevede anche la salita al Corno Occidentale ma il caminetto era pieno di ghiaccio e neve: non c’era modo di salire e scendere senza attrezzare la calata con la corda. Per un istante sono stato tentato di salire da solo ma, ancora prima che quell’istante fosse trascorso, mi sono reso conto che sarebbe stata solo una stupida ed egioca vanità salire lassù. Ho dato una pacca sulla spalla di Fabrizio e, arrancando nella neve alta, siamo andati al crocefisso di legno per goderci le luci del tramonto: si era fatto abbastanza, si era preteso più di quanto fosse forse lecito fare.

Due ore più tardi eravamo nuovamente al punto di partenza con tutta la valle Ravella alle nostre spalle. Il gps segnava 17,95 km e 1850 metri di dislivello in nove ore esatte di cammino. Era il momento di scendere in paese per farsi una birra!

Questo è il GranTour dei Corni in invernale  e la “prima volta” di Fabrizio, il nostro abominevole siciliano delle nevi!

Davide Valsecchi

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Il GranTour nella versione estiva parte dalla stazione Canzo-Asso, prevede la salita al Corno Occidentale e si allunga nella discesa sulla Cresta di Cranno. Lo trasformiamo in un evento serio?

Notturna alla Venticinquennale

Notturna alla Venticinquennale

Prima a mangiare in trattoria dalle “Zie” e poi in marcia attraverso la buia foresta dei Corni di Canzo. Sul sentiero un’eterea ombra bianca attraversa il fascio di luce della mia frontale: un capriolo salta attraverso i rami mostrando la sua sagoma per il tempo di un lampo.

Fa un freddo becco! Coperti siam coperti ma il vento picchia in faccia con folate gelide. Ci imbraghiamo, controlliamo l’equipaggiamento e poi su, lungo la ferrata del Venticinquennale dei Corni di Canzo.

Al buio sembra completamente diversa. Certo, i passaggi più noti sono sempre quelli, ma gli altri sono tutti da riscoprire. Appigli nuovi che si stagliano tra le ombre ed appigli vecchi che scompaiono nel buio: sembra di salire per la prima volta ed è una sensazione davvero piacevole!

Tutto attorno un’isola di buio che galleggia tra le luci vibranti della pianura e, sopra di noi, un universo di stelle! Venere e Marte brillano e da qualche parte anche gli altri pianeti si stanno allineando: forse non è la fine del mondo ma da quassù lo spettacolo è mozzafiato!

Fabrizio si gira sulla roccia, dopo aver ammirato ciò che ci circonda si ferma e mi guarda con gli occhi lucidi: “comincio ad essere stufo di doverti ringraziare!”. Ghigno un po’: credo che tutti prima o poi dovrebbero sentirsi liberi in quel modo sotto le stelle.

Appena arriviamo in cresta il vento “polare” che scende dalle Grigne ci investe gelido. Tutto è ghiacciato e qua e là c’è ancora qualche accumulo della tenue nevicata di Lunedì. Ci sediamo e cercando riparo scattiamo qualche foto. Traffico con i diaframmi ed i tempi di esposizione ma mi gelano le dita e ripiego su qualche soluzione rapida.

Un’autoscatto e poi giù, lungo la cresta. Scendere si rivela come sempre la parte più difficile. Su quel versante il sole quasi non batte più e regna il freddo ed il ghiaccio che ha reso il ghiaione un unico compatto blocco di roccia.

A valle, ormai all’una di notte, c’è il tempo per una birretta al “Fuego” (l’ultimo fusto della birra dell’Oktoberfest) e poi tutti a nanna. Dicono che oggi nevica: bhe, io ve lo dico, sto week-end io lo passo al caldo in baracca!

Ciao

Davide

Zia Cesy e la neve dei Corni

Zia Cesy e la neve dei Corni

Nel fine settimana le temperature sono precipitate e Domenica il brutto tempo ha imperversato sulle montagne portando la prima neve anche a bassa quota. Le previsioni però parlavano chiaro: Lunedì schiarite e sole. Così ieri sera, a cena a casa di mio padre, ho semplicemente chiesto: «Zia Cesy, ce ne andiamo in cima ai Corni domani?»

La zia Cezy è una che cammina, spesso è venuta con me per monti e se l’è sempre cavata egregiamente. Mercoledì scorso era in cima alla Grignetta con il Gruppo Over del Cai Asso e tutti si sono complimentati per la sua salita. Per questo avevo voglia di farle provare qualcosa di nuovo avventurandoci tra la neve.

Alle otto passa a prendermi e saliamo alla volta di Gajum. Imbocchiamo il sentiero geologico salendo lungo la val Ravella fino al Terz’Alpe: l’aria è fresca e tutto brilla mentre il sole inizia a splendere sui Corni.

Attraversiamo la valle fino alla Colma di Ravella e da lì iniziamo la nostra salita nel bosco verso la Forcella dei Corni. Nella neve solo le tracce di qualcuno che scendeva ieri dalla montagna proseguendo verso Valmadrera, il resto è immacolato ed “invernale”.

Giunti alla forcella possiamo gettare finalmente lo sguardo oltre, verso nord. Il Lario è di un azzurro intenso che rivaleggia con quello del cielo mentre all’orizzonte corre una catena di monti innevati. Davanti a noi le Grigne “trionfano” in tutta la loro bellezza!

Lascio che la zia mangi qualcosa e tiri fiato. Il difficile comincia ora: il mio piano infatti è salire sulla cima del Corno Centrale e per lei arrampicare sulla roccia con la neve lungo il versante in ombra sarà una bella prova!

Giunti sotto la parete, all’attacco del sentiero EE che porta alla vetta, inizio ad attrezzare la nostra salita. Con uno cordino da tre metri costruisco per la zia una Swiss Seat, una pratica imbragatura di corda con cui le cingo la vita e le gambe. Con un nodo delle guide ed un moschettone la assicuro ad uno spezzone di corda da trenta metri ed inizio a salire. Ogni venti/venticinque metri la zia mi segue tra le rocce mentre le faccio sicura “a spalla”.

Quando raggiungiamo la vetta è come riemergere dal buio per tuffarsi nella luce. Il panorama che ci circonda è strepitoso e la Zia nonostante lo sforzo, la fatica e forse anche un po’ di paura, è davvero entusiasta.

Davanti a noi la croce del Corno Occidentale e dietro di lei, ad oltre 100km di distanza, risplende la magnificenza del Monte Rosa.

La discesa è anche più avventurosa della salita. La zia, che non ha mai fatto nulla di simile in vita sua, arrampica in discesa tra le roccette cercando solidi appigli tra la neve. Io che le faccio sicura dall’alto la osservo, la guido con qualche consiglio e la ascolto ridendo silenziosamente quando, qua e là, si lamenta delle difficoltà: «Ma non ci sono appigli qui!!»

Nuovamente al sicuro sul prato innevato apriamo gli zaini e ridendo allegri ci godiamo il sole ed il pranzo al sacco: «Ma davvero siamo andati lassù?! Non ero mica io quella che è salita!!»

Una giornata di sole strepitosa, un magnifico assaggio di inverno ed una memorabile salita con la Zia Cesy: «Sei stata proprio brava Zia Ce’!!»

Davide Valsecchi

Fessura al Pilastrello: il Canyon dei Corni

Fessura al Pilastrello: il Canyon dei Corni

«Dai, oggi andiamo in un posto spettacoloso che conoscono in pochi!» Ed è così che ieri Fabrizio ed io ci siamo messi in cammino alla volta dei Corni di Canzo. Fabrizio, con cui sempre più spesso vado in montagna, aveva da poco comprato tutto il necessario per affrontare le ferrate ma non aveva ancora avuto occasione di muovere i suoi primi passi sulla roccia: era decisamente il momento di cominciare!!

La giornata era ben soleggiata, la foschia velava le montagne ma il sole era caldo e gradevole. Partiti da Gajum abbiamo raggiunto l’attacco della ferrata del Venticinquesimo in un oretta e tre quarti. Indossato l’equipaggiamento ho spiegato le basi a Fabrizio ed abbiamo iniziato la nostra salita.

Fabrizio, siciliano d’origine e neofita di montagna, era letteralmente rapito da quell’esperienza per lui tanto nuova ed emozionante. Io e lui siamo curiosamente coscritti e per me era un vero spasso vederlo tanto contento mentre avanzava lungo la parete sud del Corno Occidentale.

Raggiunta la cima siamo poi scesi dal lato nord lungo il caminetto proseguendo attraverso la sella tra i due corni verso la cima del Corno Centrale. Da qui il sentiero prosegue lungo la cresta che domina la vertiginosa parete Fasana terminando poi, dopo alcuni tratti attrezzati con catene, al boschetto che conduce al Corno Orientale.

Nascosta tra gli alberi vi è uno degli angoli più suggestivi e sconosciuti dei Corni di Canzo: la Fessura al Pilastrello Gian Maria. Oltre la Parete Fasana, dietro l’alta guglia che prende il nome di Pilastrello, vi è infatti uno stretto canyon tra due alte e verticali pareti di roccia: un vero antro che si allunga per oltre 50 metri nel cuore della montagna.

La Fessura è davvero un luogo suggestivo: tra quelle pareti umide , fredde e lisce il sole filtra raramente anche in estate ed incute un certo timore entrarvi per la prima volta. Lo spazio tra le pareti è abbastanza ampio ma a metà del “canale” un grosso masso, precipitato chissà in che epoca remota, sbarra il passo ed è necessaria un po’ di perizia per proseguire oltre. Più in là, sopeso tra la roccia, un’altro grosso masso sovrasta minaccioso ma immobile il canale.

C0sì, per stemperare il clima austero di quel luogo, ho iniziato a mostrare a Fabrizio come arrampicare in opposizione ed abbiamo iniziato a “giocare” tra le pareti.

Tra quelle pareti vi sono molte delle storiche vie d’arrampicata dei Corni di Canzo  tracciate nei tempi eroici del dopo guerra, sulla roccia sono ben leggibili le targhe poste a memoria delle salite. Una volta lasciata la fessura ci si ritrova, dopo un passaggio d’arrampicata in discesa piuttosto impegnativo, sul sentiero che porta al Rifugio SEV, al cospetto della magnificenza della Parete Fasana, il versante Nord del Corno Centrale.

Ferrata dei Corni di Canzo (1373m)

Ferrata dei Corni di Canzo (1373m)

«Forza che oggi non piove!» Rotolo fuori casa: scarponi ai piedi, zainetto in spalla e poco altro. Il mio ritorno alle montagne di casa dopo la Carnia ed i malanni. Sono le undici e quando attraverso il mercato di Canzo è nel vivo della mattinata: la gente si affretta con le borse verso casa, io punto verso Gajum e la Val Ravella.

Conosco la strada quasi a memoria, sono quasi stufo di farla ma i Corni di Canzo sono la nostra montagna, quel misto di roccia e boschi di cui ho bisogno. Se le gambe fossero meno cigolanti ed il tempo meno instabile avrei puntato verso il Moregallo, la mia montagna, ma oggi non è giornata.

Prim’alpe, second’alpe e taglio prima del terzo: inizio a salire verso l’attacco della ferrata al Corno Occidentale, la ferrata del Venticinquennale. L’ultima volta che sono venuto ad allenarmi qui la Grignetta scaricò sulla mia testa un violento quanto rapido temporale: fu un pomeriggio di brividi e pioggia che finì fortunatamente in risate ed arcobaleni!!

Il tempo oggi invece è cupo ma pare che l’azzurro libererà il corno. Nel bosco tutto è umido e bagnato ma all’attacco la roccia sembra asciutta. Infilo l’imbrago e nel farlo, come capita ogni volta che attacco quella ferrata, un dolore lancinante mi attanaglia la spalla destra. Ogni volta succede lo stesso, mi chino per infilare gli scarponi nei gambali dell’imbrago e per un minuto buono devo aspettare che il deltoide destro smetta di protestare: chissà che accidenti vorrà dirmi?!

Il primo pezzo della ferrata non ha il cavo di sicurezza ma solo la catena, io ci aggancio comunque i miei moschettoni avanzando in un tripudio di fracasso metallico. La placca iniziale, il canalino, poi il mezzo traverso con la pianta in mezzo e poi finalmente il cavo inguainato. La salita si fa silenziosa mentre si attraversa il lungo passaggio traverso che porta alla Scala.

Gioco con le prese, con gli appoggi e quando sono costretto ad attaccarmi alla catena sospiro “in fondo sei stato malato fino all’altro giorno”. In realtà mi sono fatto rigido, lento e pesante con gli anni, cerco prese più solide e sono più statico. Chissà, forse anche più prudente. Ma in fondo sono quassù per togliere un po’ di ruggine, per lasciare che ogni posizione e passaggio allunghi ed ammorbidisca i miei muscoli.

L’ultimo passaggio verticale con un migliaio di gradini e sono sulla cresta. Lavoro di braccia e sono fuori. Sono a casa, ma sono “mille metri sotto”: cerco  quel piacevole senso di scoperta e meraviglia che mi hanno dato le Alpi ma non lo trovo. Sono a casa, mi siedo sul prato ed ammiro il lago: le Grigne, forse offese, si nascondono dietro le nuvole.

Poi qualcosa cambia. Studio qualche dettaglio, qualche angolo che ancora conosco poco. Fantastico piani, fantastico tour e salite. Sono a Casa, forse “mille metri sotto” ma sono a Casa e Casa è un luogo magnifico: c’è tanto ancora da fare anche qui.

Davide Valsecchi

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